ULTIME CONFERENZE AL MOLECULAR BIOTECHNOLOGY CENTER DI TORINO

Healthcare cure concept with a hand in blue medical gloves holding Coronavirus, Covid 19 virus, vaccine vial

Interventi sull’importanza del movimento nella quotidianità e attualità in materia di vaccini anti-covid

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)

Claudio Zignin

Quante volte ci sentiamo dire o consigliare che è salutare fare movimento, sia pur alternativamente, specie se si soffre di qualche patologia, se non per prevenire? Forse troppe volte, anche se a volte ci trinceriamo dietro a quache scusa. Ma questo non giustifica inerzia se vogliamo star bene e prevenire qualche malanno. A questo riguardo agli ultimi incontri a cura della associazione Più Vita in Salute di lunedì 29 novembre, il chinesiologo ed esperto in Scienze Motorie Claudio Zignin ha tenuto la relazione Il movimento: un determinante di salute. Da un punto di vista locomotorio si sta perdendo molto e questo “invito” ben si addice alla popolazione, soprattutto perché le patologie cronico-degenerative possono iniziare precocemente, ed quindi saggio per far fronte al sistema biologico. «Quest’ultimo – ha spiegato il relatore – è basato sul movimento anche quando siamo fermi, e quindi va sostenuto.. In una società dove per stili di vita  si ha un proliferare  di disagi, soprattutto se legati a condizioni di dipendenza (vizi voluttuari, ad esempio)… Se siamo più longevi bisogna pensare a quale può essere  la qualià della vita, sia per contenere quello che può essere  la spesa sanitaria (la Regione Piemonte spende l’87% del suo bilancio in sanità, ndr), e questo rientra  in quella che si può definire medicina preventiva; ma si tratta di recuperare in questa aspettativa di vita la consapevolezza di quali sono i determinanti che ci permettono di star bene, che possono essere modificati, e altri come quelli genetici». È evidente che si tratta di mantenere il più possibile un buon livello di qualità di vita evitando un precoce declino, come purtroppo nella gran parte della popolazione si sta verificando da decenni, in cui la conviveza con il disagio non produce effetti sostenibili. «Un grosso problema – ha aggiunto – è che siamo tendenzialmente sedentari, e ciò nuoce notevolmente alla salute. È quindi indispensabile che sin dalla scuola i bambini stiano all’aperto e facciano movimento che, come l’alimentazione e la relazione diventano fattori determinanti per la salute. Noi siamo fatti per muoverci e se ci muoviamo in modo adeguato stimoliamo il condroblasto (cellula che sovrintende l’articolazione della cartilagine, ndr) e produce l’acido ialuronico il quale lubrifica  e nutre l’articolazione, ma se ciò non avviene la stessa si corrode con la conseguenza dell’artrosi che a lungo andare diventa irreversibile». Sapere che un osso può raggiungere il picco massimo di massa ossea è auspicabile una durata maggiore di una buona qualità di vita, vale a dire che chi fa poco movimento avrà un osso più fragile e con il tempo il soggetto andrà incontro a fratture e disagi vari… L’attività fisica, quindi è un tributo al sistema biologico e ciò in base al movimento che viene esercitato, di conseguenza è bene mantenere la necessaria integrità del sistema funzionale dei nostri organi e apparati. «Ma il movimento – ha precisato il prof. Zignin – non deve essere un’azione portata all’eccesso perché si possono ottenere gli stessi benefici… anche senza raggiungere risultati particolarmente ambiziosi. In buona sostanza si tratta di tramutare la sedentarietà in atti motori (più o meno quotidiani), che devono essere adeguati alla costituzione della persona, alle indicazioni di predisposizione di cronicità, fragilità, etc.». Quindi il movimento ci permette di diventare consapevoli nel mantenerci in buona salute sia fisica che psicologica e, ciascuno in tal senso, è attore di se stesso se vuole “contrastare” un ambiente di vita in cui la tecnologia ha in parte preso il sopravvento… limitando in parte la nostra libertà di muoverci senza condizionamenti.

