Meglio morto che vivo

Pubblichiamo oggi una bella e interessante testimonianza letterario-giornalistica con cui l’amico Fulvio Musso ha voluto mettere la propria sensibilità a servizio degli animali, per difenderne la dignità:

 

C’è un cielo sempre frettoloso di nuvole, qui nell’alta Brianza e, sopra un colle, svetta uno splendido castello trasformato in hotel. Alle spalle della rocca s’apre un antico angolo di mondo agreste dove vengo a curiosare.

Fotografo con cura la corte lastricata di ciottoli, la scuderia, un vecchio calesse. M’incanta un fresco chiarore di primule affacciato a una finestrella sfinita di secoli mentre una campana malata di altoparlante scandisce questo mezzogiorno gonfio di salute e di vita animale.

Ha il passo lento, di regina, mentre incede sull’aia, pettoruta e fiera, con le piume che si gonfiano alla più timida brezza, la gallina. Il suo chiocciare cadenzato e calmo, segue e detta il ritmo lento della campagna intorno e la sera, nel pollaio, si assonna insieme al giorno, con un pigolare dolce e sommesso, di preghiera.

C’è una capra col profilo esotico di certi umani che s’incocciano, a volte, alle stazioni. Agili, curiosi e impertinenti, i suoi capretti regalano gioia pura agli occhi.

La capra mi riporta nel mio tempo, a un cavallo da calesse che pascolava legato a un piolo. D’insolente bellezza il portamento e, negli occhi, la solitudine d’una mandria, secoli lontana. Ma lo zio Piero era un bravo padrone che teneva, nel suo box, una capretta travestita da mandria.

Mi lasciava condurre le mucche al pascolo, lo zio Piero, ben sapendo che erano loro a condurre me. Ignorando serenamente i miei comandi striduli di bambino, m’impedivano di sbagliare strada, e assecondavano poi, sagge e bonarie, il mio fiero rientro in testa alla “truppa”. Quanto può valere quella mia immagine da generale in confronto al ragazzino stolto che perde la strada e l’armento? Non ha stima il mio debito con quelle mucche.

Oggi, al di fuori di poche oasi, nessun chiarore di primule, né cieli frettolosi, o rintocchi di campane per gli animali ammassati, stipati, sofferenti, depredati della loro dignità di creature. Colpevoli soltanto d’essere miti e… fatti di carne.

Non mi dispiacerà di andarmene, no. I carnefici sono più simpatici da morti che da vivi.

 

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nda:

Gli spazi per la zootecnia occupano quasi un quarto dei terreni coltivabili e le colture per l’alimentazione animale occupano un altro 25%. Negli Stati Uniti, quasi 70% del grano e cereali coltivati sono dati agli animali.

Inoltre, le abitudini occidentali di alimentazione si stanno allargando alle economie emergenti come la Cina, spingendo i governi e i coltivatori ad abbattere più foreste a favore di nuovi terreni coltivabili.

(Dati rilevati da Agricoltura italiana on line).

 

Riducendo drasticamente il nostro consumo di carne, potremmo recuperare spazi coltivabili sufficienti a risolvere il problema della fame nel mondo e restituiremmo dignità a tutte le creature, umane e animali.

Va anche detto che la scienza fa conto sull’avanzato studio di una carne artificiale assolutamente simile a quella animale. Ma, al di là di tutto, la ragione prevalente dovrebbe essere di natura etica!

 

 

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