Jean Leppien, un astrattista di forme e colori in rigide costruzioni

L’ultimo esponente della Scuola Bauhaus

di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)

È indubbio che il mondo dell’Arte è una fonte inesauribile e non avrà mai fine; come inesauribili possono essere i nostri ricordi soprattutto quando abbiamo desiderato “far nostro” quel fantastico mondo fatto di artisti con le loro opere, frutto della loro esistenza e del loro Essere per l’Arte. Tra questi ho conservato appunti di critica di una bella mostra d’arte di Jean Leppien (Parigi 1910-1991) che si è tenuta anni fa a Torino. Rievocare la bellissima esposizione, mi induce a sottolineare che l’Arte ci fa consapevoli di ciò che significa essere vivi nell’universo: “l’esaltazione della vita” è il suo scopo precipuo. Considerazioni quasi d’obbligo e inopinabili (a mio parere) quando si ha l’opportunità di avvicinarsi alle opere dell’ultimo esponente della famosa Scuola Bauhaus (scuola che privilegiava la dottrina della “non separazione” tra l’insegnante e l’allievo di cui hanno fatto parte maestri come Albers, Kandinsky e Klee).
In quella occasione, con le venti opere esposte, Leppien ha dimostrato al fruitore interessanti orientamenti concretizzati in apparentemente rigide costruzioni tettoniche di forma e colori. I toni appaiono talvolta lievemente cupi tal’altra più evanescenti, come gli articolati sfondi gialli, grigi, rossi o blu; mentre la distribuzione dei segni allude ad una simbologia che va dal fine tratto stilisticamente geometrizzante sino alla più percettibile definizione geografica.

Ogni quadro è comunque sintetizzabile in una sorta di ritmica architettonica modernizzata, come se le figure (linee rette, strisce verticali, orizzontali o curve ed incrociate) fossero a rilievo contro una parete grazie alla tecnica della “graffiatura” che, eseguita in modo magistrale, produce un insieme di immagini, ideogrammi: memorie di una profonda cultura arcaica con particolare riferimento alle incisioni rupestri, significativamente rappresentate dalla Valle delle Meraviglie sul Monte Bego. Un’autentica galleria d’arte preistorica che ci lascia stupiti e ammirati, di fronte al cammino dell’umanità. Si tratta, in definitiva, di costruzioni apparentemente astratte ma che, in realtà, sono in qualche modo connaturate all’uomo o comunque alla figura umana dalla vivida espressività artistica, proprio perché l’autore è conscio che l’arte era un mezzo di cui l’uomo primitivo si serviva per cercare di vincere la sua paura dell’ignoto. Insomma, era una rassegna da non perdere, che ha valorizzato l’artista franco-tedesco, che ha vissuto la sua vita nel maestoso scenario delle Alpi Marittime, desideroso di viverla con lo stesso significato di un’opera d’arte: indipendente, come dovrebbero esserlo tutte le forme d’arte e, come quelle, effusa da un’unica sorgente nello spirito dell’uomo.

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