Guido Forni

Più che attuale il tema trattato dall’immunologo e microbiologo prof. Guido Forni, ossia Vaccini anti-covid-19: splendori e miserie, dalla complessità interpretativa del virus, e applicativa delle vaccinazioni in atto per stimolare il nostro sistema immunitario. Ciò per ricordare anzitutto che la Covid-19 è una malattia virale causata da un virus (una piccolissma microsfera oleosa) il cui involucro è formato da varie proteine e, una di queste, è la proteina Spike che costituisce la struttura con cui questo virus si lega alle nostre cellule. «Tale virus – ha spiegato – ci contagia tramite l’emissione di goccioline (droplet) che emettiamo parlando, starnutendo, tossendo, etc., ed è per questa ragione che noi tutti indossiamo la mascherina (che copre bocca e naso), e ciò perché riduce la quantità di tali goccioline che possiamo inalare. Non è tanto critico venire a contatto con questo virus, quanto piuttosto recepire una notevole quantità dello stesso, sufficiente a provocare la malattia». In realtà abbiamo moltissime difese per cui piccole quantità di virus vengono eliminate rapidamente. Quando, però, riesce a penetrare all’interno del nostro organismo questo virus dapprima si lega a strutture normali che tutti esprimiamo sulla superficie delle cellule della mucosa orale, nasale, etc., e quindi penetra all’interno delle cellule. «Una nostra cellula infettata dal virus – ha proseguito – diventa come una fabbrica di milioni di particelle virali. Quando muore, la cellula infettata rilascia milioni di virus che andranno ad infettare altri milioni di cellule, creando quindi un’infezione virale cui segue, come nell’attuale caso della pandemia, la malattia Covid-19, che non è altro che una sorta di guerra mortale tra chi cerca di invadere un numero sempre più elevato delle nostre cellule e il nostro sistema di difesa, ossia il cosiddetto sistema immunitario». Questo è un sistema assai complesso che combatte l’infezione virale fondamentalmente con due meccanismi: producendo anticorpi che si legano alla cosiddetta proteina Spike e la bloccano neutralizzando così la capacità infettiva del virus; il secondo meccanismo di difesa del sistema immunitario è quello che invece uccide le cellule infettate prima che diventino fabbriche di nuovi virus; quindi, di fronte all’invasore da una parte viene bloccata ogni cellula invasiva e dall’altra vengono uccise le nostre cellule dentro cui il virus è penetrato. Nasce così la guerra tra il nostro sistema immunitario e il virus che ha creato il contagio. Ma chi ha la meglio e chi ha la peggio? «È una malattia che può essere molto grave: tra le persone tra i 40 e i 49 anni di età che si sono infettate – ha precisato il relatore – le più recenti statistiche in Italia dicono che ne muore una ogni 500 persone che hanno contratto l’infezione; tra quelle dai 50 ai 59 anni ne muore una ogni 170 persone infettate. Con l’avanzare dell’età la situazione diventa più drammatica, in quanto tra le persone dai 60 ai 69 anni infettate il virus ne ha uccisa una ogni 33 persone infettate. Ma bisogna tenere presente anche altri dati: le persone tra i 70 e i 79 anni infettate, il virus ne uccide una ogni 10, tra quelle dagli 80 agli 89 anni ne uccide due ogni 10; quelle con più di 80 anni ne uccide tre ogni 10». Ma quali sono le persone che perdono la battaglia e contraggono la Covid-19 in forma più grave? «La statistica dice – ha spiegato – che il rischio aumenta con l’età, poi con il fatto di essere maschi in quanto le donne sono molto più resistenti a questo virus. Inoltre le persone che senza saperlo sono portatrici di un difetto nel produrre una sostanza importante di difesa detta Interferone, ossia un insieme di molecole dalla notevole attività antivirale, sono maggiormente a rischio specie se fragili come diabetici, obesi, donne in gravidanza, e tutte quelle denutrite e in povertà». Di fronte a questa malattia, come è noto, a tutt’oggi non esiste ancora un farmaco specifico, per contro ci sono diversi farmaci “indiretti”. Probabilmente, secondo i ricercatori, tutto cambierà con l’arivo, atteso tra poco, di nuovi farmaci anti-virali. Attualmente, però, sono disponibili solo i vaccini che costituiscono l’unica arma efficace e specifica per cercare di non essere infettati (prevenzione dell’infezione) e se si è infettati cercare di avere una malattia molto meno grave. Ma che cosa sono questi vaccini? «Al contrario di quello che