SCRIVERE E DIVULGARE PER APPAGAMENTO INTERIORE O PER MERO GUADAGNO?

Il particolare mondo dell’editoria non sempre è rispondente alle aspettative degli autori. E sono sempre più rari gli scrittori per spontanea dedizione, ancor meno quelli con finalità filantropiche. Lo storico esempio del dottor Albert Schweitzer.

di Ernesto Bodini (giornalista e opinionista)

Da sempre si legge, si studia e quindi si scrive. Tre verbi indissolubili che accompagnano l’umanità sin da epoche remote. Si ritiene che l’invenzione risalga all’epoca della Dinastia Tang (618-907), anche se esistono esempi di epoche precedenti: un tessuto con disegni fantasia risalente a prima del 220 d.C. in Cina e alcuni reperti scoperti in Egitto databili al VI o VII secolo, e ciò per la necessità (e il piacere) di comunicare, di confrontarsi, acculturarsi, istruirsi e quindi di aiutarsi. Ma venendo ai secoli più recenti sono nati gli editori con il fine di pubblicare non solo giornali e riviste, ma soprattutto libri. A questo punto mi chiedo: perché si scrivono libri? È una domanda che personalmente non ho mai sentito porre da nessuno, eppure le risposte possono essere diverse. I più illuminati direbbero di voler essere utili per diffondere quel sapere di cui si ha bisogno (a seconda degli argomenti), le proposte tematiche sono infinite e la cui scelta è determinata da interessi e gusti diversi. Poi molti scrittori-divulgatori scrivono per appagare il proprio interiore, una sorta di egotismo ed elevazione a catarsi come ad esempio chi compone poesie e chi scrive di narrativa (romanzi, racconti ameni, favole, etc.); mentre gli storici e i biografi oltre ad appagare se stessi nel far sapere, si rendono utili a quei lettori e/o studiosi che hanno bisogno di colmare le loro lacune…  Si prendano, ad esempio, anche gli specialisti nelle varie Discipline della scienza e della tecnica, che sono variatissime in quanto oggetto di studio per le infinite esigenze della società. Infine si scrive anche per fini commerciali, tanto che l’editoria per antonomasia è un’industria che deve realizzare per se stessa e per favorire l’indotto. In quest’ultimo caso lo “scambio” pubblicazione-denaro ha sì una sua giustificazione, ma nello stesso tempo fra le parti si instaura una corsa (sempre più spasmodica) per appagare le proprie esigenze che, crisi attuale a parte, sono decisamente impari.  Se è vero che il prezzo di copertina dei libri, ad esempio, è dettato dal mercato, è altrettanto vero che viene lecito chiedersi come si fa a valutare un’opera di un autore rispetto ad un altro, specie se entrambi “sconosciuti” al pubblico. Probabilmente entrano in gioco altre dinamiche come ad esempio il formato, il tipo di carta, la cromia e il numero delle copie da diffondere, tenendo presente i vari costi per realizzare una determinata pubblicazione, non ultime la pubblicità e la distribuzione. Ma per quanto riguarda gli autori, spesso conta lo scrivere un libro per realizzare un certo guadagno, o per dare visibilità al proprio ruolo professionale, se non addiruttura politico-isituzionale (perpetuo ritorno d’immagine) come si potrebbe dedurre dalla recentissima pubblicazione del ministro degli Esteri Luigi Di Maio che, volutamente a mio avviso, ha per titolo “Un amore chiamato politica – La mia storia e tutto quello che ancora non sapete” (edito da Piemme), come voler dire sappiate chi sono e non scordatevi di me… che molto probabilmente leggeranno solo i suoi fedelissimi, alcuni avversari e qualche curioso (non certo il sottoscritto); altri autori, invece, si accontentano (si fa per dire) del solo fatto di aver saputo realizzare un’opera letteraria sia pur di un certo pregio e interesse culturale. Personalmente non conosco da vicino il mercato dell’editoria, mentre conosco un po’ meglio quello di determinati autori (davvero pochi) che amano scrivere soprattutto per soddisfare quell’Ego che non è saccenza o simili, ma compensazione di un vuoto che solo una buona ed utile pubblicazione può giustificare.

Insomma, una sorta di egoismo-altruismo che raramente (per non dire mai) include il lucro… se non per finalità filantropiche. A questo proposito mi sovviene l’esempio del dott. Albert Schweitzer (1875-1965), teologo, filosofo, musicologo, medico filantropo e scrittore, appunto, al quale le pubblicazioni hanno procurato compensi che per la maggior parte ha devoluto a sostegno della sua attività filantropica in Gabon: lo stesso premio Nobel per la Pace che ha ricevuto nel 1952 (33.480 dollari) lo ha impegnato per completare l’ospedale dei lebbrosi. Il dott. Schweitzer ha scritto molto e con non poca fatica, considerando gli scarsi mezzi dell’epoca; una produzione letteraria biografica, autobiografica e anche scientifica (che in parte ho l’onore di possedere) che chiunque, oggi, può conoscere con il notevole vantaggio di apprendere nozioni e soprattutto saggezza per la vita pratica e spirituale quali, ad esempio, Filosofia della civiltà e Storia della ricerca sulla vita di Gesù.Ecco che, a mio modesto avviso, essere dei bravi scrittori, comunque divulgatori in senso lato, può avere un senso soprattutto se scriviamo e leggiamo per apprendere ciò di cui abbiamo bisogno di sapere per continuare a dare un senso più razionale alla nostra esistenza. Ancora una breve considerazione: c’é chi scrive per volontariato, ma questo è un altro capitolo che meriterebbe un approfondimento a parte!

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