I Giovedì della Poesia: “Altre prose poetiche” di Davide Morelli

prose poetiche
ATTI IMPURI
Le strade, le case, i palazzi, i rami spogli, le grondaie ossidate, tracce di pneumatici sull’asfalto, strisce pedonali cancellate, echi di risate, frammenti di discorsi, fotoni sibillini, associazioni mentali, luna park della psicofisica, ricordi lontani, immagini care, intrise di questa brezza leggera, di questo pulviscolo che i poeti vogliono trafitto da lame di luce. Chi cerca la sua verità nell’amore, chi cerca l’amore nella verità. C’è chi lo chiama caos e chi Dio. Le strade, le case, i palazzi, i rami spogli. Cosa resta dell’io che non è io, del tu che è anche proiezione, di un noi che non è mai stato noi? Mangiare, lavarsi, parlare, fare qualcosa, camminare, dormire, svegliarsi di nuovo. Così fino alla fine in un impasto di cose e parole. L’imperativo è adattarsi, a costo di snaturarsi. Lo strato più superficiale dell’epidermide cambia continuamente. Esiste un nucleo inalterabile? Le strade, le case, i palazzi, i rami spogli. Qui atti impuri in una camera solitaria nel buio della notte. Altrove fame e guerra. Qui la solitudine è un privilegio inutile. Leopardi aveva lo stomaco sempre pieno. Il primo vagito e l’ultimo rantolo. Tutto qui. Cosa resta, se poi tutto alla fine scompare? In attesa di ricomparire…
QUATTRO CHIACCHIERE
Quattro chiacchiere tra amici seduti sulla solita panchina della solita piazza, in cui ognuno racconta sé stesso. Effimero ed eterno, se l’eterno esiste. È tutto un Matrix, ma bisognerebbe avere un posto nel mondo. Bisognerebbe trovarlo. Il posto per l’anima oggi non c’è. Nella solitudine vengono fuori sempre l’irrisolto e i nuclei psicotici, che tutti abbiamo. Ci salutiamo. Guardo il sole che tramonta là alle pale eoliche. La sua macchina svolta, si allontana, si perde nella circonvallazione. Sul mio volto un piccolo guizzo d’ironia si disvela. Solo un attimo. Un grumo, un nodo, un gorgo. I soliti pensieri e vado verso casa.
L’ORIZZONTE DEGLI EVENTI
Credere in qualcosa o qualcuno. Magari anche nel proprio niente. Di questi tempi sarebbe quel poco che invece è molto. Ma nel mondo c’è un grande vuoto, in cui ognuno rispecchia il suo vuoto. Chi non lo vede è perché è abbacinato dal Nulla che c’è. E tu a quale vuoto appartieni? Quale vuoto ti appartiene? Non apparteniamo neanche a noi stessi. Camminavo stamani nel mio quartiere, passavo in mezzo a gente estranea e indifferente. Una pioggerellina fine tamburellava sul mio ombrello. Gocce serpeggiavano e zigzagavano sulla vetrata del bar. Interazioni sociali minime come salutare, bere il cappuccino, salutare di nuovo. Mia madre, un uccellino prigioniero in un letto d’ospedale, che guardava il mondo là fuori. Ragazze diventate madri. Amici scomparsi. Un guazzabuglio di voci e volti. Io sono solo un camminatore solitario, che fa sempre le solite strade, e un uomo attempato che guarda alla finestra scene di vita quotidiane nel parcheggio del supermercato dagli alberelli di biancospini fioriti. Oh nella vita quotidiana chi osserva solamente non modifica niente. Questo accade solo nella microfisica! Cosa volete che vi dica? Ho già detto troppo. Del resto non vi è dato sapere. Dall’orizzonte degli eventi di un giorno qualsiasi di un uomo qualsiasi questo è tutto.
DOVE NON SIAMO MAI STATI
Bisognerebbe essere dove non siamo mai stati, in angoli sperduti e sconosciuti del mondo o anche solo degli altri, di noi stessi. Tu pensa pure che queste siano solo le parole di un represso o di un insoddisfatto sessuale e probabilmente hai ragione. Io che non conosco più l’amore! Ma non sono io che scelgo pensieri e parole. Sono loro che scelgono me. Scelgono uno che fa sempre le solite strade del mondo, di sé stesso, di uno che non sa più che cos’è l’amore.