PROTAGONISTI DELLA SOLIDARIETÀ UMANA “A MODELLO”
Grazie a biografi appassionati rievochiamo nobili esempi di vita… di cui la società d’oggi ha sempre più bisogno.
di Ernesto Bodini (giornalista e biografo)
Il lavoro dei biografi si va estinguendo? A me sembra che questa categoria “illuminata” sia un po’ in declino, nonostante gli editori sfornino numerose pubblicazioni. Di queste non è detto che ve ne siano molte dedicate a far “riemergere” la vita e le opere di personaggi che, a vario titolo, hanno dato un proprio tangibile contributo all’umanità. Io credo che il numero di questi protagonisti del buon vivere non sia rapportato al pari del numero dei biografi, in quanto volendo fare una severa cernita una buona parte di questi ultimi è più orientata a far conoscere vita e opere di personaggi che all’umanità hanno creato più danni o preoccupazioni che altro. Quello che mi preme evidenziare, invece, sono le biografie di personaggi illustri, che non sono pochi, ma che a parer mio destano minor interesse tant’è che tendono ad essere dimenticati. Personalmente, quale biografo, studio e divulgo la vita e le opere di quelli che definisco ”I “veri” eroi della rinuncia e del sacrificio”, e poiché siamo circondati da uomini pieni di miserie morali, è doveroso dare spazio illimitato a personaggi dai grandi volti, agli eroi dello spirito (non dell’azione, ma della rinuncia e del sacrificio: personaggi da scavare nel profondo: nel mondo c’è chi fa l’uomo e c’è, invece, chi è autenticamente uomo. Ebbene, di questi ne voglio citare alcuni, ossia quelli che hanno suscitato la mia curiosità e il mio profondo interesse e, per questo, stimolato il mio spirito di immedesimazione, proprio come se avessi vissuto ai loro tempi. Inizierei con il ricordare la figura dell’alsaziano Albert Schweitzer (1875-1965), filosofo, teologo, protestante, organista e soprattutto medico filantropo che, con la moglie Helene Bresslau, dedicò la sua esistenza alla cura fisica e spirituale delle popolazioni in Gabon. Negli anni ‘50 il suo nome, noto sino ad allora in cerchie intellettuali ristrette e nelle minoranze protestanti, godette anche in Italia di una vasta fama. Fu tra i maggiori difensori internazionali della causa della pace e dei movimenti antinucleari. Aveva fatto l’esperienza diretta della prima guerra mondiale e si era sentito ossessivamente coinvolto dalla seconda e dalle sue conseguenze, ma aveva anche dimostrato nei fatti come fosse possibile servire la causa della pace occupandosi dei vivi e dei poveri. Forse tardi, ma ancora in tempo Schweitzer comprese che l’amore per il prossimo (il vero fine dell’esistenza, la poetica “escatologia” alla quale portava il mistero della Fede, ben al di là delle questioni filosofiche e teologiche) non poteva avvenire se non sacrificando la propria vita, nel corso della quale ne trasse l’amara constatazione di vivere “in un periodo di decadenza spirituale”, dove «la rinuncia a pensare è una dichiarazione di fallimento, ma anche la forza di combattere per far recuperare dignità all’essere umano». A questo illustre esempio di etica e moralità nel corso degli anni diverse sono state le interviste, soprattutto durante e verso la fine della sua esperienza, fra queste gli fu chiesto cos’è il rispetto per la vita. Più volte, a riguardo, ebbe modo di ricordare: «Se l’uomo vuol far luce su sé stesso e sul suo rapporto con il mondo, deve prescindere dalla congèrie di elementi che costituiscono il suo pensiero e la sua cultura, e rifarsi al primo fatto della sua coscienza, il più immediato, quello che è perennemente presente. Solo di qui può giungere a una visione ragionata del mondo… L’affermazione della vita è l’atto spirituale con cui egli cessa di lasciarsi vivere e comincia a dedicarsi alla sua vita con rispetto per elevarla al suo vero valore. Affermare la vita è approfondire, interiorizzare ed esaltare la volontà di vivere… L’etica del rispetto per la vita comprende dunque in sé tutto ciò che può essere definito con amore, dedizione, partecipazione nel dolore, nella gioia e nella fatica… Il rispetto per la vita nato nella volontà di vivere divenuta consapevole contiene, strettamente congiunte, l’affermazione del mondo e l’esigenza morale. Essa cerca di creare valori e realizzare progressi che giovino all’ascesa materiale, spirituale ed etica dell’uomo e dell’umanità».
