La mia prima volta al Pride
di Marcella Onnis
“E tu cosa ci facevi?!” Se sei etero, è molto probabile che sia stata commentata così la notizia della tua
partecipazione a un Pride. Sui social si citano spesso le parole del pastore Martin Niemöller * – solitamente attribuendole erroneamente a Brecht, come stavo per fare pure io – ma siamo sempre un po’ distratti o miopi quando si tratta di applicare nel quotidiano l’insegnamento che ci hanno lasciato.
Lo siamo pure in questo particolare periodo storico in cui non è affatto difficile capire che lottare oggi per
diritti che non ci interessa poter esercitare significa avere più speranze di non dover lottare domani per
diritti che vogliamo (continuare a) esercitare. È in atto una evidente involuzione sul fronte dei diritti civili,
peraltro, applaudita da una parte di popolazione che crede di poter fermare questo cambiamento prima che intacchi anche i suoi, di diritti, privilegi, convinzioni… Perché per la maggior parte di noi il concetto di libertà e diritti è sempre costruito sulle proprie misure. Invece, il Pride ci ricorda che la libertà e i diritti devono essere abiti a taglia unica: chiunque li deve poter vestire, poi ognuno li indossa e personalizza a modo suo.
Io non sono un pastore e non voglio salire su un pulpito. Confesso, infatti, che un tempo ero una di quelli
che considerano il Pride una discutibile ostentazione della propria diversità/tipicità. Lo pensavo perché non avevo capito nulla. Non avevo capito che se una società si ostina a ignorarti, a far finta che tu non esista, devi costringerla a vederti. Per capire bene bene cosa è il Pride, però, mi è servito parteciparci, essere fisicamente parte di quella marea festosa e pacifica. Molto devo anche alle parole di Claudia Aru,
una delle voci animatrici del Sardegna Pride celebrato a Cagliari il 24 giugno scorso: l’artista ha, infatti, sottolineato come il Pride non sia solo la manifestazione di chi appartiene alla comunità LGBTQIA, ma sia un evento che accoglie e rappresenta chiunque si senta diverso e per questo non si senta accettato. Ecco, dunque, cosa è il Pride: un inno all’autodeterminazione e una rivendicazione della propria identità a tutto campo, non solo di genere, ma anche religiosa, politica, sociale… Non a caso, con il corteo ha sfilato anche una ragazza che –indossando un costume tradizionale sardo – ha voluto attirare l’attenzione sulla violenza di genere e l’emancipazione femminile.
A sfilare c’erano giovani, adulti e persone anagraficamente anziane, ma anche bambini insieme ai genitori, a ricordarci che con i pregiudizi non ci si cresce se non ti vengono inculcati. Persone differenti per indole e, più visibilmente, per look: stravaganti, provocanti, sobri o timidamente allegri. Tutte, però, accomunate dal bisogno di esserci, di prendere parte a questa rivoluzione non violenta, eccentrica e simpaticamente chiassosa. E di dimostrare con i fatti da che parte sta. Non è, infatti, più tempo per ignavi e indifferenti, questo: è il tempo di tornare a essere partigiani… senza armi, di tradurre in gesti concreti – sia pure piccoli, come partecipare al Pride – le proprie convinzioni. Dunque, rispondendo alla domanda iniziale, io c’ero per rivendicare chi sono (con il mio contradditorio mix di conformismo e anticonformismo) e per ribadire in che tipo di società vorrei vivere: una società che accetta tutti, libera da modelli precostituiti di identità e di percorso di vita, convinta che sia praticabile la gestione civile e non violenta dei conflitti e delle controversie.
*Questa è la versione più nota del sermone cui mi riferisco: «Quando i nazisti presero i comunisti,/ io
non dissi nulla/ perché non ero comunista./ Quando rinchiusero i socialdemocratici,/ io non dissi nulla/
perché non ero socialdemocratico./ Quando presero i sindacalisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero
sindacalista./ Poi presero gli ebrei,/ e io non dissi nulla/ perché non ero ebreo./ Poi vennero a prendere
me./ E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa»
Credevo che il carnevale fosse a già passato evidentemente mi sbagliavo
Infatti il pride è un carnevale – allegro, colorato e rumoroso – ma al contrario: ciascunə può liberarsi della maschera che la società lə costringe quotidianamente ad indossare ed essere finalmente se stessə 😉
Segnalo un uso errato della “ə” nell’ultima frase.
“…ad essere finalmente se stess*” è la forma corretta, petalosa e arcobalenosa.