L’Associazione Fuori dall’Ombra risponde a Marco Travaglio

Riceviamo e pubblichiamo:

Davoli 5 dicembre 2012

 

Caro Marco Travaglio,


Ho letto con attenzione il suo pezzo dove sostiene che l’ergastolo non vada abolito.
Vede, le scrivo provando ad andare ad di là della facile logica “forcaioli contro garantisti”, e non con la volontà di farle cambiare idea. Anzi, so che, quasi sempre, in dialoghi del genere, ognuno resta della sua, ed è molto difficile, da parte di tutti, spostarsi da quello che si è sempre ritenuto giusto.


A me basterebbe che lei leggesse questa lettera, dandole una chance, non pregiudicandola subito come parto di persone demenzialmente pro-detenute.
Il discorso sarebbe molto lungo, e potremmo affrontarlo, se vorrà. Ma adesso le scriverò per sommi capi, per non prenderle troppo tempo.


Le dico solo che fino a un cinque anni fa io la pensavo come lei.
Appoggiavo il “carcere duro” (art. 41 bis), le agevolazioni per favorire il pentitismo, ed ero contrario all’abolizione dell’ergastolo.

Anche io “sapevo” quello che viene sempre detto. Che l’ergastolo in Italia in realtà non esiste, che dopo un certo numero di anni si esce. E che l’abolizione dell’ergastolo non farebbe altro che fare scendere ulteriormente quegli anni –già troppo pochi- che un pluriomicida sta scontando.

Poi mi trovai, mio malgrado, casualmente anzi, ad avere a che fare col mondo del carcere e, soprattutto (almeno i primi anni,) con ergastolani. E capii che questa, come tante altre storie, non era stata raccontata fino in fondo e che, ancora oggi, non lo è

Capii come i media avevano rappresentato per anni una situazione estremizzata, semplificata, filtrata. Capii come ciò che era definito 41 bis spesso trapassava nella tortura. Capii come il pentitismo, a suo tempo da me apprezzato, era un fenomeno complesso e ambiguo, che lasciò una scia di torti senza fine. Una scia di commistioni con magistrati interessati ad addivenire ad una rapida soluzione delle cause. Una scia di regolamenti di conti. Una scia di “mors tua vita mea”. 


Piacerebbe anche a me un mondo dove i buoni sono riconoscibili sempre e i cattivi lo stesso. Ma ho visto come tutto si mischia, e le maschere rendono difficile capire. Pluriassassini sadici che diventando pentiti hanno goduto dei benefici e sono potuti uscire di galere entro un numero ragionevole di anni. Mentre persone che hanno fatto un omicidio in un conflitto a fuoco (e questo non vuol dire sminuire un atto così grave, ma vanno fatte anche le proporzioni) venti anni fa -e che nel tempo hanno sudato e si sono impegnate per crescere e cambiare- rischiano di uscire cadaveri dal carcere, in quanto “ostativi”.


Ciò che si pretende da loro è spesso solo “fare i nomi”, perché è questo, troppe volte, quasi sempre, ciò che viene visto come prova di una “collaborazione”. Ho conosciuto detenuti che non erano omertosi, detenuti che avevano conquistato una grande consapevolezza interiore, e che dopo 20 anni di galera… non accettavano e non accettano, oggi, pur di uscire, di fare qualche nome per vicende che ormai appartengono a decenni orsono. Si sentirebbero di tradire quel senso di dignità che hanno cercato di conquistarsi a caro prezzo. Gli sembrerebbe che pur di uscire stanno “vendendo qualcuno”. Avendo conosciuto il carcere nella sua versione più dura, non ce la fanno a pensare di uscire “mettendo qualcun altro al posto loro”.

E lei, signor Travaglio, che è sempre molto acuto nel valutare le cose, può davvero considerare giustizia che queste persone, dopo 20 o 30 anni di detenzione, dopo un percorso spesso accertato e comprovabile, dopo mille prove di effettivo cambiamento, non possano avere una chance, perché, in quanto “ostativi”, non fanno i nomi? Mentre altri, pentiti pluriomicidi o serial killer, se “collaborano” con la giustizia, sfruttando un facile “pentimento”, possano avere opportunità, benefici e dopo tot anni uscire?


Un giorno qualcuno dovrà raccontare tutta la storia di ciò che è stato il carcere in questi decenni in Italia, tutta quanta, senza schieramenti, pregiudizi, ideologie, senza i partiti presi dei giustizialisti a senso unico e dei garantisti a senso unico.
Quando furono condannati all’ergastolo gli autori dell’attentato a Borsellino, furono stappate bottiglie di spumante ovunque. Ma dopo 17 anni si è scoperto che quei condannati erano innocenti. Si è scoperto che qualcuno aveva fatto dichiarazioni non vere, e che quelle condanne non avevano fondamento. Quelle persone potevano morirci in quel carcere, signor Travaglio. Quelle persone hanno conosciuto anche il carcere del 41 bis, signor Travaglio, un regime nel quale i tuoi cari puoi vederli una volta al mese da dietro un vetro divisorio di plastica, munito di citofono. Queste cose distruggono la mente. E sono tanto più odiose quando chi era stato bollato come criminale degno di disprezzo e annullamento, viene scoperto innocente.


Ci sono storie che nessuno racconta. Blitz con centinaia di arrestati, che faranno anni di galera e di cui si scoprirà, solo dopo anni appunto, che almeno la metà non c’entravano, che erano giusto parenti o amici di gente sospetta, o sussistevano casi di omonimia.

Ci sono vite che nessuno conosce.

E gli ergastolani ostativi a cui accenna nella sua lettera, vorrei permettermi di invitarla a parlarci, a scrivere loro, a sentire cosa hanno da dire. Ad andare oltre il marchio del “mostro”. Troverà una realtà molto diversa da tanti film. Troverà gente che 20 e 30 anni di galera ha trasformato in pezzi di pane. Troverà persone che hanno viaggiato tanto dentro di sé, a costo di rischiare la follia, e che adesso sono capaci di riflessioni e di azioni sorprendenti. Adesso, molti di loro, sono persone in grado di dare.

Vogliamo condannare queste persone a uscire di galera solo per andare all’obitorio?

Legare tutto il loro percorso futuro solo al fatto se accuseranno prima o poi qualcuno.. dato che questa è quasi sempre la collaborazione richiesta?
Alcuni dei rischi che lei teme, come il fatto che autori di reati gravissimi potrebbero scontare troppo pochi anni, possono essere superati da una disciplina che, pur facendo venire meno l’ergastolo, mantenga ferme alte pene per reati gravi.
Ma anche se fosse troppo avveniristico pensare di eliminare subito l’ergastolo, possiamo almeno ragionare sull’eliminazione della sua forma più odiosa, quella “ostativa”?


Abbiamo scritto un libro con tante testimonianze.. si chiama “Le Urla dal Silenzio”.

Glielo invieremo con piacere. Sperando in una sua, anche critica, risposta.
Mi piace pensare che non abbia visto questa lettera come la lettera di uno dei tanti “dementi prodetenuti”.


La saluto.

 

Alfredo Cosco
Presidente Associazione Fuori dall’Ombra

 

 

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