Rita da Cascia: una Storia Avvincente e di secolare Memoria

Basilica di santa Rita

Rita da Cascia, popolarmente la Santa degli impossibili, nonché la Perla dell’Umbria, a cui ricorrere in ogni avversità

di Ernesto Bodini (giornalista e biografo)

Si fanno sempre delle scoperte interessanti “rovistando” tra i propri documenti-ricordi trascurati, o che non si pensava di aver conservato perché all’origine si dava poca importanza. E, oggi, a distanza di anni, ritrovarsi tra le mani un reperto storico letterario non privo di fascino… suscita un certo effetto. Si tratta di una minuscola pubblicazione sulla storia di Santa Rita da Cascia, risalente agli anni ’50-’60 ancora in buono stato e, sfogliarla, provo una cristiana emozione perché con il tempo tra tutti i Santi che popolano il parco dell’Eden, questa Santa è diventata il mio punto di riferimento e di sostegno in più occasioni, soprattutto nei momenti in cui la mia salute in più occasioni è stata messa a dura prova. Non me ne vogliano gli atei e gli agnostici (medici compresi), ma ricordare questa “avvocatessa” (contro la sofferenza) dal punto di vista storico-biografico, credo sia mio “dovere” e al tempo stesso possa essere un “toccasana” per tutti (quindi anche per loro), giacché tra intercessioni e miracoli l’elenco non è poi tanto esiguo. Ma chi era Costei? Figlia di Antonio Lotti e Amata Ferri, due “pacieri” del villaggio, dediti a coltivare un pezzo di terra sul pendio del monte e a curare pochi animali, Margherita (Rita) nasce a Roccaporena nei pressi di Cascia (PG) nel 1381. La sua venuta al mondo apre nel tetto della loro casa un pezzo di cielo, dove il suo cuore e i suoi occhi trovano spazio e silenzio per pregare e contemplare quanto di più celestiale si possa fare. Come tutti i giovani, anche Rita custodisce un sogno: il Chiostro; non per timore dell’uomo ma per rinuncia all’amore dell’uomo per l’amore più grande: la sua fede nella Provvidenza supera i calcoli della previdenza umana. Ma sin da subito Dio vuole da lei il sacrificio. Anche a quei tempi per i giovanotti di Roccaporena una sposa migliore non era neppure immaginabile. Paolo di Ferdinando è uno di questi, un po’ focoso e violento ma anche generoso come tutti gli impulsivi, sebbene abbia notato la giovane Rita evitarlo quando ha tentato di fermarla per un “modesto” approccio amicale; tuttavia con i suoi modi sbrigativi riesce a superare la titubanza di Antonio e Amata e a ottenere il “sì” di Rita. È stata Provvidenza? Viene da chiederci poiché tanto poco si sa di ieri quanto di oggi, e ancor meno del domani. Fu probabilmente un matrimonio senza amore nel senso puramente umano, ma va detto che chi accetta la volontà di Dio nulla accoglie o sopporta senza amore: un amore più forte e più sicuro di qualunque sentimento istintivo o ispirato da motivi umani. Ed è così che Rita percorre le vie del fidanzamento e della cerimonia nuziale in modo indissolubile. Ma chi era in realtà Paolo di Ferdinando? Non un uomo di casa, non amava la tranquillità del focolare domestico, e non accettava la responsabilità di uomo sposato. Era di temperamento assai focoso, dedito alle compagnie dissolute e alle avventure partigiane, allontanandosi dalla comprensione per la moglie, ancorché tendente alla violenza e alla vendetta. La vita famigliare gli era sempre meno congegnale e ogni pretesto era sufficiente per offendere e picchiare la moglie. Neppure la nascita di due figli è riuscita a cambiare la sua vita dissoluta… Ed è da questo triste quadro familiare che entra nel merito il concetto di amore e dedizione per chi si ama. La giovane sposa è martire dell’amore indissolubile e il suo martirio diventa la salvezza dello sposo. Rita è mamma e pertanto insegna ai figli il rispetto e l’amore per il padre, che tutti i giorni ama con lo stesso fervore e costanza. Ma un giorno, sul sentiero dove solitamente sostano ubriachi e mercenari, Paolo viene pugnalato. Con l’aiuto di brave persone e accompagnata dai figli Rita si reca sul posto del delitto, e fa ancora in tempo a vedere il marito ancora agonizzante, che muore poco dopo.

