LA FORMA E LA SOSTANZA

Di Marcella Onnis

Il premier Berlusconi è tornato alla carica con l’’accusa di anacronismo nei confronti dei partiti della sinistra: l’’opposizione “è fuori dalla storia perché è rimasta comunista”, dice.

Un’’affermazione che, al contrario di altre sue affermazioni forti, non può essere liquidata come una semplice sparata. È, infatti, legittimo chiedersi se dopo i fallimenti di diversi grandi regimi comunisti e a vent’’anni dalla caduta del muro di Berlino, sia ancora realistico pensare ad un futuro per questa ideologia.

Tuttavia, anche ammettendo che un partito che mantenga questa etichetta risulti ridicolo o – – nella migliore delle ipotesi – – pateticamente nostalgico, ci si starebbe preoccupando di un aspetto di secondo ordine.

Poco contano, infatti, i nomi e le forme in generale, se la sostanza manca o è inadeguata.

La crisi della Sinistra (quella vera), per esempio, non è certo dipesa dall’’aver continuato a definirsi comunista, quanto piuttosto dal non aver saputo adeguare ai nuovi scenari sociali e politici il proprio modo di programmare, proporre ed agire. I gruppi dirigenti son rimasti attaccati agli schemi consolidati, convinti che, subìti i primi scossoni, alla lunga avrebbero retto all’’usura del tempo, come le piramidi o certi istituti del diritto romano. E quando hanno finalmente compreso il proprio errore di valutazione, il danno era già fatto: l’’elettorato tradizionale li aveva ormai abbandonati. Poi, per la serie “meglio tardi che mai”, dopo questa presa di coscienza, anche questi partiti hanno dato il via ad operazioni di svecchiamento che guardano più alla sostanza (fare fronte compatto) che non alla forma (l’’etichetta di comunisti). I tentativi, a dirla tutta, si stanno rivelando un po’ maldestri ed i risultati, di conseguenza, sono ancora tutti da vedere, ma almeno la consapevolezza e la volontà di cambiare ci sono.

Al contrario, il Cavaliere sembra preoccuparsi più del contenitore che del contenuto, continuando a definire “nuovo” il suo metodo di fare politica che, però, è lo stesso da quindici anni. Perché per innovare non basta creare un nuovo soggetto politico: occorre cambiare anche il modo di dirigere la relativa struttura, di prendere le decisioni e comunicarle, di rapportarsi con l’’elettorato consolidato e con quello potenziale. E sotto quest’’aspetto nulla è cambiato: nonostante i tentativi di spacciare il Pdl per un partito armoniosamente bicefalo, è chiaro a tutte le menti argute che, – in sostanza,– a decidere è sempre Berlusconi, perché è a lui che spetta l’’ultima parola. È sempre lui – – o un suo portavoce (con o senza incarico) -– a fare le proposte che poi diventano realtà o a ribattere alle accuse degli avversari. È lui a metterci la faccia e a dare la propria parola d’’onore quando c’’è da vincere una competizione elettorale.

A voler essere precisi, comunque, questi metodi non erano nuovi neppure nel 1994, anno della sua discesa in campo: da secoli e secoli, coloro che aspirano a conquistare il potere politico e a mantenerlo per lungo tempo sanno che occorre avere un grande carisma, creare un movimento incentrato sulla propria figura, instaurare un rapporto con i propri sostenitori che sia quanto più possibile simile ad un credo religioso (meglio se accompagnato dal dogma dell’’infallibilità del Capo), controllare l’’opinione pubblica (possibilmente limitandone l’’orizzonte conoscitivo) ed accumulare ricchezze che facilitino il raggiungimento di tutti questi obiettivi.

Indubbiamente, al Premier va riconosciuto il merito di aver saputo comprendere con tempestività il suo tempo e di essere riuscito ad adeguare al nuovo scenario queste vecchie regole, ma nella sostanza non ha poi innovato granché.

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