L’ESEMPIO DI UNA DEDIZIONE SENZA TEMPO…
In provincia di Chieti il dottor Antonio Castracane, 99enne, esercita ancora la professione di medico, a beneficio di una piccola comunità. Un piccolo segnale che invoglia a seguire le sue orme professionali, etiche ed umane.
di Ernesto Bodini (giornalista scientifico e biografo)ù
È soprattutto in questi ultimi tempi, ossia dall’inizio della pandemia in poi, che la figura del medico è sempre più alla ribalta, sia visto individualmente che collettivamente. In effetti, da sempre, è la nostra ”figura” di riferimento proprio perché la salute (e la vita) è cara a tutti. Ma quante volte ci siamo soffermati su questo professionista per meglio conoscerlo e per meglio farci conoscere? Anche in questi anni si è scritta una infinità di articoli e molte sono le pubblicazioni editoriali in merito, e io credo che ben pochi abbiano sentito il “desiderio-dovere” di entrare in simbiosi con il professionista, e questo per una serie di ragioni. Ma tralasciando questo approfondimento, alquanto originale è la notizia di questi giorni in merito al dottor Antonio Castracane (classe 1924) di Villa Santa Maria, un piccolo paese in provincia di Chieti che a tutt’oggi continua ad esercitare la professione, convinto che la sua opera sia ancora utile tanto che tutti i giorni visita i suoi pazienti, e per giunta a titolo gratuito. Un percorso che dura da ben 75 anni al servizio di quella che lui definisce la sua famiglia, dalle 7.30 del mattino con l’immancabile camice bianco e il fonendoscopio al collo, visitando sia in ambulatorio che a domicilio. Orgoglioso di questa scelta, per certi versi ereditata dal padre e dal nonno materno, il dott. Castracane, come riportano diversi mass media, spiega: «Svolgere la professione di medico mi è sempre piaciuto e continuerò a lavorare finché avrò la sostanza grigia intera. Purtroppo ho fatto il gravissimo errore di sposarmi a tarda età e non ho avuto figli a cui tramandare la mia professione, quindi quando mi accorgerò di non essere più quello di un tempo, smetterò di fare il medico. Fino ad allora continuerò a visitare i miei pazienti, mantenendo sempre la mia professionalità, la mia disponibilità e il mio sorriso». Al di là dei numerosi riconoscimenti, compresa l’onorificenza di Commendatore della Repubblica, questo professionista del “sapere umano” votato a lenire le sofferenze, non solo ha onorato la nobile professione ippocratica, ma ha inteso considerare prima la Persona e poi la malattia, applicando via via quella che è un po’ disattesa, ossia la semeiotica, la disciplina che ha per oggetto il rilievo e lo studio dei segni che orientano verso la diagnosi, accompagnandola con il sorriso quasi paterno come era proprio quello che un tempo si usava definire il “medico di una volta”, vale a dire il classico medico condotto, spesso giungendo alle diagnosi senza l’ausilio delle moderne tecnologie.
Citando questo caso tra le mie letture compare una vecchia pubblicazione dal titolo “Il medico un uomo per tutti” del cardinale e arcivescovo Fiorenzo Angelini (1916-2014), edito da Orizzonte Medico (1972). È un lavoro ricco di spunti che vanno dall’esordio (in quanto scelta) della professione medica sino agli obiettivi futuri della stessa, un lunghissimo iter dalle molteplici motivazioni per una scelta tanto nobile quanto insostituibile. Ma approfittando della notizia in apertura dell’articolo vorrei soffermarmi brevemente sul primo capitolo del libro “Perché medico?”, a questa domanda si può rispondere rammentando che un tempo erano poche le famiglie dove si parlava di avviare un figlio alla professione medica: se non di padre in figlio (come nel caso del dott. Castracane), la professione medica si trasmetteva di nonno in nipote, e in questo contesto ben si inseriva la cultura umanistica e, per dirla con il maestro della Retorica Quintiliano (35-96): “Le litterae humanae” fanno l’uomo “vir bonus dicendi peritus” (“uomo di valore, ed esperto nell’arte della parola”). Un modo di intendere la Medicina e la professione con quella saggezza che oggi vorremmo si perpetuasse sempre di più…, anche in ragione del fatto che nel nostro Paese non si è considerato a sufficienza l’importanza di formare nuovi medici… e i risultati (negativi) sono oggetto della quotidianità. Ma l’essere medico a mio modesto avviso rientra anche nel concetto di cristianità e, a questo proposito, mi sovviene quanto sosteneva il medico e fisiologo Giuseppe Moscati (1880-1927): «Beati noi medici, tanto spesso incapaci di allontanare una malattia, beati noi se ricordiamo che, oltre ai corpi , abbiamo di fronte delle anime immortali, per le quali ci urge il precetto evangelico di amarle come noi stessi: lì è la soddisfazione e non nel sentirci proclamare risanatori di un male fisico, quando per lo più la coscienza ci ammonisce… che il male guarì da sé». Due esempi a mio modo di vedere per certi versi in parallelo, e anche se è impensabile (o quasi) immaginare un secondo dott. Castracane, non è detto che non si possa sperare in un “ritorno” ad una figura più vicina a noi… Servizio Sanitario Nazionale permettendo!