L’INALIENABILE IMPORTANZA DELL’USO DELLA CORRETTA TERMINOLOGIA NELLA MEDICINA

In tutti i settori dell’informazione in generale, e soprattutto in ambito medico-scientifico: dall’era dei trapianti a quella della vaccinazioni

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)

Alcuni anni fa ebbi occasione di entrare nel merito sull’importanza della corretta informazione in tema di donazioni di organi a scopo di trapianto terapeutico. In quegli anni alcuni i mass media, in particolare della carta stampata, per un po’ di tempo in riferimento alle donazioni e trapianti d’organo, usarono espressioni poco dotte dal punto di vista lessicale e quindi etico e deontologico, come ad esempio: «Servono pezzi di ricambio», «Farsi fare a pezzi…», «… la pratica dei trapianti che mira a sostituire le parti avariate con pezzi di ricambio», «Noi preferiamo istintivamente non donare a chi da sempre si accaparra la “merce, e saprebbe fare con i “nostri doni”, affari lucrosissimi compiacendosi della tradizionale complicità della scienza, delle sue sperimentazioni e della meschina medicina ufficiale». Un altro quotidiano, nel descrivere un eccezionale intervento chirurgico per la ricostruzione del naso ad un paziente colpito da tumore, titolò il sommario: «Operazione mai tentata prima in Italia: metodi da Frankenstein». Ed ancora. Un noto giornalista italiano (oggi scomparso, che per rispetto non cito nemmeno con le sue iniziali), invitato da una testata ad esprimersi sul valore della donazione, testualmente così dichiarò: «Al problema ho pensato varie volte e stimo, anzi ammiro, quelli che hanno fatto altrettanto e sono passati ad un gesto concreto. Mi dispiace di non poter fare altrettanto perché i miei “impianti” fondamentali sono stati più volte in riparazione. In un centro di ricerche americano, dov’erano conservati per uso scientifico molti “pezzi di ricambio”, lessi una bellissima scritta: “Dalla morte alla vita”. Penso sia questo il senso della donazione». Per non parlare poi del fatto che, più o meno in quell’epoca, alcuni mass media, sempre della carta stampata, descrivevano lo stato patologico di un paziente in condizioni di “non ritorno” con espressioni del tipo “coma irreversibile, elettroencefalogramma piatto”, etc.; mentre sappiamo che nel 1968 una Commissione dell’Università di Harvard (Boston), a proposito di una situazione clinica che veniva osservata nei reparti di rianimazione da due autori (Goulon e Mollart), definita “coma depassé” rimasto in uso in Francia fino al 24 maggio 1988, quando l’Accademia di Medicina francese lo sostituì con “morte cerebrale”. Quindi la morte cerebrale ha come presupposto l’irreversibilità e la certezza sulla scorta di parametri offerti dalla miglior pratica della scienza ed esperienza del momento. È stato un periodo piuttosto “triste” per l’informazione, che non ha fatto certo bene ai lettori, e soprattutto ai familiari dei potenziali donatori, già provati dal dolore per la scomparsa del loro congiunto. E oggi, che da oltre due anni siamo alle prese con il dramma della pandemia, e di tutto ciò che ne consegue, ivi compresa la derivante informazione dal punto di vista scientifico (Sars-CoV-2, coronavirus, vaccini, etc.), l’informazione ha assunto proporzioni notevoli e, in alcuni casi, non propriamente consona ai concetti e al lessico medico-scientifico. Ecco che allora, pur non volendo ergermi a saccente e tanto meno a “docente”, in base alla mia trentennale esperienza mi permetto di richiamare l’attenzione sull’etica del cosiddetto “buon esprimere”.

Le mie oggettive considerazioni

Per chiunque comunicare in questo ambito implica anche il saper esprimere notizie o concetti che, a onor del vero, non è proprio di tutti, soprattutto quando si vuol diffondere notizie sia di cronaca che di rilevanza tecnico-scientifica. Alla luce degli esempi su descritti, i cui messaggi che pur denotano sensibilità ed elevato valore morale, mi riesce difficile comprendere e tanto meno accettare espressioni piuttosto materialistiche, ma se al giornalista si chiede umiltà, correttezza e competenza, anche agli “autorevli” (o meno) intervistati potremmo chiedere quella che io definisco “etica del buon esprimere”. In questo campo, in particolare i mass media, sopratutto quelli che si occupano di cronaca nera e giudiziaria, sono sempre più chiamati a svolgere il proprio compito con professionalità dando un’informazione che sappia illustrare il significato del valore della vita umana e della dignità dell’uomo; trasmettere con competenza e quindi nel rispetto della corretta terminologia, messaggi sull’elevato livello raggiunto dalle tecniche mediche, chirurgiche e farmacologiche. Saper spiegare, inoltre, quanto può essere determinante nell’esistenza di una persona il conoscere un’aspettativa di vita, e soprattutto mettere da parte la voglia di scoop. Per quanto riguarda invece la funzione del giornalismo medico, in particolare, io credo che diventi sempre più importante e “delicata” poiché implica responsabilità nell’orientare l’opinione pubblica. È quindi indispensabile che i giornalisti che si occupano di questo settore siano consapevoli del loro ruolo e sappiano assumerlo con coscienza professionale: la stampa medica deve avere quel “privilegio” che le permetta di diffondere i progressi della scienza senza prestarsi alla manipolazione delle coscienze. Infine, credo sia utile rammentare quanto sosteneva il prof. Laurent Degas, docente di Ematolgia clinica all’Università Denis-Diderot di Parigi, ed esperto in problemi di incompatibilità: «Il trapianto è un duello del corpo, vinto da medici, chirurghi e biologi. È il risultato del matrimonio tra scienza e creatività. Esso genera un dualismo nel pensiero degli uomini, siano essi medici, malati in attesa di trapianto e trapiantati, e suscita un’ambiguità negli atteggiamenti pratici, etici e giuridici. E benché il trapianto sia ormai una pratica usuale, i concetti di donazione, di morte, di integrità del corpo e di etica in questo campo si mescolano e assumono significati diversi a seconda delle culture in cui vengono inseriti». Osservazioni di un valente addetto ai lavori che esprimono una razionale concretezza, che ben include anche l’era dei vaccini (di ieri e di oggi) che, come i trapianti d’organo, sono la massima espressione di un traguardo a beneficio di tutti. Sta a noi giornalisti (e non) rispettare queste culture che sono il frutto del naturale progresso della civiltà umana.

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