Se la vecchiaia non è una malattia
Ma un processo fisiologico naturale che richiede un maggior approfondimento culturale seguito da un adeguato stile di vita. Il ruolo fondamentale della Geriatria
di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)
Quanta importanza, e da quando, si dà al tema della vecchiaia ma soprattutto alla persona anziana? Il nostro, si sa, è il Paese più longevo: in base ai dati del gennaio 2018, ci sono 168,7 anziani ogni 100 giovani, e siamo secondi solo al Giappone; e l’aspettativa di vita supera gli 80 anni sia per gli uomini che per le donne. E vi è quasi una forma di pudore ad ammettere che chi ha superato la soglia dei 75 anni si senta relegato ad una qualunque forma di assistenza, specie se esterna al proprio domicilio. Una constatazione che ripropone ogni volta la seguente domanda: la vecchiaia è da considerare una malattia? Di fatto non lo è ma piuttosto va precisato che le persone che consideriamo anziane, quindi over 75, vanno incontro ad una o più patologie con l’aggravante della loro scarsa assistenza: dall’episodio di una semplice (e assai ricorrente) frattura di un arto alla cronicità di una o più patologie ben più importanti, come ad esempio di carattere neurodegenerativo. Il futuro della popolazione anziana è comunque al centro di dibattiti e studi volti alla ricerca non solo per meglio trattare le patologie che condizionano la sua salute, ma anche ad un maggior rispetto della sua dignità attraverso interventi mirati e magari anche personalizzati. Nelle persone anziane che hanno contratto una o più patologie, se non anche una situazione di cronicità, in molti casi la precarietà è di carattere assistenziale: in taluni casi sono sole e in molti altri scarsa o nulla è la figura del caregiver, ed ecco che il “problema” dell’anzianità si acuisce tanto da tradurre, irrazionalmente, il concetto di vecchiaia in malattia. E quando si tratta di patologie relative alla persona anziana qual è la disciplina medica che se ne deve occupare? È noto che è la Geriatria, disciplina medica in stretta correlazione con la Medicina Interna che ha il compito di studiare le malattie, con il fine di ritardare la compromissione funzionale e cognitiva, mantenendo nel contempo l’autosufficienza e migliorando la qualità di vita.
Il termine Geriatria è stato coniato oltre un secolo fa per merito del viennese Ignatz Leo Nascher (1863-1944 nella foto), farmacista e in seguito medico, esattamente nel 1914 con la pubblicazione Geriatrics: the diseases of old age and their treatment, il cui contenuto comprende concetti ancora validi come la fragilità, asserendo (per la prima volta) la necessità di considerare a parte la senilità e le sue malattie assegnando alla Geriatria un ruolo autonomo nella Medicina, come già era stato fatto per la Pediatria, e non a caso l’introduzione al volume è del tedesco Abraham Jacobi (1830-1919), pioniere della Pediatria oltre che fautore della sua autonomia culturale ed accademica. La Geriatria ebbe il suo iniziale sviluppo negli anni ’40 in particolare in Inghilterra e negli Stati Uniti e, fra i suoi pionieri particolare ruolo va riconosciuto alla dottoressa inglese Mariory Winsome Warren (1897-1960). Valente clinico, si laureò nel 1923 nella prestigiosa Royal Free Hospital School of Medicine di Londra; nel 1926 divenne assistente medico al West Middlesex County Hospital dove praticò il suo iniziale interesse per la chirurgia (oltre 4 mila interventi in pochi anni). Nel 1935 divenne responsabile di 714 posti letto di pazienti anziani affetti da patologie croniche, considerati “incurabili”. Ed è così che si rese ben presto conto che, la cronicità e la “incurabilità” delle patologie di cui soffrivano i pazienti anziani, erano causate da inopportuna gestione dei pazienti stessi, in particolare per quanto rigurda l’inadeguata somministrazione dei farmaci, come pure l’assenza di team multidisciplinari dedicato al trattamento riabilitativo per il recupero delle loro capacità funzionali. E sempre alla dott.ssa Warren spetta il merito di aver creato la prima Unità Operativa Geriatrica del Regno Unito, la cui concentrazione riguardava essenzialmente l’introduzione di un assessment globale del paziente e la precoce introduzione di una terapia riabilitativa. Questo processo di obiettiva e razionale gestione del paziente fu oggetto della pubblicazione della prima rivista scientifica geriatrica inglese del 1947 The British Medical Association Report on the Care and Treatment of the Elderly and infirm (“Il rapporto della British Medical Association sulla cura e il trattamento degli anziani e degli infermi”). Nello stesso anno la dottoressa Warren divenne membro della Società Medica per la cura dell’anziano e fondò la Società Geriatrica Britannica. Nel 1949 divenne la prima consulente geriatra del Regno Unito. Parallelamente il dottor Joseph Sheldon (1893-1972) iniziò la geriatria di comunità affrontando i problemi di mobilità dell’anziano a domicilio, raccomandando interventi fisioterapici a adattamenti nella sua abitazione. Nello stesso periodo un altro pioniere della Medicina e Geriatria, di pari merito, fu il chirurgo e geriatra inglese Lionel Zelick Cosin (1910-1994). Di grandi idee e particolarmente attivo, a soli 30 anni, all’ospedale Orsett nella contea dell’Essex fu responsabile di 300 letti per malati cronici che in parte a suo parere non erano affetti da patologie croniche ma da abbandono cronico. Per tale constatazione divenne membro del Comitato per i malati cronici del Ministero della Salute nel 1947, mirando a Unità geriatriche attive negli ospedali generali anziché moltiplicare le istituzioni per i malati cronici. Nel 1949 il comitato BMA elaborò un rapporto che forniva le linee guida per un servizio geriatrico completo. Più orginale la sua idea del Day Hospital for the Elderly, e il Cowley Road Day Hospital aperto nel 1957, che fu il primo al mondo. Poiché tendenzialmente incline per la riabilitazione ma anche per la sua formazione chirurgica, il dott. Cosin, anche se in seguito si allontanò dalla Società Geriatrica per avvicinarsi alla Royal Association for Disability and Rehabilitation, è ricordato come uno dei più grandi innovatori nel suo campo con l’ospedale per gli anziani.