La povera donna rimane sgomenta per il dolore, acuito dalla pietosa visione dei suoi figli Giangiacomo e Paolo Maria; ma è il dubbio della salvezza eterna del marito che le procura angoscia, che esprime con pietose lacrime, penitenze e preghiere! Due orfani col temperamento del padre: nei loro occhi la visione del delitto e non meno il sentimento di vendetta, nonostante la madre nelle sue preghiere li esortasse al perdono per gli assassini del padre; quindi sempre più privi  dell’ideale di bontà, di carità e di perdono. Ecco che l’amore diventa sacrificio immedesimandosi in chi si ama e, sostituendosi nei suoi bisogni spirituali, Rita offre a Dio i suoi figi, prima che l’istinto della vendetta possa compiersi e impadronirsi delle loro anime. Una invocazione che viene esaudita perché i due giovani, colpiti da un morbo improvviso (altre fonti fanno riferimento all’essere stati colpiti da un fulmine entrambi e nello stesso momento), muoiono serenamente riconquistati dall’amore materno. Questa triste perdita porta la vedova a bussare umilmente a più monasteri come quello, senza esito, di Santa Maria Maddalenza delle Suore Agostiniane a Spello (Pg), dove pare non ci sia posto per le donne che portano il segno dell’uomo. Ma Rita non si abbatte e spesso va a pregare sullo scoglio che sovrasta Roccaporena, dove ha chiesto a Dio la morte dei figli prima che realizzassero il loro proposito criminoso. Da questa piccola altura  vi è lo sfondo poetico del suo atto d’amore, una sorta di visione di tre lucenti figure che si “materializzano” in San Giovanni Battista, Sant’Agostino e San Nicola da Tolentino; i tre santi ai quali i genitori di Rita avevano elevato le loro suppliche. A trentasei anni, vedova da poco più di un anno e sola, con le stigmate del dolore nel corpo e nell’anima, eccola ricominciare: diventa novizia e intraprende, come le sue consorelle, tutte le incombenze, anche le più umili. Ma tant’è. Il sentimento dell’amore porta alla immedesimazine con chi si ama, col prossimo e con Dio. Rita ama tanto il prossimo da immedesimarsi in lui: nei suoi dolori e nei suoi bisogni. La notte del giovedì santo del 1442, dopo aver ascoltato nella cattedrale di Cascia la predica di Padre Giacomo della Marca, mentre è inginocchiata davanti all’immagine del Crocifisso nel romitorio del monastero, una spina le perfora la fronte. La ferita si infetta ed emana un continuo nauseante fetore che la costringe alla solitudine e a patire un dolore indicibile. Così per quindici anni fino alla morte.

A Roma, ritorno a Roccaporena e la morte

L’Anno Santo 1450, in San Pietro si radunano molti cattolici provenienti da ogni parte del mondo, fra questi anche le monache di Cascia e Rita ormai 69enne. La sua piaga è quasi scomparsa e non riapparirà che dopo il ritorno. Il viaggio è lungo e faticoso; le monache  camminano, pregano e cantano per intere giornate consolate dalla fede dei Magi. A Roma Rita sa che vi sono il Papa, i martiri, le basiliche e le catacombe, tutte visioni che commuovono profondamente il suo umile cuore; visioni della Gerusalemme celeste. Di ritorno al suo paese natio, una mattina d’inverno Rita riceve la visita di una sua parente alla quale esprime il desiderio di avere una rosa e due fichi del suo orticello, nel quale, sopra la neve, è fiorita una splendida rosa e dal gran fico pendono due grossi fioroni maturi. Desiderio di cose semplici come i dolori della sposa e della madre sono profumo e miele. Un miracolo, si direbbe! Sette anni dopo la morte coglie Rita, confortata da visioni celestiali; liberazione dal dolore, sublimazione dell’amore. Le campane suonano a festa e tutto il popolo accorre per vedere e toccare il corpo della “santa”. Il tempo si è fermato davanti al suo corpo: da oltre cinque secoli è intatto e non raramente emana un profumo soave, quasi a voler benedire e allo stesso tempo ammonire i mali dell’Umanità. La Chiesa la dichiara Santa nel 1900, ma la devozione del popolo ha avuto inizio dal 1457. Il notaio Domenico d’Angelo autenticò i primi undici miracoli ottenuti per l’intercessione di questa Santa dal 25 maggio al 18 giugno dello stesso anno della sua morte. Nei secoli successivi la devozione a Santa Rita si estese a tutta l’Italia, all’Europa, alle Americhe e a tutto il mondo. Il popolo l’ha definita “La Santa degli impossibili”; Leone XIII “La Perla dell’Umbria”. Ma quali sono i motivi di questa universale devozione per una santa di umilissime origini, analfabeta, lontana da ogni attività rumorosa, ignorata dalla storia e perfino dalle cronache dei suoi tempi? Certamente i molteplici miracoli, come la splendida “pioggia di rose”, ma anche la sua stessa vita di fanciulla, di sposa, di madre, di suora. Ma soprattutto il suo modo di vivere la vita, completamente senza rimpianti, senza tentennamenti… Le sue sofferenze che hanno segnato tutti gli aspetti della sua vita. «È la vicinanza al nostro vivere quotidiano – come sottolinea Padre Stefano Rosario Sala nel testo della minuscola pubblicazione –, alle nostre croci tanto simili alle sue, al nostro misero andare tra il male fisico e morale, al nostro desiderio di purificazione. È il suo amore, l’atto interrotto che ha costruito la sua dolorosa scala di ascesa, che ha santificato e valorizzato tutte le sue azioni». Insomma, Santa Rita ha compreso quanto sia vero e bello ciò che ha detto il grande cuore di Sant’Agostino: «Ama e fa’ ciò che vuoi». Ci doni la Provvidenza gioie o dolori, salute o malattia, ci conceda di raggiungere i nostri sogni più belli o ci sbarri la strada con la vocazione alla sofferenza, ci accompagni con gente buona o cattiva, ci apra le porte alle grandi responsabilità o ci chiuda in un umile, insignificante lavoro. Amiamo e tutto diventerà luminoso e santo, per noi e per il nostro prossimo. Concludendo mi permetto di fare una considerazione. In questo periodo di sofferente pandemia, chissà fra quanti si sono ammalati di Covid l’hanno invocata (come chi scrive), non solo per ottenere la guarigione ma anche per rafforzare la propria fede… senza la quale ogni invocazione svanirebbe nel nulla!

Le prime immagini sono tratte dalla minuscola e storica pubblicazone originale.

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