
di Francesco Augello*
Solo chi dà un senso alla propria voce rimane autore di se stesso
L’intelligenza artificiale sta perfezionando la capacità di riprodurre il linguaggio naturale in molti contesti dell’agire umano, ma a che prezzo? Il rischio è che i testi generati digitalmente diventino ineluttabilmente indistinguibili da quelli scritti da una persona, creando un mondo in cui l’origine della parola si perda.
Uno dei contesti ove maggiormente tale criticità viene discussa al giorno d’oggi è certamente la scuola, ancor più negli ambienti ad indirizzo scientifico e classico, sebbene la criticità riguardi tutti gli indirizzi di studio e persino i contesti universitari.
Non è infrequente osservare dinamiche che mettono in luce una “caccia” al compito in classe generato da GPT. E sempre più docenti sprecare ore extra di correzione nel tentativo di validare o meno l’autenticità dei contenuti. In gioco v’è anche la motivazione, la quale “rappresenta spesso per studenti, insegnanti e genitori un problema di non facile soluzione” (Boscolo. P, 2023).
Accade di frequente ricevere richieste di verifica sull’autenticità dei contenuti. Tuttavia, il mio orientamento non è quello di legittimare una caccia a “guardie e ladri”, non è questo o, perlomeno non dovrebbe essere questo il ruolo di nessun docente. È pur vero che non si può ignorare una criticità di sistema in cui emerge prepotente il paradosso di chi è chiamato a rendere più “umana” la scrittura degli studenti per poi non riuscire a distinguerla quando essa si presenta realmente come tale.
Insomma, si promuove l’umanizzazione della scrittura, ma poi si rischia di non riconoscere più ciò che è davvero frutto della mente umana.
A che punto smettiamo di riconoscere ciò che è originale e personale? Il problema, in fondo, non è solo della scuola o dell’università, ma investe l’intero sistema culturale che si sta adattando alle nuove forme di produzione del linguaggio e forse, vien da dire, anche alla sua crescente povertà.
E’ bene non sottovalutare quanto espresso altrove: “L’IA sta cambiando il pensiero, la conoscenza, la percezione, la realtà […] (Kissinger, 2023). È bene sottolineare come la progressiva diluizione dell’identità linguistica e la perdita di valore dell’originalità espressiva conducono inesorabilmente a una standardizzazione della scrittura, favorita dall’uso sempre più diffuso di strumenti di intelligenza artificiale, declinando ancor più il rischio di impoverire il linguaggio e rendendolo meno vario, meno personale, meno vicino al linguaggio dell’essere e dell’esserci.
L’assenza di varietà di stile conduce inesorabilmente alla “banalizzazione comunicativa”: quando il linguaggio viene ottimizzato per essere comprensibile e fluido (ciò che realizza, di fatto, l’intelligenza generativa), ma perde sfumature, ambiguità e quella profondità che rende una riflessione unica. In pratica, ci stiamo abituando a testi sempre più leggibili e coerenti, ma meno capaci di trasmettere la complessità dell’esperienza umana. La domanda sorge spontanea: bisogna dunque interrogarsi più sulla dimensione educativa o occorrerebbe leggere la non intenzionalità al non essere autentici delle generazioni odierne, del loro timore di esporre la non perfezione?
Probabilmente è necessario guardare nella direzione della duplicità.
Da un lato c’è una questione normativo-educativa: come viene inculcato il valore della genuinità, della scrittura e dell’autenticità? L’istruzione formale deve insegnare la creatività, il calcolo, l’impegno, e il pensiero divergente, senza paura alcuna di condizionamenti da parte delle valutazioni prettamente estetiche. Dall’altro lato, c’è un timore sia di natura psicologico sociale del difetto, che origina probabilmente da una insicurezza maturata altrove, non semplicemente tra i banchi di scuola, e per molteplici ragioni, senza nascondere come la socializzazione secondaria di oggi è intimamente legata più che all’hyper-media, al multimedia sempre più interattivo e “vigile”. Se un tempo l’hyper-media—inteso come la vastità di informazioni accessibili in rete era centrale, oggi sembra che il multimedia interattivo e vigile abbia preso il sopravvento.
Questa evoluzione, spinta dai differenti modelli di GPT, porta con sé due implicazioni notevoli: in primo luogo l’iper-sorveglianza sociale che si manifesta non solo attraverso la raccolta e l’analisi dei dati, ma anche attraverso la standardizzazione delle interazioni digitali. Ogni testo, ogni opinione, ogni frammento di comunicazione viene sottoposto a una valutazione algoritmica che contribuisce a modellare le dinamiche linguistiche e sociali. Questo può generare una pressione costante, tanto nei giovani quanto negli adulti, a conformarsi a determinati modelli comunicativi, riducendo il margine di espressione individuale. Vi è poi il fenomeno della normalizzazione dell’adattamento linguistico, che porta a una progressiva omologazione dello stile comunicativo. Se i modelli AI definissero ciò che è “linguisticamente ottimale”, molte persone potrebbero sentirsi spinte a adattare la loro scrittura per renderla più conforme ai parametri suggeriti da questi sistemi. Il rischio è quello di una progressiva sterilizzazione del linguaggio, dove la diversità espressiva viene sacrificata per favorire la coerenza algoritmica.
Se questa evoluzione continuerà a plasmare la comunicazione, a lungo termine potrebbe emergere una nuova forma di scrittura che anche la scuola dovrà accettare, potremmo definirla ibrida, ovvero sempre più influenzata dai modelli IA/GPT, ma al tempo stesso distante e distinta dall’individualità dell’essere che ha caratterizzato l’espressione umana per secoli.
