RICORDO DI MAURIZIO SPATOLA

Un giornalista professionista, un poeta di grande cultura. Ma anche un amico che sapeva cogliere nell’Essere umano ogni sua valenza per la solidarietà

di Ernesto Bodini (giornalista e biografo)

Maurizio Spatola

Si sa che la vita è un continuo avvicendarsi, una sorta di cambio esistenziale incessante dalle scadenze e ed esperienze diverse, e quando tra i suoi protagonisti che ci hanno preceduto per quel lungo viaggio senza ritorno ve ne sono alcuni che abbiamo conosciuto, frequentato e stimato, allora tutto ci riporta maggiormente al mistero di quella destinazione che auspichiamo meritata nel senso della beatitudine, indipendentememte dall’essere agnostici o atei. Proprio come lo era Maurizio Spatola (nativo di Stradella in provincia di Pavia, classe 1946) che in questi giorni ci ha lasciato a seguito di una malattia, sopportata con dignità che non era stoicismo, ma piena coscienza di una di quelle tante condizioni cui l’uomo è spesso destinato. Ma perché ricordare Maurizio Spatola? Era un giornalista professionista dalla penna raffinata e sensibile, ancorché poetica, come ancora più fulgida è stata la vena produttiva di odi del fratello Adriano, tra i più significativi esponenti della neoavanguardia italiana (scomparso oltre trent’anni fa). Ho conosciuto Maurizio nei primi anni ’80 quando iniziai a “muovere i primi passi” nel volontariato dedito in particolare ai problemi degli handicappati (a quell’epoca questo termine era più ricorrente rispetto a quello di disabili). Lo contattai perché divulgasse le mie iniziative in questo ambito, e senza alcuna diffcoltà lo trovai disponibile per annunciare gli appuntamenti con il pubblico, primo fra tutti  quello della mia collaborazione (non profit) con Radio ABC, una emittente locale torinese che per dodici puntate settimanali mandò in onda il programma da me condotto intitolato “Una voce in più”, con commenti ed interviste sulla realtà dell’handicap in Piemonte. Da allora siamo diventati amici e qualche anno dopo, visto il mio costante impegno, mi intervistò per il quotidiano Stampa Sera, facendomi conoscere al pubblico; un lungo percoso che non è ancora terminato… Se questa è stata una breve e doverosa rievocazione della nostra conoscenza, ben più meritevole è ricordare l’amico Maurizio per la sua sensibilità per i disagi sociali, in particolare quelli sofferti dagli handicappati, cogliendo ogni sfumatura per la cronaca, avendo cura e rispetto della loro interiorità e quindi del loro vissuto, e ponendo l’accento sui loro diritti spesso non rispettati. È stato un cronista a tutto campo: da ogni suo “pezzo” emergeva la professionalità e il dovere dell’approfondimento, come durante qualche incontro con il pubblico a convegni e conferenze, mai atteggiandosi per come sapeva esercitare. E io credo che le sue radicate basi filosofiche, culturali e poetiche abbiano contribuito ad annoverarlo tra i protagonisti (guidati dal fratello Adriano) della sperimentazione artistica e letteraria. In seguito all’esperienza con l’editore La Stampa, ha esercitato come freelance dando il meglio di sé anche dopo aver perso la vista, imperterrito e mai arrendevole tanto che sul suo profilo personale all’interno dell’archivio online si legge: «… convinto che la realtà e l’esistenza stessa siano il prodotto di un paradosso patafisico, continua ad occuparsi di poesia visuale e arti visive». Nel corso degli anni, e precisamente fra il 1967 e il 1972, sue poesie concrete e visuali sono state pubblicate nell’antologia integrante il libro di Ezio Gribaudo “Il peso  del concreto” (1968) e sulle riviste Chicago Review (USA) “Ovum 10” (Uruguay), “La Battana e Signal” (Yugoslavia), “Approches e Doc (k)s” (Francia). Altri suoi scritti sulla poesia d’avanguardia sono apparsi su alcuni quotidiani e varie riviste letterarie. A testimonianza del suo “concluso” viaggio terreno, particolarmente toccante, a mio avviso, è quanto si rileva dai vari social.

«Ho raggiunto il luogo dove la poesia è infinita.Non sarò più con voi, a condividere le gioie e le sofferenze terrene, essendo ateo non mi aspetto molto da questo passaggio, ma se mi sbagliassi mi piacerebbe pensaste che ora sono con le persone care che hanno fatto questo viaggio prima di me, che mi sono riunito a mio figlio Gabriele, mio fratello Adriano, mia madre Dina e mio padre Vittorio. Forse dove sono ora è un luogo buio, ma non sarà un problema, ci sono abituato. Queste parole che avete letto sono state pensate da mio figlio Davide, che spero abbia saputo interpretare nel modo giusto il mio pensiero». È un commiato di immediata spontaneità, ma soprattutto la sintesi del suo pensiero, di una filosofia che richiama anche in questo caso l’estro poetico, pur in assenza di una non necessaaria rima, perché Maurizio era un poeta che sapeva andare oltre l’infinito e, forse anche per questo, non è detto che fosse totalmente ateo come riteneva di essere.

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