Tutelare i figli di genitori separati: missione impossibile?
Nel suo saggio “Ascoltami – le parole dei figli spezzati”, Michela Capone si sofferma anche sugli strumenti normativi e giudiziari volti a tutelare i figli di genitori separati: soluzioni destinate a rivelarsi inutili, se gli adulti non sviluppano una «cultura dell’ascolto».
Il nuovo libro di Michela Capone, “Ascoltami – le parole dei figli spezzati”, porta all’attenzione degli adulti, non solo di quelli direttamente interessati, la drammatica situazione dei figli di genitori separati. Durante la presentazione del saggio, avvenuta a Cagliari lo scorso 16 luglio, l’autrice, lo psicologo Bruno Colombo e dott.ssa Marinella Polo, Presidente del Tribunale per i minorenni di Cagliari, hanno fatto il punto sui limiti degli strumenti che la legge prevede a loro tutela e indicato la complessa via da seguire per garantire loro una «giustizia sostanziale».
QUALI SOLUZIONI? L’ESISTENTE MAL FUNZIONANTE
“Ascoltami” non è un dito puntato contro la separazione né contro i genitori separati: lo chiarisce bene l’autrice nelle conclusioni del saggio ed è stato da tutti ampiamente ribadito durante la presentazione cagliaritana. È, innanzitutto, una presa d’atto di un gravissimo problema, di una situazione in cui la buona volontà di un singolo può trovare un ostacolo invalicabile nella mancanza di collaborazione degli altri.
Per primi Michela Capone, Marinella Polo e gli altri giudici dei minori sono consapevoli dei limiti del loro lavoro: per legge sono chiamati ad ascoltare i ragazzi “con capacità di discernimento” quando devono prendere decisioni finalizzate a tutelarne gli interessi, ma davanti all’egoismo dei genitori, al loro senso di possesso, il giudice è quasi impotente perché – ha spiegato l’autrice di “Ascoltami” – «è difficile arrivare a una decisione che corregga questi meccanismi contorti». E di questo limite sono, purtroppo, ben consapevoli i ragazzi che, davanti a loro, si lasciano andare con frequenza a dei «tanto non cambia nulla».
Se non sono, infatti, i genitori a rivedere le loro posizioni e a rinunciare alle loro pretese, il giudice non potrà fare altro che optare per la “spartizione” meno dannosa, comunque dolorosa perché imposta. Nel saggio l’autrice fa riflettere su un fatto che tende a sfuggire quando si sente parlare di affido condiviso e cioè che «L’adolescente ama i genitori, ma è una sua esigenza amarli senza una rigida e imposta frequentazione»: «Mi sto stufando delle date», si sfoga Sebastiano (13 anni).
«I ragazzi sono stanchi e delusi, vogliono essere ascoltati» ha detto Michela Capone e, in proposito, è significativa la conclusione della testimonianza del quattordicenne Aldo: «Voglio essere lasciato in pace, mia madre è sempre in mezzo e sono in mezzo ai miei e sono finito in Tribunale anch’io. Basta!». Nella prefazione, la dott.ssa Polo fa notare che i ragazzi vedono nell’«incontro con il magistrato […] l’atteso momento per esprimere finalmente il proprio malessere o la propria valutazione, lucida e spesso molto severa, del comportamento degli adulti». Per questo motivo, i giudici minorili rivolgono un «invito corale» ai genitori: «Ascoltate i vostri figli» perché «il tribunale non può sostituire l’amore e l’attenzione dei genitori».
Anche le innovazioni normative non hanno dato gli esiti sperati: è stato così, ad esempio, per l’introduzione del concetto di “responsabilità genitoriale”, che ha preso il posto della “potestà”, e per l’istituto dell’affido condiviso. Raramente, infatti, madri e padri capiscono che – come ha spiegato Michela Capone – «“affido condiviso” significa restare genitori insieme, condividere le decisioni».
E distorsioni si sono verificate anche nell’esercizio del «diritto degli ascendenti di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni», sancito per legge dall’anno scorso. Anche questo diritto viene spesso inteso dagli adulti interessati come una pretesa egoistica da far valere contro uno o entrambi i genitori, perdendo sempre di vista ciò che, invece, il legislatore aveva presente: l’interesse del minore. Così i ricatti affettivi e i conflitti di lealtà denunciati dall’autrice si moltiplicano: «Mia nonna […] mi ha detto che devo scegliere: o lei e mamma o papà», si sfoga Lorenzo (12 anni).
