LA CONOSCENZA DELLA FIGURA DEL MEDICO E’ INNANZITUTTO UN FATTO CULTURALE
Questo articolo, per quanto “retorico”, è un semplice invito ad una maggiore conoscenza, considerazione e rispetto di questa nobile figura, soprattutto per chi pretende l’impossibile…
di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)
Da che mondo è mondo, a parte i rarissimi casi, non c’è nessun essere umano che una o più volte nella vita non si sia ammalato e abbia avuto bisogno dell’opera del medico. E soprattutto in questi ultimi tempi le sue prestazioni, per quanto necessarie e improrogabili, sono state talvolta contestate (quasi sempre motivate) sino a subire conseguenze generalmente da parte di famigliari dei pazienti avuti in cura… anche se non sempre con esito positivo. A queste persone prive di buon senso civico e quindi anche di cultura, vorrei rammentare quanto segue. La parola medico deriva dal verbo latino “medere”, che significa medicare, curare. Sempre dai latini fu definito “vir bonus medendi peritus”, espressione nella quale “peritus” sta per competente, esperto, e “bonus” significa che il medico deve possedere, oltre alla competenza tecnico-professionale, numerose altre qualità: bontà, comprensione per il malato, capacità di comunicare con lui e i suoi famigliari, affidabilità e gentilezza dei modi. In una parola è, o dovrebbe essere, profondamente umano. Il medico è il necessario punto passaggio lungo l’itinerario attraverso il quale la malattia si inscrive nell’ordine sociale e lo rivela, giacché la malattia socializzata va intesa in un duplice riferimento al lavoro e alla Medicina. Da sempre, quindi, ricorrere al medico (molti enfatizzano chiamandolo “il dottore”) è il corollario dello stato di malattia; per lui “curare” è un imperativo in qualunque caso: anche quando il disturbo, secondario, può con ogni probabilità guarire spontaneamente, e anche quando l’affezione nei confronti della Medicina è impotente. «Nell’opera del medico e di chi assiste l’ammalato – affermava un clinico di vecchia data – vi è qualcosa di sacro, frutto dell’amore, della coscienza di una presenza immancabile che si serve di noi. Il dovere naturale ci comanda, infatti, di considerare l’uomo ammalato non solo come problema diagnostico e terapeutico, ma come essere nobilitato e reso sacro dalla sofferenza». Più volte molti si sono posti (e si pongono) quesiti come: la professione del medico deve essere intesa come missione? Il dualismo medico-paziente deve e può generare una profonda crescita umana e spirituale? Monsignor Fiorenzo Angelini (1916-2014), già presidente del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, affermava: «La professione del medico è una missione perché innanzitutto è e deve essere una vocazione. Non credo sia il caso di parlare di dualismo medico-paziente, ma di rapporto doveroso e tanto più efficace quanto più il medico e l’operatore sanitario in generale sentono e vivono il proprio lavoro come risposta alla domanda più vera, più profonda, più universale che viene dall’uomo: la domanda di salute». Ma si può dire ancora di più. Io credo che il medico debba (o dovrebbe) ascoltare i motivi e le richieste del paziente e dibatterle con lui, mostrandogli i pro e i contro di ogni passo che vorrà compiere, i vantaggi personali e quelli per l’intera comunità. Di certo non cerca di imporre, paternalisticamente o autorevolmente, i propri principi ma di far capire al paziente e/o suoi famigliari, il valore di questi. Diviene, insomma, una figura che molto si avvicina a quella di “amico e maestro”. Sono questi, a mio parere, gli obiettivi della professione medica, che sempre conserva intatto il suo “fascino”, e le necessità dei pazienti. Ma ciò richiede più impegno da parte del medico che necessita di più tempo (meno burocrazia), poiché il confronto è interpersonale, e non una fredda e sterile relazione professionale. Quindi, per queste ragioni sarebbe bene che il Sistema Sanitario (soprattutto oggi per vie delle quotidiane difficoltà gestionali) incoraggi e non penalizzi in qualunque modo, e da parte sua il pubblico non si lasci trasportare da considerazioni fumose ed atti aggressivi quando la Medicina ha “fallito”, o il medico non è stato in grado di evitare l’imponderabile. La mia consuetudine con l’ambiente sanitario e i miei interessi legati al mondo dell’informazione medico-scientifica, e delle problematiche legate al mondo delle disabilità, mi hanno più volte offerto l’occasione di conoscere il medico sotto il profilo professionale, culturale ed umano. Inoltre, di osservare anche i medici che talvolta si sentono delusi, specie quando confrontano i loro sogni con la realtà che li ha seguiti, sostenuti da quegli ideali che nel tempo li ha “soffocati” o soggetti ad esserlo.
Ciò è forse dovuto alla mancanza di diversi orizzonti, oltre al fatto che la sempre più incombenza della gestione sanitaria, che sta a monte, ne favorisce talvolta qualche delusione o scoramento, per non parlare poi di qualche episodio di mancanza di “umana gratificazione”, che personalmente credo che può essere sanata con un sorriso, una stretta di mano e maggior rispetto. Ma ciò nonostante, purtroppo, il tempo è tiranno e poco spazio viene lasciato a questi che non sono per niente convenevoli. Io credo che, tutto sommato, si possa definire il medico, un maestro ma anche un “confessore” dei nostri mali e anche delle nostre pene interiori che, in alcuni casi, possono favorire o peggiorare una situazione patologica. Insomma, un protagonista che da sempre ha fatto storia e leggenda, con articolazioni e venture talora drammatiche, tal’altra poetiche e mai indenne dal nerbo della comicità della satira raramente benevoli. Dalla più lontana antichità, con i suoi sorprendenti documenti, fino alla tecnologia delle moderne sale operatorie corredate di sofisticati robot, l’atteggiamento del curante di fronte alle malattie non è mai cambiato: al massimo si è evoluto proprio per stare al passo coi tempi. Da un lato la continua ricerca di un sapere scientifico e di una pratica medica che non ha mai cessato di riportare successi significativi, e dall’altro la “tentazione” (rarissima) alla inveterata credenza nell’efficacia della magia e dei maghi. La malattia, mi permetto di rammentare, appartiene non soltanto alla storia visibile dei progressi scientifici e tecnologici, ma anche a quella più profonda delle pratiche e delle conoscenze legate alle strutture sociali, alle Istituzioni, all’immaginario e alle mentalità. Le vicende storiche hanno fortemente influito sulla conoscenza del medico, ed è per la sua prestigiosa posizione tra l’umanità che non sarà mai esaurientemente conosciuto… nella giusta ottica. In ogni caso il medico resta quello che è in un mondo in continua trasformazione: il suo esercizio è e sarà sempre ricco di sacrifici, ma anche di soddisfazioni, oltre a qualche delusione e difficoltà operative a causa dei problemi gestionali della Sanità e, come se non bastasse, anche alla sua incolumità messa a repentaglio quasi quotidianamente da quel pubblico affetto da ignoranza e inciviltà. Il medico è quindi un uomo per tutti e che tutti dovrebbero “meglio” conoscere, in salute e in malattia. E quando egli stesso si ammala? Questo è un altro capitolo che meriterebbe un approfondimento a parte.