Una storia in difesa delle “flebili” voci. Un monito ai “potenti” del mondo

 

Alcuni giorni fa una rete televisiva nazionale ha trasmesso un film-documentario. Si intitolava “Iqbal Basih”, storia di un bambino pakistano, vittima dello sfruttamento del lavoro minorile. Una trama non solo commovente ma soprattutto di stimolo alla riflessione sui diritti negati all’infanzia, per i quali i “potenti” del mondo sono in parte responsabili perché non sanno (o non vogliono) porre fine a questa ingiustizia che disonora il genere umano… quello adulto, si intende. Una ingiustizia che si perpetua da molto tempo, troppo tempo. La sua storia è ormai simbolo di un sogno perduto, ma rievocarla, sia pur brevemente, ritengo sia un dovere e un “toccasana” per tutti e quindi preludio ad un ritorno a quei valori che sottintendono il rispetto dei diritti dei minori, della loro integrità fisica e psicologica, e della loro dignità.

Iqbal Masih è nato nel 1983 in una famiglia molto povera in una regione occidentale del Pakistan. Quando aveva cinque anni la sua famiglia si indebitò per pagare le spese matrimoniali della primogenita, e per questo è stato venduto dal padre ad un fabbricante di tappeti. Per oltre sei anni è stato tenuto legato al suo telaio, dopo aver tentato più volte di fuggire dai suoi sfruttatori, lavorando dodici ore al giorno per 3 centesimi di euro. Un giorno del 1992 riuscì ad uscire di nascosto dalla fabbrica-prigione, e insieme ad altri bambini a partecipare ad una manifestazione del “Fronte di liberazione del Lavoro Schiavizzato” (BLLF), dedicata alla “Giornata della Libertà”.

Proprio in quell’occasione Iqbal ebbe il coraggio di raccontare la sua odissea e le condizioni di sofferenza degli altri bambini schiavizzati come lui. Ebbe il sostegno del sindacato grazie al quale, attraverso successive conferenze, estese l’informazione all’opinione pubblica a livello internazionale. A Stoccolma, ad esempio, affermò: «Nessun bambino dovrebbe impugnare mai uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite». In breve divenne un simbolo e portavoce del dramma di molti bambini lavoratori; ebbe alcuni riconoscimenti, anche in denaro che utilizzò per una causa che, purtroppo, non riuscì a portare a termine nonostante avesse manifestato il desiderio di diventare avvocato per difendere i diritti di tutti i bambini sfruttati nel mondo.

Il 16 aprile 1995 venne ucciso da dai sicari di una organizzazione criminale (la mafia dei tappeti). Un epilogo che non ha però scritto fine a questa storia perché da allora molte persone, enti ed istituzioni hanno continuato la sua opera, ricordando al mondo intero che chi vorrà comprare un tappeto di dubbia provenienza, offenderà la memoria di Iqbal contribuendo a proseguire la catena dello sfruttamento del lavoro minorile.

Ora, sono molte le considerazioni che si possono fare, ed ognuna merita di annoverare Iqbal tra i più giovani “eroi della sofferenza”. Un eroismo non fine a se stesso ma volto a risvegliare quelle coscienze sopite, o ancora giacenti nel torbido, di molti politici e di altre figure che potrebbero intervenire per dovere etico ed istituzionale ma che irresponsabilmente restano inermi… forse perché loro non hanno dovuto vendere i propri figli…

A questo proposito mi sovviene, e lo ripropongo, il testo dell’intervento che Severn Suzuki,  “La ragazzina che zittì il mondo per 6 minuti“, fece nel 1992 a Rio de Janeiro, dove  si svolse il primo Summit della Terra.

«Buonasera, sono Severn Suzuki e parlo a nome di ECO (Environmental Children Organization). Siamo un gruppo di ragazzini di 12 e 13 anni e cerchiamo di fare la nostra parte, Vanessa Suttie, Morgan Geisler, Michelle Quaigg e me. Abbiamo raccolto da noi tutti i soldi per venire in questo posto lontano 5.000 miglia, per dire alle Nazioni Unite che devono cambiare il loro modo di agire. Venendo a parlare qui non ho un’agenda nascosta, sto lottando per il mio futuro.

Perdere il mio futuro non è come perdere un’elezione o alcuni punti sul mercato azionario. Sono qui a parlare a nome delle generazioni future. Sono qui a parlare a nome dei bambini che stanno morendo di fame in tutto il pianeta e le cui grida rimangono inascoltate. Sono qui a parlare per conto del numero infinito di animali che stanno morendo nel pianeta, perché non hanno più alcun posto dove andare. Ho paura di andare fuori al sole perché ci sono de buchi nell’ozono, ho paura di respirare l’aria perché non so quali sostanze chimiche contiene. Ero solita andare a pescare a Vancouver, la mia città, con mio padre, ma solo alcuni anni fa abbiamo trovato un pesce pieno di tumori. E ora sentiamo parlare di animali e piante che si estinguono, che ogni giorno svaniscono per sempre.