spesso si legge sui giornali o quello che si sente alla televisione o alla radio – ha spiegato l’immunologo – i vaccini non sono un antidoto, non sono un siero, non sono un antibiotico, non sono nemmeno  un farmaco che curi; sono piuttosto una stimolazione specifica del nostro sistema immunitario; ovvero, sono quasi una “esercitazione”, una “ginnastica” del sistema immunitario. I vaccini, quindi, non combattono nessun virus, ma stimolano il nostro sistema immunitario a combattere con maggiore efficienza. Dopo questa esercitazione, cioè dopo una vaccinazione (o due o tre successive stimolazioni) il sistema immunitario diventa così efficiente nel combattere l’invasore da rendere la persona immune, ossia esente dal rischio di contrarre questa malattia». A fronte di questa stimolazione c’è da considerare la componente genetica della persona che viene immunizzata in quanto le caratteristiche individuali di ciascuno di noi ci portano a rispondere in maniera differente verso il vaccino. L’esito del combattimento tra il sistema immunitario e l’attacco del virus invasore dipende anche dalla caratteristica del virus: ci sono molti virus che il nostro sistema immunitario combatte bene, ma ci sono anche dei virus che riescono a sfuggire. Dopo aver considerato alcune caratteristiche dei vaccini possiamo passare a chiederci come sono nati i vaccini contro la Covid-19. «Prima di tutto – ha spiegato il relatore – un vaccino nasce da un’idea creativa degli immunologi. Le Autorità regolatorie, considerata la validità della proposta, possono concedere il permesso di fare delle prove su piccoli animali suscettibili alla Covid-19. Se queste sono positive si devono stabilire contatti con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e le Autorità regolatorie per ottenere a sperimentare su volontari umani. Nasce così lo sudio di Fase 1 per valutare l’efficacia, la dose e la pericolosità del vaccino su 10-20 volontari. Se questo studio suggerisce che il vaccino è efficace, cioé induce una risposta immunitaria protettiva, si chiede l’autorizzazione per lo studio di Fase 2 il cui scopo è valutare la sicurezza e l’intensità della risposta immunitaria. Questo studio è molto più costoso perché coinvolge 100 o più volontari (adulti, anziani, femmine, maschi e possibilmente di etnie diverse) da reclutare e seguire costantemente; anche in questo caso i risultati sono da inviare agli Enti regolatori che possono autorizzare lo studio di Fase 3, fondamentale per valutare la sicurezza e l’efficacia protettiva del vaccino su un grande numero di volontari tra i 10 mila e 60 mila. Questi volontari vengono controllati una volta alla settimana con tutta una lunga serie di esami, tanto per i volontari del gruppo di controllo quanto per quelli del gruppo che ha ricevuto il vaccino. In questo studio, né il medico e né i volontari sono a conoscenza del gruppo di appartenenza. Quando tra i volontari si è verificato un numero di casi di malattia tale da permettere l’analisi statistica, i dati vengono analizzati ed inviati agli Enti regolatori (in Euopa all’EMA) che li valutano e possono concedere un permesso temporaneo alla vaccinazione». Quando il vaccino comincia ad essere diffuso nella popolazione (cioé a milioni di persone) ha inizio lo studio della Fase 4, quello in cui tutti noi siamo coinvolti: le Autorità regolatorie controllano costantemente l’efficacia del vaccino nella popolazione generale e gli effetti collaterali connessi al vaccino, valutando l’eventuale mutare del rapporto rischio-beneficio. Se il rischio connesso all’epidemia dovesse diminuire, un vaccino, precedentemente  considerato accettabile potrebbe non essere più autorizzato. Il vaccino attenuato (Sabin) contro la poliomielite, ad esempio, è molto efficace. Quando era stato autorizzato (1966) il rischio di ammalarsi, di morire o di rinanere paralizzati per l’infezione da parte del virus della poliomielite era elevato. Oggi, grazie a questo vaccino, il rischio di contrarre la poliomielite è diventato molto basso e il vaccino contro la poliomielite tipo Sabin non è più autorizzato, e sostituito da un vaccino ucciso, meno efficace ma praticamente privo di effetti collaterali. Quindi i vaccini sono sempre sotto esame sulla base del rapporto tra rischio e beneficio. Se il rischio di ammalarsi di Covid-19 diminuisse o scomparisse, rischi legati come trombosi, miocarditi, etc. anche se molto rari non sarebbero più accettabili.

