L’AZIONE DEL MERCANTEGGIARE IERI E OGGI

Nello sport spesso l’uomo, come oggetto, assume “valore” materiale grazie al sostegno della tifoseria che lo arricchisce una volta di più

di Ernesto Bodini (giornalista e opinionista)

Un tempo esisteva la tratta degli schiavi o tratta atlantica, soprattutto tra il XVI e il XIX secolo. Un ignobile mercato di esseri umani, e chissà a quali prezzi (in denaro e servizi, inclusi lo sfruttamento manuale); che è stato abolito dal Regno Unito nel 1807 e dagli Stati Uniti nel 1808. Oggi, esiste un altro mercato analogo, sia pur con finalità diverse, che riguarda il “calcio mercato”, ossia la compra-vendita tra squadre di calciatori in auge, o particolarmente promettenti, a suon di centinaia e centinaia di milioni di euro, attraverso il quale si decide il futuro (e la fortuna) di giovani rampanti che sanno destreggiarsi meglio di altri facendo rotolare e calciando una sfera, e questo per buona pace dei tifosi ma soprattutto degli stessi professionisti ed ancor più dei manager e titolari della imprenditoria calcistica. Certo non si vuole fare una vera e propria analogia, ma ambedue hanno in comune il denaro e il potere come prevalenza sul mercato sia umano che industriale. Detto ciò, mi chiedo con quale senso umano si vuol dare valore economico all’uomo perché, oggi, chi più sa destreggiarsi più vale e, questo, è implicito in quasi tutte le realtà sportive. Di conseguenza ai più fortunati ingaggiati da questa o quella società (italiana o straniera) vengono proposti contratti da capogiro, quasi un “disprezzo” nei confronti di chi per portare a casa un tozzo di pane è solito spaccarsi la schiena, e altri a rischio della propria vita. Faccio queste considerazioni non tanto perché non sono sportivo, ma perché ritengo assurdo mercanteggiare la vita umana, disconoscendo (o sottovalutando) peraltro determinati valori, umani e professionali, che sono propri di altre persone; insomma, due realtà che solo apparentemente sembrano in antitesi tra loro. Ma poi, volendo restare nell’ambito, un’altra “incongruenza” è data dal fatto che le squadre italiane non avrebbero ragione di essere competitive con altre straniere, giacché le prime tra le formazioni hanno acquisito e acquisiscono giocatori stranieri, i quali si troverebbero a gareggiare contro i propri connazionali. Quindi, dove sta la competitività tra una nazione e un’altra? Leggi di mercato che non badano a “sottigliezze” (dal loro punto di vista) ed a spese, mentre in realtà anche la forma, come la sostanza, talvolta determina l’esigenza della razionalità. E che dire della massa di tifosi (spesso senza limiti di euforia) che gioiscono due ore alla settimana al seguito dei propri beniamini che (alla faccia loro) si arricchiscono ogni anno con pochi mesi di lavoro-divertimento? Io credo che parte di quei fan abbia problemi ad arrivare a fine mese, ma seguire un divo (ultra milionario) pare che faccia superare le ristrettezze della vita… E che dire, infine, di quegli sport particolarmente pericolosi come ad esempio l’automobilismo, il motociclismo e il pugilato i cui protagonisti si esibiscono sprezzanti del pericolo e quindi della loro incolumità? Anche in questi casi, mi consta, il “disprezzo” della salute e della vita, manco a dirlo, è superato da cospicui guadagni. Ecco che il detto latino panem et circenses non è mai tramomontato, mentre, viceversa, sono tramontati altri valori che sono privi di prezzo economico ma ricchi di quella essenzialità interiore che si chiama dignità umana! Se nei secoli scorsi l’umanità ha visto momenti che hanno rasentato e vissuto le più innegabili assurdità, quella attuale non è molto dissimile nonostante l’evoluzione culturale e dei mezzi di comunicazione; ma purtroppo, ieri come oggi, la potenza del denaro non ha mai smesso di imporsi ed ecco che l’uomo è numero, è cifra, è materia… senza spirito.  A coloro che prediligono i beni materiali rammento quanto sosteneva Cicerone, ossia: «La salvaguardia del proprio benessere economico  non è più importante del nostro bagaglio intellettuale».

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