QUANDO LO STRAPOTERE FAVORISCE SCARSA LICEITÀ VERSO I PROPRI SIMILI

di Ernesto Bodini (giornalista e opinionista)

 

 

Sino a qualche tempo fa, e forse ancora oggi, si usava dire: “L’esempio vien dall’alto”; come pure l’educazione viene dalla famglia, dalla scuola, dallo Stato, etc. Poi, però, dal punto di vista della comunicazione bisogna fare i conti con l’ormai superato concetto dell’essere “pudico”, termine obsoleto non dal punto di vista etimologico bensì da quello comportamentale. Tutti aspetti che in qualche modo rientravano, sia pur di riflesso, nella allora educazione civica, materia oggi anch’essa desueta ossia non più in linea coi tempi. Ma tutto questo quanto rientra nel modus vivendi e di intendere di un premier come Matteo Salvini, i cui “buoni” propositi di gestione governativa non sono certo in linea con il suo linguaggio plateale e a furor di popolo? Recenti ad esempio le sue battute, come quella espressa in occasione di un incontro pubblico, al passaggio di una ambulanza con sirena accesa si è così espresso: «…il solito rosicone di sinistra che ha finito il malox…», una frase ad effetto che nulla c’entrava con l’argomento in corso, ma che ha suscitato un consistente applauso degli astanti (peccato che non ci fosse un applausometro perché in quel caso lo si sarebbe potuto decretare vincitore di tale performance!). Ed è anche di questi giorni l’episodio di una capotreno del regionale Trenord diretto a Mantova, che ha invitato all’altoparlante i passeggeri a non dare monete ai molestatori e nemmeno agli zingari, aggiungendo una ulteriore frase volgare e quindi offensiva nei confronti di costoro. Nonostante tali espressioni e il fatto che la capotreno è un pubblico ufficiale in servizio, il Salvini ne ha preso le difese (La Repubblica 9/8/2018) accampando “giustificazioni” contro gli extracomunitari o cittadini non italiani (sia pur con i distinguo) che ben conosciamo. Altro esempio di libera liceità da parte dei nostri rappresentanti, è dato dall’espressione in sede di Parlamento del deputato Matteo Dall’Osso, intervenendo con veemenza e in modo scurrile verso l’Aula nel sollevare le mancate attenzioni al problema dei disabili; intervento ripreso dal presidente della Camera Roberto Fico con il minimo tentativo di richiesta di censura.

E per finire, il 2 agosto scorso, sempre durante una seduta parlamentare, i media hanno ripreso le scaramucce tra Roberto Fico e Vittorio Sgarbi. Il presidente della Camera ha richiamato il parlamentare ben due volte chiedendogli di usare un linguaggio più consono, ma per tutta risposta, Sgarbi lo ha mandato a quel paese a microfono ancora aperto (Youtube). E se andiamo a rievocare le espressioni, seppur non volgari, dell’ex premier Matteo Renzi (basterebbe pensare agli atteggiamenti da despota), allora c’è da chiedersi fin dove potrà arrivare il grado di moralità della nostra stirpe politico-genitoriale del momento, e quale esempio per le nuove generazioni. Va detto per inciso, che tutto ciò non significa essere pudici o meno, ma poiché la lingua italiana è forse la più ricca di vocaboli, non è proprio il caso di scegliere quelli più indecenti per rafforzare il senso di quello che si vuole comunicare, od ancor peggio, si vuole inculcare… Del resto, si pensi se il linguaggio di cui sopra venisse usato da un presidente della Repubblica o da un alto prelato… tanto per non “scomodare” addirittura il Pontefice; o se i suddetti citati si rivolgessero a questi ultimi in modo scurrile o comunque poco consono…! Di certo ciò non avverrebbe, e questo sta a significare che l’ipocrisia è sempre una sorta di paravento che qualifica i nostri parlamentari e, quel che è peggio, purtroppo, è che costoro hanno sempre un seguito; come del resto lo hanno avuto eminenti rappresentanti pubblici che sono stati immortalati dai media, l’uno con il segno mimico delle corna a palmo di mano, e l’altro con il dito medio della mano rivolto verso l’alto, i cui significati sono comprensibili anche ai non adulti. L’attuale coincidenza che tra i personaggi su citati tre hanno in comune il nome “Matteo”, dovrebbe essere di buon auspicio. Ma peccato che di San Matteo apostolo ce ne sia uno solo, meritevole di tale appellativo. Meditare su questo ed altro ancora, in proiezione del futuro, a mio avviso ritengo che sia il minimo che si possa fare; ma purtroppo la massa vociante è solo capace di riempire le piazze: urlare, inveire, minacciare e poi applaudire chi si esprime con tono altisonante e povertà dei più leciti vocaboli.

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