In fondo, il timore che “l’interazione tra uomo e macchina rivoluzionerà l’intera scienza medica, modificherà i metodi di apprendimento nell’istruzione pubblica” (Lee, K.-F., & Qiufan, C. 2023) è dietro l’angolo.
Ma fino a che punto adolescenti e adulti sono realmente disposti a sacrificare la propria individualità una volta resisi coscienti di tale sradicamento? Non si tratta solo di adattarsi a nuove forme di espressione, ma di comprendere fino a che punto questa evoluzione intacchi la percezione di sé e dell’autenticità.
Forse la maggior attenzione andrebbe posta ancor prima che sulla scrittura sulla coscientizzazione, su quella capacità di orientare i singoli verso una coscienza riflessa, in breve, guidare gli studenti verso una consapevolezza critica della loro espressione. Se la trasformazione linguistica è inevitabile, il vero antidoto potrebbe essere educare alla consapevolezza, non per resistere al cambiamento, ma per comprenderlo e gestirlo in modo riflessivo, rendendo l’educando, mai del tutto inconsapevole, capace di mantenere autentico il proprio sentire, la propria voce, la propria scrittura, per darvi un senso coerente con il proprio stare dietro a un banco di una classe oggi, dietro la scrivania di un ufficio o di uno studio professionale domani.
Coltivare nei giovani di oggi la capacità di distinguere tra strumenti di supporto e perdita di autenticità è quanto mai cogente, anche a scapito di obliare talune volte il mai e totalmente giudicante di un voto, che mai potrà trascinare dentro di sé un tutto e un “distinto”.
Il linguaggio e la comunicazione, oggi più che mai, sono sottoposti a un controllo costante, e ciò può generare un’ansia da prestazione che porta a una ricerca ossessiva di perfezione, ma anche alla desensibilizzazione dell’essere superficiale o costantemente accudito nella scrittura.
Le generazioni odierne crescono in un mondo in cui l’esposizione pubblica è quasi totale tanto sui social quanto nei contesti accademici, ma anche nel lavoro. Questa pressione a mostrarsi impeccabili può portare a una maggiore dipendenza da strumenti di miglioramento e correzione automatica, con il rischio di perdere la spontaneità e l’unicità della scrittura, di perdere il valore dell’errare e dell’errore.
La fusione tra questi due dimensioni crea una dinamica complessa, non solo sul piano pedagogico/educativo ma anche psicologico evolutivo. E così, da una parte si chiede agli studenti di essere autentici, dall’altra l’intero sistema on e off line sembra riconcorrere la perfezione. Forse la vera domanda da porsi è come bilanciare queste due avvertite esigenze, garantendo uno spazio dove sia accettabile sbagliare, imparare e sviluppare un proprio stile senza sentirsi “inferiori” rispetto a un testo ottimizzato digitalmente?
Se un testo può essere profondamente autentico e significativo, ma non rispettare determinati criteri grammaticali e di forma, dovrebbe davvero essere penalizzato? La scuola dovrebbe più spesso interrogarsi su quanto un voto riesca realmente a misurare il valore di un’espressione, soprattutto in un’epoca in cui gli strumenti di scrittura assistita rendono sempre più difficile distinguere tra pensiero autonomo e produzione algoritmica, al netto di qualsivoglia strumento di umanizzazione anch’esso reso disponibile on line.
Bibliografia di approfondimento
[1] Boscolo, P. (2023). La fatica e il piacere di imparare: Psicologia della motivazione scolastica. Il Mulino.
[2] De Masi, F., Moriggia, M., & Scotti, G. (2023). Quando la scuola fa paura: Fobia scolastica e disagio giovanile. Raffaello Cortina.
[3] Fantucchio, A. (2023). Costruire l’intelligenza: Google, Facebook, Musk e la sfida del futuro. Mondadori.
[4] Kendall, P., & Di Pietro, M. (2023). Terapia scolastica dell’ansia. Franco Angeli.
[5] Kissinger, H., Huttenlocher, D., & Schmidt, E. (2023). L’era dell’intelligenza artificiale. Il futuro dell’identità umana. Mondadori.
[6] Lee, K.-F., & Qiufan, C. (2023). AI 2041. Scenari dal futuro dell’intelligenza artificiale. Luiss University Press.
[7] Mason, L. (2023). Psicologia dell’apprendimento e dell’istruzione. Carocci.
[8] Metz, C. (2023). Intelligenza artificiale e fenomeni sociali. Mondadori.
*Francesco Augello (Docente, saggista, psicologo clinico e pedagogista)
Francesco Augello (Agrigento, 1973) laureato in scienze della formazione, in pedagogia e in psicologia. Docente formatore, psicologo, poeta e scrittore. Esercita attivamente e in continua formazione come psicologo clinico e del lavoro ad orientamento gestaltico integrato, occupandosi delle trasformazioni socio-psicoeducative nell’iper-modernità, con particolare attenzione alle tematiche della disabilità e ai percorsi di inclusione. Esperto in tecnologie informatiche, esplora l’intersezione tra intelligenza artificiale, educazione e psicologia, studiandone l’impatto sul benessere psicologico anche in contesti lavorativi. In qualità di psicologo fornisce sostegno per stati di ansia, depressione e stress, fornendo supporto psicologico anche on line (www.psicologoconte.it). Ha maturato un particolare interesse ed esperienza nel campo dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (DNA), approfondendo la diagnosi, il supporto psicologico e il rinvio a pratiche terapeutiche mirate, collaborando con professionisti della medicina di base, della salute fisica e mentale.