NON È MAI TROPPO TARDI PER PENSARE AL DOLORE ALTRUI

L’uomo, si sa, è destinato a soffrire ma non è una buona ragione per non limitare o porre fine alla sua sofferenza, specie se acuta e cronica.

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico e opinionista)

È a dir poco increscioso sentire appelli per porre fine alla propria vita, da parte di persone (relativamente giovani) affette da malattie neurologiche degenerative od anche oncologiche, quasi sempre aggravate da dolori incontenibili. Prenderne atto, ed ancor più immedesimarsi in questi pazienti, se pur per qualche istante, è una sofferenza interiore acuita dalla nostra sensibilità, dalla nostra comprensione ma purtroppo anche dalla nostra impotenza nel dare sollievo a questi pazienti. Essi si appellano non solo alla propria Fede… ormai esaurita, ma soprattutto  a coloro che hanno un certo potere giuridico-decisionale per aiutarli a compiere l’ultimo viaggio (sic!), purché dalla coscienza sgombra da pregiudizi e non vincolati da taluni “orientamenti” dettati dalla Chiesa. Ma non credo, e voglio sperare, che quest’ultima ponga una sorta di veto o freno a questo legittimo desiderio-esigenza anche perché, è forse inutile sottolinearlo, quando il dolore è acuto si fa sentire toccando il massino del valore che secondo la scala numerica, va da zero a 10 (Zero è l’assenza di dolore, 10 è il dolore intollerabile, 3 è il limite di sopportazione ammesso da parte dell’OMS). C’è anche una scala verbale che distingue tra dolore assente, lieve, moderato, forte, molto forte, intollerabile. Ecco che all’ultimo stadio nel malato-persona inizia un declino non solo fisico ma anche psicologico, un esaurirsi che va pure a “penalizzare” la sua dignità. Ma al di là di questa valutazione clinica (che dovrebbe essere comprensibile a tutti), quello che non riesco a concepire sono titubanze ed incertezze in chi non vuole immedesimarsi in queste realtà, una sorta di egoismo, come se si volesse essere padroni della vita altrui: il fatto di non intervenire in proposito è un’azione paragonabile alla tortura, come ai tempi dell’Inquisizione. E ripeto: con quale diritto? Personalmente sinora non avevo mai affrontato questo problema che fa parte di una delle tappe esistenziali (e forse non per pochi), ma il venire a conoscere dai mass media di un caso dopo l’altro, non può certo lasciarmi indifferente… Se sinora la Medicina e la Farmacopea hanno dato il meglio di sé per combattere il dolore (sul cui argomento ci sono molti trattati), significa che si tende al benessere della vita umana (così come quella animale in genere); una tendenza doverosa che nel corso dei secoli ha visto protagonisti votati a tale scopo e taluni a rischio della propria salute e della propria vita. Si rammenti ad esempio quei temerari che hanno dedicato gran parte della loro esistenza alla scoperta dell’anestesia, un percorso lungo e tortuoso non privo di colpi di scena  e continui confronti, se non anche di rivalità, ma il traguardo è stato raggiunto: la soppressione del dolore nella maggior parte dei casi. Purtroppo, infatti, non per determinate patologie il cui dolore fisico è acuto, irreversibile e non privo di una moltitudine di conseguenze. Ma come sempre, chi deve decidere e magari deliberare per riconoscere il diritto di porre fine alla propria vita per questa innegabile esigenza, non conosce quella scala del dolore e quindi resta lontano da una realtà che spesso ha del sovrumano, intollerabile… Ma bisogna avere necessariamente un colore politico o appartenere ad una determinata corrente per comprendere la sofferenza dei propri simili? A quanto pare sembra proprio di sì, e intanto chi invoca la morte come una liberazione, non resta che affidarsi a movimenti associativi, veri e propri interpreti del dolore e della sofferenza. Il male, ovviamente, non lo si augura a nessuno, nemmeno ad un insetto, ma a coloro che possono e non decidono verrebbe da dire: provare per credere! La nostra è una società che si è evoluta su solide basi culturali, ma allo stesso tempo condizionata da pregiudizi e falsi moralismi che sono propri dei politici gestori, la cui responsabilità è riconosciuta ma non applicata…!

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