La corrispondenza tra Schweitzer e Einstein: uniti nei sentimenti in difesa dell’umanitá

di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)

Due grandi nomi, due uomini di scienza e di elevata etica che hanno caratterizzato il secolo scorso, lasciando ai posteri concreti esempi del loro grande sapere essere e saper fare. Albert Schweitzer (1875-1965), nobel per la pace (1952) e Albert Einstein (1879-1955), nobel per la fisica (1921), praticamente coetanei, si incontrarono solo due volte ma per quasi sette anni, dal 1948 al 1955, si scambiarono alcune lettere dalle quali emerge la condivisione di pensieri e riflessioni profondi, accompagnata dalla consapevolezza che fra loro esistesse un rapporto “particolare”, esprimendosi l’un l’altro con parole di elevato valore umano avendo a cuore la sorte dell’umanità, ossia di quanto precaria fosse divenuta la condizione umana per effetto del progresso tecnico-scientifico, e della grande responsabilità di chi doveva controllarne… l’evoluzione. A questo riguardo nel 1937 Einstein scriveva: «la nostra epoca è caratterizzata da meravigliosi successi nel campo delle scoperte scientifiche e dell’applicazione tecnica di tali scoperte. Chi non se ne rallegrerebbe? Ma non dimentichiamo che il sapere e le capacità tecniche da sole non possono garantire all’umanità una esistenza felice e dignitosa».

E su questo aspetto entrambi avvertirono i loro contemporanei dei pericoli di tale progresso, facendo pressioni contro i test e le sperimentazioni della bomba atomica. Essendo il mondo entrato nell’era atomica, Schweitzer avvertì l’urgenza di affrontare la complessa materia e, a partire dagli ottant’anni, si mise  a studiare con particolare impegno la fisica nucleare, questo ovviamente oltre alla già intensa attività di medico-missionario in Gabon. Quando scoppiò la “crisi dei Caraibi” Schweitzer inviò (1962) una lettera al presidente americano Kennedy, invitandolo a una saggia ed equilibrata decisione, a evitare cioè la corsa agli armamenti, scongiurando così il pericolo di uno spaventoso conflitto atomico. Il presidente americano ammise di aver riflettuto sulle conseguenze di una drastica risoluzione militare; inoltre nel rispondergli gli manifestò la propria stima definendolo «una delle personalità morali di maggior rilievo del nostro secolo». Ben si inserisce quindi Arrigo Levi con la prefazione di questo epistolario che va sotto il titolo di “Pace e pericolo atomico Le lettere di Albert Schweitzer e Albert Einstein”, di Alberto Guglielmi Manzoni (Ed. Claudiana, 2011, pagg. 93, euro 9,00), che tra l’altro scrive: «L’iniziativa del presidente americano Obama per promuovere incontri che conducano, forse in un avvenire non vicino, al disarmo nucleare, sarebbe sicuramente approvata e promossa dalla lungimirante saggezza di Schweitzer e Einstein. E fa bene al cuore riascoltare quelle che furono le loro parole, raccolte con tanto impegno dall’autore di questo saggio, che rilancia un messaggio che viene da lontano…»

Un messaggio attraverso pochi scritti tra i due “grandi Albert”, ma consolidati da reciproci approfondimenti che lasciano ben poco spazio a complimenti: mentre Schweitzer aggiorna il padre della relatività sul suo impegno nel condurre l’attività dell’ospedale di Lambarènè, e  nel contempo si rammarica per non averlo potuto incontrare negli Stati Uniti nel 1949, dal canto suo Einstein si rende partecipe con la massima considerazione per il suo operato di medico e filosofo a sostegno dei più diseredati. Scienziati della materia e del bene per l’umanità che hanno rivoluzionato il modo di pensare del loro tempo attraverso la loro opera, una nuova concezione dell’esistenza umana: della “teoria della relatività” il primo, del “rispetto per la vita”, come chiave fondamentale dell’etica il secondo. Due personalità schive e riservate, che hanno coltivato anche l’amore per la musica: Scheweitzer era un valente organista, interprete di Bach, Einstein era un eccellente violinista. Ed ancora. Personalità eclettiche che potremmo considerare di attualità anche ai nostri giorni, il cui esempio espresso sino alla fine della loro esistenza, rafforzato dalla stima reciproca come uomini e nei confronti delle rispettive attività, ha suggellato un’amicizia “a distanza” ma sempre più ravvicinata da un’ideale comune: il bene per l’umanità, e nel contempo il timore del suo futuro alimentato da quel progresso che non conosceva (e non conosce) soste di cui siamo tutti testimoni oggi, e forse anche domani…

 

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