La Consulta dice no all’aggravante della clandestinità

Eravamo nel luglio del 2008 quando il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, annunciava con soddisfazione l’approvazione definitiva del primo provvedimento del c.d. “pacchetto sicurezza” (il d.l. n. 92/2008, convertito nella l. n. 125/08), destinato – nelle ambiziose intenzioni dei padri – a garantire un contrasto più efficace dell’immigrazione clandestina, una maggiore prevenzione della microcriminalità diffusa e una più incisiva lotta alla mafia.

Oggi, a circa due anni di distanza, alcune delle numerose perplessità destate dalle misure in discorso trovano autorevole riscontro nella sentenza n. 249/2010, pubblicata lo scorso 8 luglio, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’aggravante della clandestinità (determinativa di un aumento di pena per i reati commessi da immigrati illegalmente presenti nel territorio nazionale), per violazione degli articoli 3, comma 1 e 25, comma 2 della Costituzione.

Muovendo dal presupposto che i diritti inviolabili spettano ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani, la Consulta ha affermato che la condizione giuridica dello straniero non può di per sé fondare – per quanto riguarda la tutela di tali diritti – trattamenti diversificati e peggiorativi: la nostra Carta Fondamentale, infatti, impedisce che – indipendentemente dalla necessità di salvaguardare altri interessi di rilievo costituzionale – una qualità personale possa essere trasformata in un vero e proprio “segno distintivo”, giustificativo di trattamenti e sanzioni speciali.

Ecco dunque perché – ferma restando l’insindacabilità della scelta politica del Legislatore di sanzionare penalmente la violazione delle norme sul controllo dei flussi migratori – l’aggravante di cui alla disposizione censurata appare irrimediabilmente discriminatoria ed irragionevole, perfino nell’ottica del contrasto all’immigrazione illegale: la ratio sostanziale della norma censurata, in ultima analisi, altro non è che un’inammissibile presunzione generale ed assoluta di maggiore pericolosità dell’immigrato irregolare, il cui comportamento è per ciò solo ritenuto più grave rispetto ad identiche condotte poste in essere da cittadini italiani o comunitari (questi ultimi quand’anche irregolarmente presenti nel territorio nazionale!); viceversa, il giudizio di pericolosità del soggetto responsabile deve sempre essere frutto di un accertamento particolare, da effettuarsi caso per caso, pena la violazione del fondamentale principio di offensività.

A ciò si aggiunga che attualmente – cioè dopo l’introduzione di un autonomo reato di immigrazione irregolare – l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio nazionale, in passato considerati alla stregua di meri illeciti amministrativi, sono di per sé divenuti causa di responsabilità penale: intuitivo, pertanto, il moltiplicarsi dell’effetto sanzionatorio per lo straniero extracomunitario che, punito una prima volta all’atto della rilevazione del suo ingresso o soggiorno illegale nel territorio nazionale, subisce una o più punizioni ulteriori determinate dalla perdurante irregolarità della sua permanenza, in rapporto ad un numero indefinito di violazioni che pregiudicano interessi e valori totalmente estranei alla problematica del controllo dei flussi migratori.

La sentenza della Corte Costituzionale, dunque, offre una prima risposta alle voci allarmate giunte perfino dalle Nazioni Unite (in persona dell’Alto commissario per i diritti umani, Navi Pillay)  preoccupate per le misure contenute nel pacchetto sicurezza italiano che – unitamente alle poco convenienti dichiarazioni di politici e pubblici funzionari che screditano e stigmatizzano i migranti, alimentando sospetti – fanno sì che gli stranieri extracomunitari vengano visti per ciò solo come criminali.

Dal canto nostro, ci auguriamo che la pronuncia – unitamente alla quasi contestuale bocciatura parziale delle ronde – sia letta anche come un invito a non cadere nella facile tentazione di affidare la soluzione dei problemi socialmente più sentiti a misure spesso d’effetto ma, a ben vedere, poco ragionate.

Silvia Onnis

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