Un’altra stortura è data dall’assegno di mantenimento, uno dei motivi principali di conflitto, come emerge anche in queste pagine. L’aspetto economico – nessuno di certo si stupirà – è quello che più attira l’attenzione dei genitori che si separano, chi per avidità, chi per vendetta verso l’ex coniuge, chi per effettivo bisogno. Non a caso Michela Capone vi dedica un capitolo che così esordisce: «Con la separazione della coppia finisce una storia d’amore e inizia una storia di soldi». Una storia squallida che fagocita anche i ragazzi, costringendoli a fare i conti con difficoltà che avrebbero diritto di affrontare solo a tempo debito. Scrive il giudice che «il figlio […] parla come un adulto di redditi, spese, mutui e canoni d’affitto e arriva a compatire il genitore povero […] o cede alle lusinghe del più ricco […] o si immola sull’altare dell’indigenza familiare, lasciando la scuola per trovare un lavoretto […]». Problemi troppo grandi anche per “i grandi”, figuriamoci per loro.
Durante la presentazione del libro, l’autrice ha, inoltre, ribadito che «oggi la separazione è un problema sociale perché comporta un cambiamento di vita sostanziale e comporta difficoltà emotive e relazione» per questo «lo Stato dovrebbe prendere posizione su queste situazioni, adottare strumenti di intervento accessibili a tutti e con tempi brevi», compresa, ad esempio, una mediazione fornita dal sistema pubblico e non, a pagamento, dai privati.
«Consultori e servizi sociali non ce la fanno a rispondere a queste emergenze, per mancanza di personale e di fondi» e «trasferire il problema della separazione solo in ambito giudiziario non è sufficiente», ha affermato il giudice, secondo cui potrebbero essere utili anche interventi di tipo economico volti a rendere meno traumatica la gestione della vita dopo la separazione. Ma il rischio che anche questo strumento sia utilizzato in modo distorto è alto: secondo alcuni avvocati, mentre oggi i costi della separazione possono costituire un deterrente per i coniugi in disaccordo (il che, peraltro, non è un bene, perché sono ben altre le valutazioni che dovrebbero sorreggere simili decisioni), un’ipotetica “agevolazione economica” potrebbe indurre a non ponderare adeguatamente questa scelta di vita così delicata.
Quello attuale è, dunque, uno scenario desolante e non potrebbe essere altrimenti: «quale innovazione legislativa o quale provvedimento giudiziario potrebbe risolvere una situazione in cui la tutela dei figli costituisce per i genitori litigiosi l’ultimo pensiero?» si chiede e ci chiede Michela Capone.
NESSUNA RICETTA UNIVERSALE, UN RUOLO PER TUTTI
Appare evidente che se la separazione non può essere evitata, la sua buona gestione è rimessa al contributo responsabile e maturo di tutti i suoi protagonisti e che «Il primo ascolto devono darlo i genitori», come ha ribadito il giudice-scrittrice: è «quando questo ascolto manca, che hanno la necessità di essere ascoltati da terzi».
In questa delicata fase, i genitori hanno senz’altro bisogno di un supporto, che può venire anche dalla scuola, ha affermato Michela Capone, rispondendo a una domanda in tal senso della giornalista Manuela Arca: «La scuola è importante perché vive a contatto con i ragazzi per molto tempo. Dovrebbe segnalare i disagi e centrare i colloqui sul ragazzo e non solo sul profitto». Un compito, però, difficile perché, come ha precisato il dott. Colombo, spesso sono i ragazzi stessi a nascondere i loro problemi perché desiderano essere considerati “normali”. In ogni caso, il giudice ha lanciato «una richiesta di aiuto agli insegnanti, che possono avere un compito di guida accanto a quello dei genitori».
Alcuni genitori intervenuti nel dibattito hanno, inoltre, sottolineato l’importanza del cosiddetto “ascolto terapeutico”, evidenziando però due problemi: la difficoltà di far assistere i figli da uno psicologo, magari tramite la scuola, e la necessità di evitare che questo tipo di supporto diventi ulteriore motivo di vergogna per i ragazzi.
Anche gli avvocati in queste situazioni giocano un ruolo determinante: dovendo tutelare gli interessi di una parte, tendono ad esacerbare il conflitto, ma questo non è un esito scontato perché se è vero che «l’avvocato non deve mediare», come ha precisato Michela Capone, può comunque «aiutare i genitori a trovare un “accordo sentito”».
Il giudice, in ogni caso, ha ribadito che «questo non è un libro-denuncia contro i genitori, gli avvocati, i giudici…»: semplicemente, «è un libro rivolto a tutti gli adulti perché decentrino l’attenzione da se stessi e diano ai ragazzi il diritto a essere riconosciuti come persone sin da piccoli». Ed è incoraggiante il fatto che, usciti dall’aula magna, alcuni avvocati abbiano espresso l’intenzione di consigliarne la lettura ai clienti che, in futuro, gli si rivolgeranno per avviare una causa di separazione.
Quanto ai genitori, anche per loro può essere d’aiuto il sostegno di uno psicologo, di un “mediatore familiare”. E, sebbene ogni persona e ogni coppia siano casi a sé, esistono alcuni consigli universalmente validi, come quelli forniti dal dott. Colombo a un papà separato durante il dibattito a Cagliari: «pensare positivamente all’altro genitore, parlarne al figlio e vivere con allegria i momenti con lui, pensando alla qualità e non alla quantità del tempo trascorso insieme. Così si stabilisce una relazione che dura nel tempo». O, ancora, quanto suggerito da Michela Capone nelle conclusioni del suo saggio: «Il conflitto fa parte della natura umana e aiuta la costruzione dell’identità di un individuo […] Se il conflitto si affronta senza prevaricazioni, soprusi e con l’assunzione della propria responsabilità, prima di rifugiarsi passivi in quella dell’altro, le relazioni interpersonali cresceranno e tutti potranno avere la possibilità di guadagnarci».
SCELTE INEVITABILI?
Quanto detto fin qui vale partendo da due assunti: che la separazione sia inevitabile e che i coniugi abbiano avuto dei figli.
Riguardo al primo punto, illuminante è stato, durante la presentazione del libro, l’intervento di un papà che ha fatto notare che, in realtà, «separarsi è semplice» e che bisognerebbe «anche avere il coraggio di non separarsi». Un risultato possibile magari prestando ascolto ai figli, ai loro rimproveri e alle loro osservazioni, come ha fatto lui. Significativa, in proposito, la testimonianza di Nicola (17 anni): «Bisticciavano e io dicevo “basta, smettetela”. Non mi hanno dato retta e […] non hanno neanche riprovato a stare insieme».
Essere genitori è complicato («ma è più complicato essere figlio» sostiene Alice, di 15 anni) e il margine di errore altissimo, perché – ricorda Marinella Polo nella prefazione di “Ascoltami” – «“educare” i figli […] nel significato originario della parola […] fa riferimento all’impegno di ciascun genitore ad aiutare il figlio a esprimere al meglio la propria personalità». Non a caso si dice che quello del genitore è il mestiere più difficile del mondo. Ma allora, come del resto tutti i mestieri, dovrebbe essere svolto solo da chi ci si sente portato e non da chi lo considera un’esperienza da provare oppure una scelta obbligata per rispondere alle aspettative della propria famiglia o della società, né da chi vede i figli come uno status symbol o un modo per riavvicinarsi al partner o, ancora, un fardello che nonni, Comune o Provvidenza sicuramente aiuteranno a portare.
Certo, l’istinto materno o paterno può svilupparsi anche dopo che il figlio è nato, quindi è difficile dirsi a priori “posso farcela” o “non posso farcela”. Tante volte, però, i segnali negativi ci sono e basterebbe guardarsi dentro per evitare scelte sbagliate e irresponsabili, destinate a condizionare la propria esistenza e quella della creatura che si mette al mondo. Lo fanno presente anche Stella (14 anni), Valeria (12 anni) e Alice (15 anni): «Se uno vuole pensare solo ai fatti suoi, figli non ne deve fare»; «Quando mi sposo, aspetto prima di fare figli, aspetto ad avere i soldi che per la famiglia servono»; «Da giovani non si ha la testa per essere genitori».
Delle volte c’è molto più egoismo nella scelta di mettere al mondo un figlio che non nella scelta contraria.
Quando una coppia si separa a farne le spese sono sempre i figli , ma l’errore più grande è chiedere aiuto ai serv. sociali .. da circa sei anni cerco di farmi ascoltare dal Giudice …ma ho ricevuto solo calci in faccia ..sono stata calunniata e diffamata dai serv. mi hanno messo in bocca parole neppure mai pensate e mi hanno fatto compiere azioni che partorivano la loro mente e non la mia …ho dilapidato tutte le mie risorse finanziarie per tutelare il mio diritto di nonna ..circa 22.000 euro … sicuramente scriverò la mia storia che non sarà povera di colpi di scena … spero serva a far capire come si adoperano i servizi sociali per distruggere una famiglia ….