L’angolo della poesia: “La mia mamma e la stazione maledetta” di Valeria Franceschi

scritta poesia in corsivo su sfondo blu e neroCon grande piacere accogliamo oggi in questo spazio la poetessa Valeria Franceschi.

Nata a Bagnara Calabra, così si racconta: «Scrivo solo da un paio di anni e ho cominciato a partecipare ai concorsi letterari nove mesi fa. In questo periodo ho avuto parecchi riconoscimenti e pubblicazioni su antologie da parte degli editori Aletti, La Lettera Scarlatta, GueCI, Accademia dei Bronzi e Nicola Calabria, di cui è in pubblicazione la silloge poetica premiata con menzione d’onore».

La poesia con cui esordisce nel nostro Angolo è tratta dall’antologia dei “Poeti Dispersi” pubblicata dalla casa editrice La Lettera Scarlatta:

 

La mia mamma e la stazione maledetta

Lei si perdeva tra i meandri di vie oscure,

in quella maledetta stazione

saliva spesso sul treno del non ritorno,

restava immobile,gli occhi fissi nei suoi vuoti,

una bambola tenuta in vita da tubicini,

tra sacche di alimento e goccine che le entravano in vena,

lente più lente per non farle male,

ma un filo mi teneva appesa al lumicino che tenevo acceso

che lentamente e inesorabilmente si scioglieva,

goccia a goccia andava verso le nubi,

sapevo che sarebbe rimasta in me con tutto il suo amore

ma non ero pronta a lasciarla andare,

e la spingevo tra le onde, il loro sciabordio l’avrebbe svegliata,

tra le mani profumo di rose e salsedine,

ricordandole che doveva ancora danzare per me

al suono delle note del suo vento di passione,

e stappavo la bottiglia in cui l’avevo serbato,

volevo trattenerla il più possibile,

e lei qualche volta per un attimo solo spezzava le catene del buio,

e si ricordava del suo amore, cercava mio padre

urlava il suo nome,e sapeva solo che l’amava,

tornava poi nel tunnel.

E divenni  la sua mamma, lei la mia bimba senza più ali,

curai le sue piaghe dell’anima,

lavando il suo candore alla fonte della speranza,

mi aveva atteso con gioia,  ammantata di tenerezza e nutrita di nettare di vita,

avrei voluto che tornasse al nostro nido, e tornò!

Cantò, ricordò, mi strinse sul seno come soleva fare,

con gli occhi colmi d’amore giurò che eravamo la sua linfa,

i preziosi a cui non avrebbe mai rinunciato,

e ci lasciò un dono inestimabile

prima di inoltrarsi nell’infinito arcobaleno.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *