Paolo Borsellino e la sua scorta: 19 anni dalla strage di via D’Amelio
Sono trascorsi 19 anni, eppure sembra passato così poco tempo da quando a Palermo e dintorni non si faceva altro che parlare di tritolo, mafia e morte.
Avevo solo 15 anni quando si seppe la notizia che un altro grande uomo dell’antimafia palermitano aveva perso la vita per mano dei suoi e nostri nemici: i mafiosi.
Era toccato a Paolo Borsellino, dopo Giovanni Falcone, pagare per tutti i passi avanti fatti per mano della giustizia. Una nuova giustizia, quella scaturita dal lavoro di due uomini, che volevano purificare e bonificare l’ambiente della loro città, ormai invaso da quello smog killer chiamato Mafia.
In questo giorno, tutti noi italiani di buon senso amiamo ricordare il grande lavoro svolto da Paolo Borsellino per salvare la città dal morbo che l’attanagliava, ma non tutti ricordano con la stessa importanza il lavoro svolto dagli uomini della sua scorta, che per difendere l’incolumità del magistrato hanno perso la vita anche loro.
A tal proposito ricordo un giorno, dopo quella fatidica data, che anche se è passato molto tempo, non riesco a dimenticare.
Lo sguardo di una ragazza di vent’anni, triste, come non lo era mai stato, gli occhi bassi, il suo kimono e la cintura ben stretta, i capelli arruffati e una rabbia dentro come mai durante un combattimento di judo. Una sola frase ricordo che mi disse, con uno sguardo fiero, stavolta: “Il mio ragazzo è morto. Era della scorta di Borsellino”. Io non ebbi il coraggio di dirle nulla, ma oggi comprendo questo suo sguardo, a tratti triste ma fiero. Anche quest’uomo insieme a Borsellino e gli altri non era morto invano.
La lotta alla mafia continua e speriamo proprio prima o poi di debellarla.
Giusy Chiello
Redattore Capo