Perché leggere “L’anno di vento e sabbia” di Roberto Delogu

di Marcella Onnis

C’è molta Sardegna, Cagliari soprattutto, ne L’anno di vento e sabbia, il nuovo romanzo di Roberto Delogu. Perché il mare e ancor di più il vento sono parte integrante del DNA di quest’Isola e dei suoi abitanti.

Un libro leggero”, così è stato definito durante la sua presentazione a Cagliari lo scorso 28 maggio. Leggero perché ha la freschezza dello sguardo di un bambino, quale è Gigi (l’io narrante) all’inizio della narrazione. Gigi che poi cresce, però mantiene un po’ dell’infantile ingenuità e tutta la sensibilità che in lui presto si manifesta. E per questo si guadagna tutto l’affetto del lettore. Come non simpatizzare, del resto, con chi non si fa sconti ma neppure si denigra: « […] anche se non sono intelligente, non sono nemmeno scemo».

Un libro fresco come l’entusiasmo di un bimbo e come il maestralino, per questo “leggero”, che è cosa diversa dall’esser frivolo. In queste pagine vive, infatti, anche uno sguardo acuto, che penetra dentro ipocrisie tanto comuni quanto radicate («Nonna Adelasia, dal canto suo, aveva la faccia tosta di dire di essere comunista, più o meno come fanno certe signore di oggi che si buttano nell’agone politico con la rabbia delle vedove dei minatori, anche se lo stipendio dei minatori non basterebbe loro nemmeno per comprarsi le scarpe che hanno ai piedi.»), dentro (dis)equilibri familiari di cui tanti fanno parte anche senza rendersene conto, dentro gli studi legali e le aule del Palazzo di Giustizia, dentro la Storia. Storia, in particolare, che qui è il periodo cupo degli anni ’80, con la “guerra fredda”, il terrorismo e le Brigate rosse, persino quelle sarde di cui forse nell’Isola non siamo pochi a sapere poco e niente. E sulle BR questo sguardo acuto dà uno dei suoi giudizi più penetranti e, a mio parere, obiettivo: «Agli occhi miei e a quelli della mia generazione i brigatisti non erano certo apparsi come partigiani mancati ma come folli sanguinari, e la feroce autocritica cui si sottoposero nei primi ani novanta i loro capi in prima serata tv confermò questa idea. Il rapimento di Moro, l’assassino degli uomini della sua scorta, l’appello del Papa, la telefonata che segnalava il cadavere, il bagagliaio della R4, il pianto di Frajese, avevano coperto tutto. Avevamo assistito al botto ma l’esplosione aveva offuscato il paesaggio e le ragioni di tutta quella violenza erano passate in secondo piano. Soltanto adesso che la polvere sta decantando ci rendiamo conto che non poteva essere tutto così pazzesco.»; «Ho pensato che aveva ragione quando sosteneva che non era possibile cacciare la vecchia classe politica con metodi democratici. Quello che, però, ai tempi non poteva sapere, è che la loro rivoluzione non sarebbe comunque servita a nulla. Terminato lo slancio del successo, gli antichi marpioni si sarebbero rifatto il trucco e sarebbero tornati; i pochi nuovi , come nella Fattoria degli animali, sarebbero diventati peggiori dei vecchi.»

Fresco, acuto, ma anche dolce come una carezza è questo libro. Le sue pagine sono spesso sospiri di malinconia, preoccupazione o sollievo; a volte fanno sorridere se non addirittura ridere di gusto, altre inumidire gli occhi … oppure le due cose insieme, che è una cosa bellissima, in cui sono capaci solo la vita e gli artisti bravi. Tra tutti, penso ad un passaggio che, non a caso, è stato letto durante la presentazione in quel di Cagliari e di cui vi riporto solo le prime righe:
«Mamma ora non c’è più e mi manca. Più di quanto potessi immaginare e più di quanto le sarebbe dovuto.

Manca come mancano le persone sempre allegre che ti abituano al loro entusiasmo: tanto che diventa un tuo diritto, qualcosa che ti è dovuto gratuitamente sempre e comunque. E non ti viene da preoccuparti per loro, non ti rendi conto che la loro allegria, prima che la loro forza è la loro debolezza. Te ne accorgi quando è troppo tardi, quando nella tua vita manca qualcosa che hai sempre dato ingiustamente per scontato.
»

Il romanzo contiene tante lezioni importanti da imparare o ricordare, affidate a più “maestri” perché Gigi è sì il perno della storia, ma è protagonista e spettatore ad un tempo. L’anno di vento e sabbia non è un romanzo corale, però le altre voci si fanno sentire. Così capita che a insegnarci a vivere sia, con una metafora calcistica, un amico o il padre di Gigi («[…] il bravo difensore non è quello che affronta di petto l’attaccante correndo il rischio di farsi saltare di netto, ma quello che lo spinge pian piano verso il fallo laterale e lo rende inoffensivo.»), addirittura sua madre, con il suo pizzico di follia e il suo amabile egoismo («Il disordine, […] i difetti, le eccezioni, le cose inutili, rendono la vita imprevedibile. Ogni tanto bisogna fare qualcosa di manifestamente sbagliato, senza pensarci troppo… così come esce, senza significato né motivo.»), o Gigi stesso, magari con un’originale (anche se “unisessuale”) reinterpretazione del detto “In amor vince chi fugge”: «[…] le donne sono come i dentici, se li insegui scappano e non li vedi più, se invece ti nascondi, si avvicinano loro».

Altra nota positiva è che questo libro in cui gli elementi naturali hanno notevole importanza è stato stampato dalla Hacca edizioni su carta riciclata. Il risultato è un’elegante edizione ecosostenibile: provare per credere.

L’unico neo è qualche refuso di troppo, che segnalo a riprova dell’attendibilità del mio giudizio e che ha comunque come contrappeso il lavoro di accurata ricerca svolto dall’autore – come ha raccontato lui stesso durante la presentazione nella sua città – per raccontare alcuni episodi celebri, quali le missioni dello Shuttle o il goal di Gigi Riva con cui il Cagliari mise in tasca il suo primo e unico scudetto.

Anche se probabilmente continuerò a trovar fastidiosa la sabbia tra le lenzuola, questo libro mi ha lasciato tanto, compreso il dubbio su come interpretare la frase finale della bella presentazione fatta nella seconda di copertina da Patrizio Zurru, agente letterario dal buon fiuto e libraio d’avanguardia:
«Roberto Delogu ci fa immergere e nuotare tra le pagine di una storia da cui riemergere solo dopo una lunga apnea di lettura. Fra gli scogli che la vita ci fa incontrare e che ci sembra impossibile aggirare, si muove invece con tenacia e abilità il giovane protagonista di L’anno di vento e sabbia. Dimenticando che le onde la sabbia la spostano. Sempre.»

Mi congedo, dunque, lasciando me in attesa di un’interpretazione – magari autentica – di queste righe e voi all’ascolto di due canzoni: Acqua azzurra, acqua chiara del mitico Lucio Battisti e Reginella (in una versione live di un giovane Massimo Ranieri), pregandovi di non prestarvi orecchio distrattamente (ma se vorrete capirne il motivo, dovrete leggere il romanzo di Delogu. Attentamente).

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *