Non tutte le metafore vengono per nuocere. A lezione da Carofiglio
Tra gli incontri a vocazione civica della 19° edizione del Festival della letteratura di Mantova va senz’altro inclusa la” lezione” sull’uso delle metafore nel linguaggio politico tenuta da Gianrico Carofiglio. Berlusconi, Bersani, Renzi, ma anche Obama e Lakoff: tanti gli esempi richiamati, etici o furbi, efficaci o fallimentari.
Festivaletteratura 2015 – Mantova – Venerdì 11 settembre 2015
Dopo aver letto e tanto apprezzato “La manomissione delle parole”, non potevo certo perdere l’incontro con Gianrico Carofiglio sul tema “Metafore e democrazia” (uno degli argomenti del suo ultimo libro, “Con precise parole”).
IL POTERE DELLA METAFORA – La sua lectio magistralis, tenuta a Palazzo ducale – piazza Castello, parte con la considerazione che l’uso delle metafore nella riflessione politica è antico e radicato. Perché? «Per più ragioni. La prima è che la metafora è capace di dire cose che, a volte, non è possibile dire con un discorso lineare. È capace di rendere visibile ciò che un normale discorso rischia di occultare, anche soltanto annoiando l’uditore o lettore. Ma esiste una ragione più profonda: la metafora non è solo una figura retorica, è anche un modo di funzionamento del pensiero umano, è un modo per estendere la conoscenza» ossia, ragionando per analogia, ci consente di capire cose che non comprendiamo. Quindi «è formidabile per stimolare il pensiero, ma è anche un micidiale strumento di manipolazione delle coscienze dei cittadini, purtroppo molto usato di questi tempi dai nostri politici».
RISVEGLIARSI DALL’ANESTESIA INTELLETTUALE – Le metafore sono molto diffuse, le usiamo anche noi nel quotidiano, senza magari farci caso, ma nella politica «sono troppe e tossiche». «“Aprire un tavolo” mi fa scattare la mano sulla pistola» afferma, conquistandosi il partecipato assenso del pubblico (che, peraltro, conserverà per tutto l’incontro). Siamo quotidianamente bombardati da questa e altre espressioni ormai «usurate», per cui Carofiglio ci invita a «entrare in uno stato di coscienza civile vigile» perché «ci sono metafore che provocano una nuova coscienza, ma il cui uso ripetuto genera anestesia intellettuale».
METAFORE “TRASFORMATIVE” E “MANIPOLATIVE” – Da queste premesse già si comprende che esistono due tipi di metafore, che semplicisticamente potremmo definire “buone” e “cattive” ma che tecnicamente si distinguono in “trasformative” e “manipolative” (premettere un “rispettivamente” spero sia superfluo). Entrambe le tipologie, spiega Carofiglio, «sono capaci di guidare i comportamenti, ma con intenti diversi» (e questo era facile capirlo). Per argomentare questa capacità prende a esempio quella che definisce «la più potente e, per certi aspetti, devastante degli ultimi decenni: la discesa in campo di Berlusconi». Una metafora che ha una data di nascita precisa (e già questo, assimilandola a un essere umano, le conferisce una certa forza e capacità di durare): il 26 gennaio 1994, giorno in cui Berlusconi tenne l’ormai celebre discorso con cui annunciò, appunto, agli italiani la volontà di entrare in politica (e, sottinteso, di non uscirne, secondo italica tradizione). Questa metafora, afferma Carofiglio, è un lavoro di altissima qualità (come approfonditamente spiega nel suo libro) ma, precisa subito, «era manipolativa: a mio modo di vedere non esisteva un progetto politico. C’era dietro la sola volontà di ottenere il potere, ma senza alcun disegno politico». A onor del vero va detto che, forse, capirlo oggi è ben più facile di quanto non lo fosse allora. E, a onor di cronaca, va anche detto che ci sono italiani che continuano a pensarla diversamente, sebbene, dopo la conversione di molti al renzianesimo, il numero si sia ulteriormente ridotto.
COME NON CONTRASTARE UNA METAFORA – «Oggi è un fiorire in tutti i campi di quella metafora, fino all’assurdo capovolgimento operato dal senatore Monti in uno sfortunato progetto politico. Quel suo dichiarare l’intenzione di “salire in politica” sembra quasi un caso di studio su come non si fa una metafora: quella di Berlusconi era una metafora impeccabile, che passava dall’immaginario al concreto. Ma “Io salgo in politica” che immagine evoca? Esiste nel mondo reale un’azione cui si allude? No. Era soltanto un gioco di parole: è prendere una metafora dell’avversario e rovesciarla, pensando sia un buono strumento di persuasione, ma non lo è perché, anzi, rinforza quella metafora».
Stessa considerazione vale per le espressioni “mettere le mani nelle tasche degli italiani”: e “pressione fiscale”, quest’ultima elaborata, però, dalla destra americana.
METAFORE ETICHE – Ma, allora, posto che «la negazione è un ulteriore modo per rafforzarlo», «che cosa bisogna fare per contrastare quest’uso così intelligente e spregiudicato delle metafore?» Niente suspense ma soluzione immediatamente fornita, ché non c’è tempo da perdere: «si contrasta con immagini alternative, sistemi metaforici capaci di esprimere altri valori».
E qui cita un celebre passaggio del libro “Non pensare all’elefante” di George Lakoff. In questo brano, lo studioso di linguistica usa una metafora per spiegare perché pagare le tasse è importante ed evaderle è, invece, deprecabile. Lakoff usa metafore molto efficaci, come dimostra il caloroso applauso del pubblico (anche perché noi italiani siamo quelli che non evadono, non chiedono raccomandazioni, non si rivolgono a conoscenti per scavalcare le liste d’attesa delle strutture sanitarie pubbliche, non passano con il rosso, non saltano neppure la fila, esattamente come un tempo non votavano Berlusconi e – direbbe Roberto Innocenti – prima ancora erano antifascisti convinti).
Però, prosegue Carofiglio, «i politici italiani non sono riusciti a elaborare metafore così etiche». Un cinico potrebbe fa notare che una metafora autenticamente etica può nascere solo in un ambiente altrettanto tale. Ma, anche a voler esser meno critici, metafore come quella di Lakoff non funzionano meglio dove le tasse hanno un peso sostenibile e gli introiti che ne derivano sono utilizzati dallo Stato in maniera efficiente ed efficace? Anzi, a pensarci bene, là dove ciò accade – ma accade? – di metafore che convincano i cittadini a pagare quanto dovuto non c’è probabilmente tutto questo bisogno.
METAFORE PERDENTI – Dopo l’esempio di una metafora etica, Carofiglio comincia una disamina delle metafore sfigate (l’aggettivo è ovviamente mio), sciorinate in questi anni dalla sinistra italiana. Inutile precisare che la paternità della maggior parte di esse è di Pierluigi Bersani, come forse è superfluo dire che questa è la parte più spassosa dell’incontro.
(Apro una parentesi per dire che Carofiglio nelle vesti di oratore sa essere brillante come lo è quando scrive, in particolare quando racconta dell’avvocato Guerrieri. Un po’ meno simpatico e socialmente intelligente può risultare in altre sedi, ma questa è un’altra storia.)
Scanso equivoci, lo scrittore premette di aver votato Bersani, poi ci sottopone la sua ultima chicca [ultima all’11 settembre, ma forse ad oggi già superata da una nuova, ndr], veicolata, manco a dirlo, via Twitter:
Sui farmaci si sta rovesciando il lenzuolo. È un cambio di direzione impressionante, spero che l’Aula metta rimedio https://t.co/EWnIPJ8aoH
— Pier Luigi Bersani (@pbersani) 11 Settembre 2015
Che vuol di’? Boh! Questa e altre sue metafore, afferma, «sono immagini per lo più fiacche, capaci di strappare al più un sorriso, ma incapaci di smuovere passioni, richiamare sistemi di valori». Gli esempi di metafore fallite si sprecano (forse manca solo il giaguaro da smacchiare) quanto le nostre risate.
«L’idea che la metafora sia una pratica accessibile a tutti è sbagliata, pericolosamente sbagliata» afferma (e io aggiungerei che il sostantivo “metafora” può essere sostituito con tante arti e abilità). «Bersani se n’è accorto. Dire la verità in politica non è sufficiente: devi essere capace di dirla bene e di trasformarla in messaggio etico e coinvolgente».
METAFORE DISTRUTTIVE E COSTRUTTIVE – Molto più consapevole della potenza del linguaggio è, invece, Matteo Renzi, «lui sì, capace di usare metafore di tipo energico, in primis “rottamare i vecchi politici”. […] È una metafora sostanzialmente violenta perché considera le persone come oggetti inanimati. Infatti lui, che conosce benissimo questi meccanismi, l’ha abbandonata da un pezzo. È una metafora priva di potenza trasformativa. È utile solo per vincere le elezioni» (che, peraltro, se parliamo di politiche, non ha ancora vinto…). Per darci un’idea di ciò che intende, cita De Gasperi: «“Il politico pensa alle prossime elezioni; lo statista alle prossime generazioni”. È questa l’idea di politica che bisognerebbe praticare». L’applauso era dovuto, ma qualcuno si sarà chiesto se Carofiglio l’abbia messa in pratica durante la sua esperienza come parlamentare PD?
UN CAPOLAVORO DI PERSUASIONE – In un simile excursus non si poteva certo sorvolare su Barack Obama, perfetto figlio dell’era della comunicazione e del marketing. Carofiglio si sofferma sull’impianto metaforico del suo ormai celebre “Yes, we can”, coniato per il discorso pronunciato dopo la sconfitta inflittagli da Hillary Clinton alle primarie del 2008. Lo scrittore ne esamina la parte più significativa e nota per mostrare come questo impianto metaforico dia «l’idea di una straordinaria, storica, epocale, possibilità collettiva di cambiamento».
VIGILARE SUL LINGUAGGIO PUBBLICO – Ma perché questo suo «interrogarsi sulle lingue del potere»? Perché «formulare un’affermazione in pubblico comporta un obbligo verso gli altri. Ci deve essere un rapporto di fiducia. Se si viola quest’obbligo, come diceva Confucio, c’è il rischio di una caduta di legittimazione. Occuparsi del linguaggio pubblico, del suo stato, della sua capacità di produrre cambiamento, è una questione cruciale dell’etica civile. È fondamentale per non esser mantenuti nella condizione di suddito e per passare a quella di cittadino».
Il lungo applauso finale è sicuramente guadagnato.
Foto Silvia e Marcella Onnis