Sulla ricerca interiore o della felicità…

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Bertrand Russell scrisse un saggio divulgativo dal titolo “La conquista della felicità”. È vero che per gli antichi, come Epicuro, si poteva vivere una vita felice, mentre per noi moderni la felicità è fatta di istanti. Ma cosa dobbiamo fare per essere felici (più istanti possibili) o quantomeno soddisfatti e/o autorealizzati? A un primo livello basico bisogna cercare di evitare il dolore e ricercare il piacere. A un livello più evoluto bisogna cercare la verità e cercare di trascendere la morte o almeno cercare di distrarsi dal pensiero della morte (il divertissement di Pascal). Il problema maggiore è che in questa ricerca continua della felicità ci imbattiamo in questioni di ordine contingente e materiale, come tirare a campare, pagare le bollette, nutrirsi, avere una casa e un lavoro. Sono i cosiddetti bisogni primari di Maslow. C’è anche un altro problema di ordine psicologico: ognuno di noi ha ossessioni, schemi cognitivi, abitudini, dinamiche che condizionano la sua vita e che spesso agiscono in modo inconscio. Bisogna quindi farsi un continuo esame di coscienza e cercare di riportare alla coscienza il nostro materiale psichico spurio e soggiacente. Per dirla alla Berne (per quanto sia controversa e discutibile la sua struttura tripartita della psiche in genitore, bambino, adulto) tutti noi nella nostra vita giochiamo a un gioco, ma ben pochi sono consapevoli del gioco che stanno giocando. Bisogna fare quindi chiarezza e luce in noi stessi per approdare alla consapevolezza esistenziale: bisogna rendere conscio l’inconscio. È vero che ci sono cose che dipendono da noi e altre no. Non siamo responsabili del luogo di nascita, dei genitori e dell’ambiente, del nostro Dna, di molte persone che conosciamo. Fanno ridere certi guru della psicologia della crescita personale che sopravvalutano enormemente le colpe o i meriti del singolo individuo, come se ognuno fosse esclusivamente artefice del proprio successo o insuccesso. La psicologia della crescita personale in questo senso è un piccolo ma fiorente business, che si basa in gran parte sull’unica ideologia rimasta, quella del successo. Gli psicologi invece dovrebbero insegnare anche ai pazienti ad accettarsi, ad amare il proprio destino, seppur cercando di migliorarlo senza rassegnazione e fatalismo: tutto ciò naturalmente è un’impresa titanica. Il mondo non ci aiuta nella nostra ricerca della felicità. Anche il mondo è un grande gioco, le cui regole sociali ed economiche sono dettate da Machiavelli e Darwin. Cristo e Marx hanno perso o meglio ancora noi abbiamo perso Cristo e Marx. Il capitalismo non è finito, ha trovato nuovi sbocchi. Abbiamo una società senza classi, ma l’uguaglianza non si è realizzata. La forbice tra ricchi e poveri si è allargata. Il ceto medio si è impoverito. La caduta tendenziale del saggio di profitto, profetizzata da Marx, non si è avverata. Marx distingueva tra salariati e capitalisti. Ma Rosa Luxemburg aveva parlato di accumulazione del capitale: il capitalismo avrebbe continuato a esistere grazie ai Paesi più poveri. Bill Gates ha dichiarato che essere poveri è una colpa. Quindi essere ricchi è un merito. Lo show business ci propina in modo più o meno esplicito questo concetto in tante salse. Cristo e Marx hanno perso o meglio noi abbiamo perso Cristo e Marx. Tutti i meriti e i sacrifici sono dei vincenti (imprenditori, showgirl, calciatori, cantanti, giornalisti, politici). La saggezza e le verità dei perdenti sono messe a tacere. Chi fa ricerca interiore, spirituale, artistica è considerato un inetto, un essere inutile, da condannare o da compatire. I medici di Emergency, i responsabili della Caritas, chi fa volontariato non ricevono che un’attenzione mediatica sporadica e insufficiente. I mass media e il mondo dello spettacolo sono strumento di potere e a loro volta potere. È tutto show business. L’importante è farne parte per molti. Le contronarrazioni non sono ammesse. Insomma il mondo non ci aiuta nella nostra ricerca. Non è lasciandosi irretire dal canto delle sirene del mondo che noi troviamo la nostra dimensione autentica. La nostra ricerca deve andare in ben altra direzione. La nostra ricerca della felicità e della soddisfazione a ogni modo è condizionata e limitata da molti fattori. Ma forse un certo margine di libertà e di autonomia esiste. In questo senso anche la lettura di scrittori e poeti aiuta. Quanta verità psicologica ed esistenziale in certe opere, prima ancora che storica e sociale! Da questo punto di vista letterati e psicologi dovrebbero andare a braccetto. Invece noto che alcuni psicologi se ne infischiano delle verità della letteratura, attaccati come sono ai loro requisiti di scientificità,  e alcuni letterati non vogliono l’apporto delle scienze umane, criticando l’invasione di campo e condannando i cosiddetti sociologismi e psicologismi. Ritengo invece che il miglior modo per approdare alla verità,  quella umana, sia anche l’interdisciplinarietà. Gombrich proponeva appunto l’interdisciplinarietà e considerava l’arte non come mimesi ma come sostituzione di fenomeno all’altro in base alla pertinenza e alla soggettività. Gli unici modi invece di trascendere la morte sono amare una persona, avere dei figli, creare o pregare Dio.  Il massimo dell’autorealizzazione, intesa laicamente,  a mio avviso è la creatività artistica o scientifica quando una persona cerca la verità e cerca di trascendere la morte allo stesso tempo. Ma senza bisogno di essere creativi qualsiasi persona che ricerca la verità interiore,  la conoscenza, l’arricchimento esperienziale, la spiritualità può autorealizzarsi. La vita è un viaggio e al contempo una ricerca. Sono state fatte nel corso della storia del pensiero umano sottili distinguo tra intelligenza e ragione. Per approdare alla verità umana l’intelligenza e la ragione non bastano. Mario Luzi scriveva che bisogna accordare le sfere della ragione alle sfere del cuore e a mio modesto avviso aveva ragione. Questa è una cosa che per il momento l’intelligenza artificiale non può fare ed è la strada obbligata per essere veramente umani. 

N.b: nella foto scorcio di Sozzifanti di Pontedera

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