Premio di poesia “Paola Albanese”: le opere terze classificate

Oggi, con la pubblicazione delle opere terze classificate, chiudiamo definitivamente il premio di poesia “Paola Albanese”, organizzato dal nostro giornale, dall’ente di promozione sociale Il granello di sale e dal portale letterario L’isola della poesia.

Le opere che hanno raggiunto il terzo gradino del podio sono “Profumo di madre” di Marilina Daniele, per la sessione “poesia per la mamma”, e “L’amica ebrea (Tunisi, 1942)” di Davide Rocco Colacrai, per la sessione “poesia a tema sociale”.

Prima di lasciarvi alla lettura di questi versi, vi ricordiamo che da sabato prossimo riprenderemo a pubblicare poesie scelte tra quelle inviate da voi lettori. Se avete qualcosa da proporci, scrivete a ilmiogiornale@infinito.it, allegando al messaggio (in un file formato .rtf, .doc o. pdf) l’opera ed una vostra breve biografia. Se lo desiderate, potete mandarci anche una vostra foto. Gradiamo particolarmente poesie su tematiche sociali.

 


Profumo di madre

Un profumo

è l’aria meravigliosa di un momento,

analogia di un ricordo lontano

come l’odore di mia madre,

quando la mia stagione

era ancora benestare di premura,

di certezza

di tutela.

Nel suo abbraccio

v’era un essenza che mai più olfatto ha fiutato,

quel giaciglio termico che solo d’inverno s’assapora,

tepore insonne di un intimo camino.

Ora in quest’aria anonima,

sono una quercia salda alle tempeste,

vincolata alla renitenza,

flessibile al turbine,

resistente al freddo.

Eppure talora non mi sento così rovere,

ma solo un filo d’erba

che piange in solitudine,

e si ninna da sola.

Poi soggiunge la pioggia che mi rigenera,

il freddo che mi restaura,

il caldo che mi infervora,

e ritorno quercia,

ritorno adulta,

figlia

e profumo futuro.


L’amica ebrea (Tunisi, 1942)

Le pettinava i suoi lunghi

Riccioli ambrati dal tramonto

Di un altro giorno invecchiato tra

I denti di un pettine già, quando

Passavano i soldati tedeschi in

Una grave marcia che lasciava

Le misere strade gravide di un

Domani di piombo e morte, non

V’era tempo per sperare né per

Piangere, non v’erano sogni che

Potevano essere sognati dopo il

Tramonto, più non pregavano le

Solite voci che furono catturate e

Poi gettate oltre il vento chissà

Dove, come ceneri peccatrici

Per la genesi che custodivano nei

Loro grembi, i suoi stessi riccioli

Divennero straniere e distanti onde

Di una seta senza memoria né

Odore, l’amore che nutriva per

Lei si spezzò come un ramo d’albero

Assopitosi nella vermiglia deflorazione

Di ore nascoste sotto veli senza

Volti, i canti delle spose furono

Macchiati dai nemici inattesi con

Sangue vedovile, i tramonti si persero

Nelle brutali depilazioni di un presente

Che si ritrovò pudico e nudo in

Una pelle che non riconosceva, tra

Le mani sorelle di chi ebreo non era.

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