Perché leggere “Getsemani” di Francesco Abate

di Marcella Onnis

A settembre uscirà per Einaudi Stile libero Un posto anche per me di Francesco Abate, così, per ingannare nel frattempo la (febbrile) attesa, mi sono dedicata al suo Getsemani (Il Maestrale, 2006), approdato  nella mia libreria come dono di un caro amico.

Un aggettivo (stupefacente) e quattro sostantivi (tecnica, linearità, spirito di osservazione, sensibilità) bastano per descrivere questo romanzo e invogliare a leggerlo.

Stupefacente perché l’unica cosa che in queste pagine non sorprende – perlomeno non chi ha già avuto il piacere di leggerlo – è la bravura dell’autore. La trama è un susseguirsi di colpi di scena che stupiscono e stordiscono il lettore fino all’ultima pagina (espressione da intendere letteralmente); il ritmo accelera o rallenta per assecondare le diverse atmosfere, ma non c’è alcun calo di tensione narrativa né mai una caduta di stile.

Tecnica. La maiuscola l’ho già usata, per cui l’aggettivo “eccellente” è ridondante. La struttura del romanzo è complessa (anche per via della pluralità dei punti di vista) e imprevedibile, ma perfettamente controllata. La cronologia degli eventi è abilmente rimescolata assicurando, però, altrettanto abilmente al lettore la possibilità di ricomporla a fine lettura e di chiudere perfettamente il cerchio.

Linearità. A far da contrappeso alla complessità della struttura è la linearità della scrittura. Chi conosce Abate come scrittore (e/o come giornalista) sa che il suo è uno stile pulito, musicale e bello senza inutili fronzoli. Lo stile di uno che pensa al cosa sta scrivendo e non all’effetto che farà il come lo sta scrivendo. Poche frasi, se non anche poche parole gli bastano per far arrivare il concetto a destinazione, che si tratti di un inconsueto equilibrio in un rapporto («Nella piazzetta c’è Antonio, seduto sulla solita sedietta e Benito Peardo che gioca con un osso di gomma. Tonio lancia, Benito recupera. Una cosa normale fra un cane e il suo uomo.») o di uno stato d’animo complesso e delicato («Parlano fitto e si toccano solo con le parole, che sono facili da immaginare. Perché ognuno cercava una stampella e alla fine l’ha trovata. E si dicono cose che due come loro devono dirsi. Che soli sempre non si può stare.»).

Spirito di osservazione. Una delle caratteristiche che determina la bravura di uno scrittore come di un giornalista è lo spirito di osservazione. Abate conosce benissimo la sua città e i suoi abitanti, conosce ciò che si vede in superficie e ciò che si agita sotto di questa. E sa raccontare l’una e gli altri riproducendo fedelmente la “cagliaritanità” (credo che di questa non ne esista miglior “cantore”) ma facendo sì, al contempo, che i luoghi e i personaggi da lui dipinti assumano una portata universale. Cagliari non è certo la sola città ad avere un’anima oscura e i personaggi delle sue storie sono uomini e donne come tanti se ne incontrano nella realtà. Uomini e donne come noi, lontani dalla perfezione (persino Mara, il personaggio per me più intenso e positivo, che colpisce per la sua grande dignità) ma anche immeritevoli di esser condannati senza processo e senza appello (persino Renzo, geneticamente carogna).

Sensibilità. Si dice – a ragione – che la tecnica senza il cuore non va da nessuna parte e, infatti, se non avesse una grande sensibilità, Abate sarebbe forse scrittore e giornalista, ma non Scrittore e Giornalista. Perché per saper raccontare gli esseri umani, con le loro gioie e i loro dolori, per saper raccontare la vita, con il suo lato comico senza incedere nella volgarità e il suo lato serio senza scivolare nella pesantezza o nel melodramma, la tecnica non basta. E questo perfetto equilibrio tra spirito goliardico (il termine l’ho “scippato” a mia sorella) e sobria commozione è uno dei tratti di maggior pregio di Getsemani, proprio come lo è per Chiedo scusa (ma, per il resto, paragonarli è impossibile poiché, per ovvi motivi, quest’ultimo è e resterà un unicum nella sua produzione letteraria).

Giunti a questo punto, mancherebbe, in realtà, un quinto sostantivo, che di questo romanzo costituisce il nucleo duro. Il titolo lo evoca, il capitolo omonimo (in dirittura d’arrivo) lo sviluppa ma – per darvi un indizio eloquente – questo passaggio ben lo anticipa:

«- Le radici del tradimento, avvocato, lei mi deve stare attenta ai segni. Senza di loro non sarebbero qui le sue perdute anime. Amicizia, amori, affetti, legami famigliari, codice deontologico e professionale, tutto al macero, senza leggi né regole, scrupoli o sensi di colpa. Non fine, questo sì è chiaro, avvocato, non fine ma mezzo per raggiungere altro. Tutti contro tutti e che vinca il peggiore.»

1 thought on “Perché leggere “Getsemani” di Francesco Abate

  1. Bello bello bello.Brava.Ancora una volta una bellissima recensione, la verità è anche che hai degli amici cari che ti regalano dei libri belli per cui il tuo lavoro( recensire) che non è facile, ti viene molto bene.Come diceva ieri Daria Brignardi alla presenrazione con Francesco Abate ,ti voglio vedere ne l recensire il libro di Brunetta.Ciao Pino

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