“Se stai leggendo questo, significa che sono stato ucciso” sono le ultime parole di un messaggio lasciato da Hossam Shabat giornalista palestinese

Foto by Scomode Verità
di Francesca Lippi
Hossam Shabat era un cronista di appena 23 anni. Lavorava per l’emittente Al Jazeera. E’ stato ucciso ieri a Gaza.
A 21 anni quando l’IDF, le Forze di Difesa Israeliane, avevano iniziato lo sterminio dei palestinesi, bombardando in modo indiscriminato la striscia di Gaza, lui aveva cominciato a lavorare senza fermarsi mai. Testimoniando minuto per minuto, con il suo lavoro, le atrocità compiute dal governo israeliano verso una popolazione inerme. Il blocco degli aiuti umanitari, la mancanza di cibo, di acqua pulita, elettricità, carburante, medicine, quindi l’assedio. La distruzione di case, scuole, ospedali, infrastrutture di ogni tipo. L’annientamento di un popolo. Hossam Shabat raccontava il dolore dei bambini rimasti orfani, dei bambini mutilati, affamati, al freddo, senza scarpe, terrorizzati, traumatizzati. Documentando, spesso, la loro cattura da parte dei soldati israeliani, la loro enorme sofferenza. E raccontava del suo popolo, costretto a spostarsi, come un topo in trappola, da un punto all’altro della Striscia in cerca di un riparo sicuro, che purtroppo non ci sarebbe mai stato. E in quella prigione a cielo aperto, che prima del 7 ottobre era un giardino, Hossam Shabat ha testimoniato con i suoi video tutto il dolore del popolo palestinese e la sua resilienza, malgrado le ferite inferte nei corpi, da curare senza anestesia, perché gli anestetici sono finiti. Malgrado le ferite dei cuori troppo difficili da rimarginare.
L’ultimo messaggio di Hossam
Se stai leggendo questo, significa che sono stato ucciso — molto probabilmente preso di mira — dalle forze di occupazione israeliane. Quando tutto questo è iniziato, avevo solo 21 anni — uno studente universitario con sogni come chiunque altro. Negli ultimi 18 mesi ho dedicato ogni istante della mia vita al mio popolo. Ho documentato gli orrori nel nord di Gaza minuto per minuto, determinato a mostrare al mondo la verità che volevano seppellire. Ho dormito sui marciapiedi, nelle scuole, nelle tende — ovunque fosse possibile.
Ogni giorno era una lotta per la sopravvivenza. Ho sopportato la fame per mesi, eppure non ho mai abbandonato il mio popolo.
Per Dio, ho compiuto il mio dovere di giornalista. Ho rischiato tutto per raccontare la verità, e ora finalmente riposo — una cosa che non conoscevo da 18 mesi. Ho fatto tutto questo perché credo nella causa palestinese. Credo che questa terra sia nostra, e morire per difenderla e servire il mio popolo è stato il più grande onore della mia vita.
Ora vi chiedo: non smettete di parlare di Gaza. Non permettete al mondo di distogliere lo sguardo. Continuate a lottare, continuate a raccontare le nostre storie — fino a quando la Palestina sarà libera.”
— Per l’ultima volta, Hossam Shabat, dal nord di Gaza.