Un mondo “silenzioso” che parla…
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
Ogni qualvolta si vuole affrontare il tema dell’handicap con lo scopo di diffonderne le caratteristiche intrinseche e la relativa “filosofia di vita”, è un impegno etico e morale di non poco conto, sia per la delicatezza nei riguardi dei protagonisti che per la ricaduta che l’informazione può avere sulla collettività. Ma il coinvolgimento comprende spesso gli operatori che affiancano, sostengono ed “educano” il disabile che, solitamente affetto da patologia psico-fisica grave, costituisce un approccio relazionale che poggia le basi sulle sensibilità e professionalità degli stessi. Questo, in parte, è quanto si evince dalla pubblicazione “Critica del silenzio” (Ed. PM, 2017, pagg. 110, € 10,00) a cura di Loredana Scursatone, pedagogista e assistente alla comunicazione, con un Master in Psico-Pedagogia delle disabilità sensoriali; e di Roberta Capellino, educatrice professionale, assistente alla comunicazione e abilitata LIS (Lingua dei segni italiana). L’esposizione è frutto di diverse esperienze umane che le autrici ci fanno sentire e ci fanno toccare attraverso i loro racconti, all’interno dei quali emerge la forza e l’espressività del linguaggio gestuale che è proprio dei deficit complessi della comunicazione, come quello di Luca (seguito sino alla sua scomparsa all’età di 18 anni) affetto da una grave forma di encefalo-miopatia mitocondriale, sordità profonda, deficit del visus e distrofia. Pur nella sua gravità manifestava sin da piccolo capacità residue colte dai suoi genitori… e non dagli specialisti. Notevole quindi il lavoro e la descrizione nel profondo della Scursatone che parte dalla sperimentazione di un approccio comunicativo-relazionale sino all’utilizzazione della modalità operativa impostata sui segni e il contatto fisico. Sono emersi confortevoli risultati come l’accettazione della sua presenza dimostrando una serie di risposte che il piccolo Luca ha saputo dare al meglio, sia pur nella sua limitatezza…, ma dall’innegabile esordio appagante tanto da intravedersi un certo grado di autonomia e grande dignità. «Il percorso fatto con Luca – spiegano le operatrici – fu di aiuto per molte delle situazioni successive… Dopo molti sforzi, alcuni errori e una fatica immensa, per tutti ci fu chiaro che quello che a volte viene percepito come il “soprassedere” che non si traduce in un beneficio reale». Un percorso difficile che, nonostante tutto, ha gratificato sia i genitori del piccolo Luca che le sue operatrici, avendolo portato ad una discreta capacità di farsi capire.
Più “sperimentale” il progetto nei riguardi di Michela, una bimba di 8 anni affetta da sordità profonda e sindrome di Down con gravi turbe comportamentali, descritta dalle logopediste come una bambina molto problematica anche per lo scarso intento comunicativo. Un giudizio decisamente negativo per via delle molteplici reazioni di “aggressività” che la paziente aveva nei loro confronti. Dopo una serie di colloqui con le logopediste, Loredana e Roberta hanno ritenuto di impostare un rapporto con Michela attraverso il contatto visivo e la manifestazione di segni base come il mangiare o il lavarsi, e quindi l’adozione di diverse metodiche di contatto e manipolazione. Più difficile invece il rapporto con la famiglia, probabilmente reso tale per via della sua pregressa ospedalizzazione dalla nascita, con reazioni talvolta incontrollate; da qui l’esigenza di individuare obiettivi impostati su comunicazione, autonomia e socializzazione. «Il nodo critico, sia per quanto riguarda Michela che riferito ad altri bambini con disturbi della comunicazione – spiegano Scursatone e Capellino – sta nell’opinione che hanno tutti coloro che li circondano: spesso il loro livello di comprensione del prossimo e di lettura delle situazioni è assai più complesso ed articolato di quanto non si deduca dalle diagnosi».
Un’altra realtà colma di altrettanto significato riguarda Elena, una bambina giunta all’osservazione a 10 anni, affetta dalla sindrome di Cornelia De Lange (malformazione nota anche come sindrome di Brachmann-De Lange, o altrimenti nota come Nanismo di Amsterdam, ndr). Una bimba dal carattere forte e decisamente attiva, ma con notevoli problemi relativi al cibo tanto da preoccupare non poco i propri genitori, considerando negativo il pregresso periodo di ospedalizzazione. Elena è quindi oggetto di osservazione attraverso il quale le operatrici hanno potuto valutare le sue potenzialità, con particolare riguardo all’apporto comunicativo, evidenziando difficoltà dal punto di vista motorio-segnico ma ben compensata da una ferrea volontà comunicativa. Tuttavia, positiva è risultata la valutazione sia della logopedista che delle operatrici che ne hanno ravvisato la capacità di esprimersi attraverso la sintassi della lingua italiana applicando i segni codififcati dalla LIS. «Perché – spiegano Loredana e Roberta – mentre l’italiano segnato può venire usato contemporaneamente alla lingua parlata, questo non è possibile quando si utilizza la LIS, poiché la struttura grammaticale-sintetica delle due lingue è molto diversa». Il raggiungimento degli obiettivi, come quello di ampliare il patrimonio semantico di Elena, attraverso modalità operative e strumenti di vario tipo, in particolare la collaborazione del corpo insegnanti, ha comportato l’individuazione di un’area relazionale e la conseguente verifica trimestrale con le insegnanti e con la famiglia. Un quadro che si è completato con i successivi risultati positivi nell’ambito scolastico, mantenendo la padronanza del patrimonio segnico e le abitudini, oltre al conforto da parte della famiglia che ha contribuito allargando gli orizzonti per una più concreta armonia nella vita insieme. Le esperienze contenute nel volume non sono però prive di alcuni “insuccessi”. Una parentesi più “delicata” che riguarda Maria, afasica e con problemi motori in seguito ad un incidente stradale; Vanessa, affetta da una sindrome non ben definita; e Jannik affetto da sordità profonda e con difficoltà nell’esprimersi. Casi emblematici e di altrettanto impegno che lascio al lettore approfondire per comprenderne al meglio le ragioni di tali… insuccessi. Questo perché le difficoltà dell’intervento educativo si profilano talvolta all’orizzonte, per poi avvicinarsi tanto da costituire una barriera, se non invalicabile, quanto meno di difficile superamento.