Nella mia vita mia ho sognato di vedere grandi mandrie di animali selvatici e giungle e foreste pluviali piene di uccelli e farfalle, ma ora mi chiedo se i miei figli potranno mai vedere tutto questo. Quando avevate la mia età, vi preoccupavate forse di queste cose? Tutto ciò sta accadendo sotto i nostri occhi e ciò nonostante continuiamo ad agire come se avessimo a disposizione tutto il tempo che vogliamo e tutte le soluzioni. Io sono solo una bambina e non ho tutte le soluzioni, ma mi chiedo se siete coscienti del fatto che non le avete neppure voi. Non sapete come si fa a riparare i buchi nello strato di ozono, non sapete come riportare indietro i salmoni in un fiume inquinato, non sapete come si fa a far ritornare in vita una specie animale estinta, non potete far tornare le foreste che un tempo crescevano dove ora c’è un deserto.

Se non sapete come fare a riparare tutto questo, per favore smettete di distruggerlo. Qui potete esser presenti in veste di delegati del vostro governo, uomini d’affari, amministratori di organizzazioni, giornalisti o politici, ma in verità siete madri e padri, fratelli e sorelle, zie e zii e tutti voi siete anche figli.

Sono solo una bambina, ma so che siamo tutti parte di una famiglia che conta 5 miliardi di persone, per la verità, una famiglia di 30 milioni di specie. E nessun governo, nessuna frontiera, potrà cambiare questa realtà. Sono solo una bambina ma so e dovremmo tenerci per mano e agire insieme come un solo mondo che ha un solo scopo. La mia rabbia non mi acceca e la mia paura non mi impedisce di dire al mondo ciò che sento.

Nel mio paese produciamo così tanti rifiuti, compriamo e buttiamo via, compriamo e buttiamo via, compriamo e buttiamo via, e tuttavia i paesi del nord non condividono con i bisognosi. Anche se abbiamo più del necessario, abbiamo paura di condividere, abbiamo paura di dare via un po’ della nostra ricchezza. In Canada, viviamo una vita privilegiata, siamo ricchi d’acqua, cibo, case abbiamo orologi, biciclette, computer e televisioni. La lista potrebbe andare avanti per due giorni. Due giorni fa, qui in Brasile siamo rimasti scioccati, mentre trascorrevamo un po’ di tempo con i bambini di strada. Questo è ciò che ci ha detto un bambino di strada: “Vorrei essere ricco, e se lo fossi vorrei dare ai bambini di strada cibo, vestiti, medicine, una casa, amore ed affetto”.

Se un bimbo di strada che non ha nulla è disponibile a condividere, perché noi che abbiamo tutto siamo ancora così avidi? Non posso smettere di pensare che quelli sono bambini che hanno la mia stessa età e che nascere in un paese o in un altro fa ancora una così grande differenza; che potrei essere un bambino in una favela di Rio, o un bambino che muore di fame in Somalia, una vittima di guerra in medio-oriente o un mendicante in India. Sono solo una bambina ma so che se tutto il denaro speso in guerre fosse destinato a cercare risposte ambientali, terminare la povertà e per siglare degli accordi, che mondo meraviglioso sarebbe questa terra!

A scuola, persino all’asilo, ci insegnate come ci si comporta al mondo. Ci insegnate a non litigare con gli altri, a risolvere i problemi, a rispettare gli altri, a rimettere a posto tutto il disordine che facciamo, a non ferire altre creature, a condividere le cose, a non essere avari. Allora perché voi fate proprio quelle cose che ci dite di non fare? Non dimenticate il motivo di queste conferenze, perché le state facendo? Noi siamo i vostri figli, voi state decidendo in quale mondo noi dovremo crescere. I genitori dovrebbero poter consolare i loro figli dicendo: “Tutto andrà a posto. Non è la fine del mondo, stiamo facendo del nostro meglio”. Ma non credo che voi possiate dirci più queste cose. Siamo davvero nella lista delle vostre priorità? Mio padre dice sempre siamo ciò che facciamo, non ciò che diciamo. Ciò che voi state facendo mi fa piangere la notte. Voi continuate a dire che ci amate, ma io vi lancio una sfida: per favore, fate che le vostre azioni riflettano le vostre parole». Sono passati già 20 anni da questo toccante intervento, ma a mio parere poco o nulla è cambiato!

 

Ernesto Bodini

(giornalista scientifico)

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