Raccontonweb: “L’ultimo linguista” di Margherita De Simone

L’ultimo linguista

Nei libri di storia sbadiglierà un paragrafo. Capitolo soffocato da calamità geografiche mutate in ere, e chiaro bagliore di scintille e riverberi distanti, alimentati d’ideologie e stupidità umane, comari quasi sempre a braccetto e vestite d’alibi l’une per le altre. Qualche illuminato e non illuminista, dall’alto d’altro secolo, fu veggente dalle oscure quanto francesi origini, lo profetizzò come zaffiro occhio blu. Ma si sa le Centurie di  Michel, gargoyle  sulle guglie,  lo fecero servo di tetri giochi di parole, cocktail di vari codici. Tuttavia il tempo fece riconoscere il sommo nazionalista/linguista in un vetro, lo schermo palese e amplificante nel megafono di mille echi, il mago di Oz dietro ceruleo paravento. Nato sotto il segno della bilancia, patì male tribunali e sentenze, quindi di equo non ebbe che una convinzione: “Non è intelligente votare contro i propri interessi facendo il proprio disinteresse”, tesi funambola e ardita d’imparzialissimo giudice nell’attribuire alla lingua le stesse potenzialità della matematica. Il suo amore per la lingua non si estinse nei comizi, ma indulse (docet la passione per questa voce verbale al passato, e per egli più nota come indulto) anche all’ironia e finanche alla poesia, resa nella sua infinita misericordia, come parola accessibile al popolo nelle sembianze di perversa barzelletta, sfoggiata con un discutibile buon gusto, in occasioni speciali ed ufficiali come nei rapporti con l’estero. Si circondò di bellezze, d’ogni età e genere per vivacizzarsi la vita, ma ciò non gli impedì d’amare la propria famiglia, specie per perpetuare il proprio impero. Ebbe un animo lucido e una mente che spesso inciampava nel dubbio delle proprie affermazioni.  Dalle folle raccolse consenso, affamate com’erano da tempo di una buona dose d’illusioni, raccomandando di non spegnere mai gli schermi e di non abbattere gli argini, e tutti quei cavalli di Frisia che tutelavano la dritta via. La sua pacata moralità e l’aspetto da pittura statica e vascolare, non risparmiarono esplicite invettive ai propri predecessori, sempre citati a dire il vero, come rei nei discorsi tesi ad accertare la decadenza del Paese.  Degno di essere menzionato fu quel casus belli, che gli costò un dente e la frattura della mandibola, ad opera di un longobardo (?) e nonostante ciò, facinoroso, che volle investirlo d’arte tramite il lancio di una miniatura del Duomo di Milano. Ma l’evento non ottenne altro risultato che santificarlo, immolato  sull’altare delle proprie, quanto reputate, collettive ragioni. Egli sorrise, forse perdonò,  nell’intento di  raccogliere  pietà e ammirazione, come usa fare per ogni eroe.  La sua battaglia più grande e da sé distante, fu la lotta senza quartiere dichiarata a quei quartieri che dall’estremo della penisola facevano arrossire tutti gli italiani. Ma qui non conseguì vittorie; troppo titanici i cumuli di rifiuti e le ragnatele che essi nascondevano. La sconfitta eluse i confini, anche quelli con cui egli si legò.

 

Margherita De Simone

Per lei scrittura è camminare, apparecchiarsi un’abitudine che possa uccidere la propria storia con altre storie. È anche spaziare sulla musica, emozioni, invenzioni.

Pubblica con Aletti, Damster, Perrone, Edit@ Casa Editrice, Poesièrivoluzione e Progetto Babele.

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