La Geriatria in Italia
Nel nostro Paese la Medicina Geriatrica muove i primi passi intorno agli anni ’60 sulla consolidata esperienza di quella inglese, anche se qualche cenno lo si riscontra dal 1950 con la costituzione della Società di Geriatria e Gerontologia (SIGG), con il fine di promuovere e coordinare gli studi sulla fisiopatologia della vecchiaia, oltre ad affrontare gli aspetti socio-assistenziali. Con il progressivo aumento dell’età media della popolazione e delle problematiche età-correlate, la Geriatria andò sempre più affermandosi sia a livello accademico che sanitario. Nel 1953 venne dato alle stampe il Giornale della Gerontologia (organo ufficiale della SIGG), e nel 1955 presso l’Università degli Studi di Firenze venne istituito l’insegnamento della Geriatria. Nel 1961, sempre a Firenze, venne istituita la prima Scuola di Specializzazione in Geriatria, e nel 1962 la Cattedra di Geriatria e Gerontologia, affidata al prof. Francesco Maria Antonini (1920-2008), incarico che ricoprì sino al 1990. Fu tra i primi, in Italia, a comprendere la progressiva evoluzione della società italiana verso l’invecchiamento, prodigandosi nel cercare soluzioni che potessero rendere migliore la condizione degli anziani. «Il cattedratico – come viene ricordato in un passo da Medico delle Edizioni Polistampa del 2014 – non concordava con quanti sostenevano che l’aumento della vita media e il calo delle nascite hanno determinato un invecchiamento della popolazione, ritenendo, invece, che ci sia un ringiovanimento della popolazione giacché la giovinezza si è spostata più avanti e la vita attiva è diventata più lunga. Il vero problema è che si è allungata anche l’attesa della morte». Nel 1986 venne fondata la Società Italiana dei Geriatri Ospedalieri (SIGOs) con la finalità di identificare i compiti ed i ruoli della Geriatria Ospedaliera, nonché di qualificarne le attività attraverso la promozione della lotta all’emarginazione dei pazienti anziani, alla disabilità e alla cronicizzazione della malattia durante il ricovero ospedaliero.
La vecchiaia non una malattia, ma la “rivalutazione” delle proprie risorse
È indubbio che la società attuale sta accogliendo sempre più anziani, sia pur ognuno diverso dall’altro per salute e per condizioni socio-economiche e, per rigettare il concetto di malattia, la vecchiaia dovrebbe essere intesa come il periodo di ulteriori risorse individuali e collettive, attraverso le quali poter “rigenerare” il proprio fisico e la propria mente anche se non si possono negare i non pochi casi di coloro che vanno incontro ad una serie di alterazioni fisiopatologiche legate all’invecchiamento. Vi sono in effetti molte condizioni patologiche croniche e invalidanti che la persona accumula nel corso della vita e che non possono essere eliminate; molti anziani sono costretti a vivere in precarie condizioni economiche e sociali; altri ancora, sono più vulnerabili alle malattie acute di ogni altro gruppo della popolazione. Ma a parte le cosiddette fasce “più deboli”, quelle affette da patologie croniche e invalidanti, molti altri anziani rientrano nella sfera della “continuità attiva” sull’esempio di quanti hanno saputo dare valore ai propri anni e alla propria esistenza, oltremodo animati da spirito di libertà e avventura… Tra essi sono da considerare come una risorsa: nella cultura e nel sociale spesso sono attivi e costanti, tanto da fondare e frequentare movimenti e associazioni in vari contesti. Attraverso le più svariate discipline artistiche e/o sportive, ad esempio, l’anziano trova i risvolti più significativi della sua esistenza che gli consentono di esprimersi, realizzarsi, imporsi nella società, apprezzare di più la vita, “ritrovare” se stesso… La terza età, dunque, non è da considerarsi come una malattia, bensì una tappa dispensatrice di saggezza. Cicerone scriveva: «La natura non può aver trascurato l’ultimo atto», giacché è inconfutabile che una sana e buona vecchiaia è motivo delle esperienze acquisite, del nuovo modo di leggere e vedere le cose, di giudicare senza animosità. Il dottor Albert Schweitzer (1875-1965), medico, filantropo e premio Nobel per la pace nel 1952, negli ultimi suoi anni di vita ebbe a dire che le malattie tendevano a lasciarlo molto rapidamente perché nel suo corpo trovavano poca ospitalità. Ma altrettanto realisticamente Margaret Willour (1892-1988), infermiera statunitense con oltre mezzo secolo di esperienza, sosteneva: «Mai perdere di vista il fatto che i vecchi hanno bisogno di poco, ma di quel poco hanno tanto bisogno». E ciò pone inevitabilmente una domanda: in cosa consiste l’età della saggezza? È quella in cui si può dare una risposta a qualunque domanda, ma non c’è più nessuno che vi fa delle domande! Ciò allude alla poca considerazione degli anziani, spesso elusi dalla classe politica; ma anche i politici invecchiano, non certo con saggezza ma con quel tanto di egoismo sufficiente per rientrare in una classe privilegiata grazie alla loro pensione, e altri vitalizi…!