Ma per quanto riguarda i vaccini contro la Covid-19 quali sono state le idee e le piattaforme tecnologiche che hanno vinto, ossia che hanno avuto successo? «Sono diverse le strategie – ha precisato il prof. Forni – che, per ora, hanno portato alla messa a punto di questi vaccini. Oggi esistono vaccini, non particolarmente efficaci, basati sul virus intero della Covid-19 inattivato chimicamente. Stanno arrivando anche vaccini costituiti dalla proteina Spike del virus della Covid-19 prodotta e isolata in vitro. Però, i vaccini che attualmente sono i più efficaci sono quelli basati sulle istruzioni racchiuse in un frammento di DNA o di RNA che permette alla persona che viene vaccinata di produrre direttamente la proteina Spike. Questi vaccini a DNA o RNA proteggono molto bene, anche se ancora non sappiamo quanto dura la protezione che inducono. Dati recenti suggeriscono  che nel 90% delle persone vaccinate la protezione verso il contagio diminuisce dopo 5-7 mesi dalla vaccinazione. Uno studio, portato  avanti sui 780 mila veterani dell’esercito statunitense ha messo in evidenza che la protezione verso il contagio dipende non solo dalla quantità degli anticorpi ma anche dal tipo e dalla precisione con cui questi anticorpi reagiscono contro la proteina Spike. Benché la protezione verso il contagio diminuisca con il passare del tempo e con la fisiologica riduzione della quantità degli anticorpi in circolo, a sei mesi dalla vaccinazione 6 persone su 10 di quelle vaccinate con il vaccino a RNA della ditta Pfizer sono ancora completamente protette dal contagio. Se invece si valuta la protezione verso il rischio di morire di Covid-19 si nota come questa continui a essere molto elevata anche dopo 6-7 mesi dalla vaccinazione con entrambi i vaccini a RNA, quello della ditta Pfizer o quello della ditta Moderna. Anche se l’efficacia protettiva di questi vaccini decresce con l’aumentare dell’età della persona che è stata vaccinata, le persone vaccinate che si ammalano vanno incontro ad una Covid-19 molto più lieve». Va quindi ribadito che chi combatte contro il virus non è il vaccino ma il sistema immunitario della persona vaccinata, e più avanza l’età della persona meno efficace è il sistema immunitario. La terza dose di questi vaccini a DNA o RNA, secondo l’iimunologo, cambia di nuovo tutto in quanto ripristina una protezione pressoché completa verso il rischio di contagiarsi anche se non si può ancora sapere quanto durerà la protezione indetta dalla terza dose, in quanto al momento non si hanno dati in merito; come pure non è dato a sapere se sarà necessaria una 4a dose, o se potremmo essere totalmente protetti fino al termine della pandemia. Il relatore ha poi esaminato i tempi con cui sono stati messi a punto questi vaccini. Il 10/1/2020 i colleghi cinesi hanno reso pubblico in internet il codice del virus che causa la Covid-19; il 30/11/2020, al di fuori di ogni aspettativa, nel mondo occidentale è stato approvato il primo vaccino efficace, ossia quello della ditta Pfizer e, in seguito, quello della ditta Astra Zeneca e quello della ditta Moderna. Dall’inizio delle vaccinazioni ad oggi sono già state somministrate 7 miliardi e mezzo di dosi di vaccino, un dato e un risultato formidabile, reso possibile grazie alla buona cooperazione e alla condivisiobe dei dati della ricerca di base tra i Paesi del mondo. «Purtroppo – ha precisato il prof. Forni – oggi questi vaccini sono disponibili soltanto nei Paesi più fortunati del mondo, tanto fortunati da poter decidere di essere “no vax” e di fare tutti i capricci possibili a proposito dei vaccini. Nessuna persona degli oltre 67 Paesi più poveri del mondo avrà la possibilità di ricevere una dose di vaccino nel 2021; la preoccupazione principale dei Paesi industrializzati è proteggere i propri cittadini nel miglior modo possibile, mentre c’è uno scarso interesse nel condividere il vaccino  e poco interesse hanno nel condividere il vaccino con altri Paesi più poveri». In effetti, un’equa distribuzione del vaccino nel mondo è un problema complesso in quanto esistono ragionamenti ed atteggiamenti morali molto diversi. I motivi che spingono verso un’equa distribuzione dei vaccini nel mondo, oltre alla percezione di un’imprescindibile giustizia sociale per cui un vaccino che potrebbe salvare molte vite umane dovrebbe essere egualmente disponibile per tutti, sono sia il fatto che non è possibile stabilire normali rapporti commerciali e di turismo con Paesi dove la maggioranza delle persone non può essere vaccinata, e sia il fatto che in questi Paesi è probabile che nuove sacche di pandemia diano origine a nuove pericolose varianti del virus. A ben osservare, il vaccino non dovrebbe essere  solo di chi lo ha inventato e pagato, ma dovrebbe essere di tutti, come aveva fatto Albert Sabin rifiutandosi di brevettare il suo vaccino anti-poliomielitico, messo a punto dopo oltre un trentennio di ricerca e sperimentazioni, e così rendendolo disponibile all’intera umanità ad un costo assai irrisorio: meno di 2 centesimi di dollaro per dose. Il relatore ha concluso la sua dotta relazione rammentando quanto sostenuto da Nigozi Okonjo-Iweala, direttrice del World The Trade Organization (Organizzazione Mondiale del Commercio): «Non c’è tempo da perdere nel mettere in moto tutte le residue possibilità di produzione di vaccini e nell’investire in nuove produzioni per il futuro. Dobbiamo pensare non solo a come affrontare questa epidemia, ma anche a quale ruolo il WTO potrà svolgere per stimolare le produzioni necessarie per combattere le future pandemie, o per l’eventuale prolungarsi di quella attuale».

Foto a cura di Giovanni Bresciani

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