Altro personaggio di egual valore morale per scopi umanitari è stato il sacerdote milanese Don Carlo Gnocchi (1902-1956), il quale dedicò instancabilmente e con veemenza la propria vita per il recupero fisico, morale e psicologico di tanti giovani meno fortunati, basato su ottime conoscenze pedagogiche arricchite da inesauribile forza di volontà e carità cristiana; e quindi alla educazione e l’avvio all’istruzione e alla svariate attività professionali al fine di ottenere per loro un onesto inserimento nella società. Fu un sacerdote fino in fondo: mai un bigotto, un uomo al totale servizio dell’umanità. Nel dopoguerra si dedicò in particolare alla accoglienza e assistenza di molti piccoli mutilati, resi invalidi dai bombardamenti e dilaniati dagli ordigni bellici scoppiati loro tra le mani; così pure ebbe dedizione per tanti piccoli poliomielitici colpiti dal virus poiché sino ad allora non esisteva ancora il vaccino. Fondò istituti in tutta Italia per il loro recupero fisico e psicologico, aiutandoli a crescere e preparandoli ad affrontare, una volta adulti, la società e il mondo del lavoro. Morì a soli 54 anni e il suo ultimo gesto profetico e di bontà fu quello di offrire i suoi occhi perché riacquistassero la vista due suoi piccoli protetti: Silvio Colagrande e Amabile Battistello (tuttora viventi). Don Carlo ci è dato come esempio, il cui valore è oltremodo espresso nella dedica che il 20 marzo 1940 fece a sua cugina Luisa: «Molti si preoccupano di stare bene, assai più di vivere bene. Per questo finiscono anche per vivere molto male. Cerca di fare tanto bene nella vita e finirai anche tu per stare tanto bene».
Nel campo medico, per la verità, non sono molti quelli che oltre al loro contributo scientifico hanno avuto un’indole filantropica. Tra questi, figura il virologo e pediatra polacco, naturalizzato statunitense, Albert Sabin (1906-1993). A lui l’intera umanità deve la preparazione del vaccino attenuato orale contro la poliomielite, giungendo a tale scopo dopo oltre sei lustri di ricerca ed esperimenti. Prima di rendere pubblica tale scoperta, dimostrò l’innocuità dei suoi virus attenuati assumendoli egli stesso e somministrandoli alle proprie figlie (Amy e Deborah), oltre su due collaboratori e su detenuti volontari. «Solo per aver conferma – spiegò più volte – che non provocava effetti secondari negativi. Personalmente non correvo infatti il rischio di ammalarmi perché disponevo di anticorpi antipolio, avendo contratto il male in forma lieve da bambino». Poiché era ebreo, ancora adolescente al suo paese d’origine alcuni coetanei gli lanciarono un sasso colpendolo all’occhio sinistro, e poiché era nato non vedente dall’occhio destro, ancora qualche millimetro e non avrebbe avuto una vita: sarebbe rimasto completamente cieco (già… per qualche millimetro l’umanità sarebbe stata priva di un grande scienziato). In merito al generoso contributo, ossia la realizzazione del suo vaccino che non volle mai brevettare, più volte ebbe a precisare: «Non voglio che il mio contributo al benessere dell’umanità sia pagato con della moneta… I nostri sforzi devono essere rivolti per debellare le sacche di povertà che si stanno sempre più allargando. Qui troviamo i bambini più bisognosi di difesa, i piccoli che nascono da madri spesso sole, prive di ogni possibilità economica, a volte incapaci di assisterli. Sono bambini di Paesi ricchi che rischiano di morire di stenti come succede nei Paesi sottosviluppati». Oggi, oltre 2,5 miliardi di persone hanno potuto essere vaccinate con il vaccino che porta il suo nome, e la polio è debellata in quasi tutto il mondo. Anche questo protagonista del benessere umano era ricco di saggezza, come si conviene agli uomini umili e semplici, e nonostante la preziosa realizzazione scientifica non gli fu riconosciuto il Nobel per la Medicina e, a riguardo, senza rammaricarsi spiegò: »Sono stato candidato diverse volte, ma evidentemente c’erano altri che lo meritavano più di me…». E aggiunse: «Non cercare un premio, perché tu hai una grande ricompensa su questa terra: la gioia spirituale che soltanto il giusto possiede».