In cerca di cibo genuino …e sia, pure clandestino!

pubblico che assiste a un evento

Il cibo: stesso tema di Expo 2015, ma sviscerato dal Festival della letteratura di Mantova con tutt’altro approccio. Particolarmente evidente nell’incontro dedicato alla rete “Genuino Clandestino” e all’autodeterminazione alimentare.

una ragazzo parla al microfono davanti al pubblicodi Marcella Onnis

Festivaletteratura 2015 – Mantova – Domenica 13 settembre 2015

Attirata dall’argomento ma, confesso, anche dalla degustazione, l’ultimo giorno del Festival approdo di nuovo alla Tenda dei libri per un altro incontro dedicato al cibo. Questo è intitolato “Genuino e clandestino” ed è molto partecipato, al pari dell’evento del giorno precedente con Massimo Carlotto sulla sofisticazione alimentare. Un indubbio segno della grande attenzione che c’è verso queste tematiche.

LA RETE “GENUINO CLANDESTINO” – Questo incontro è incentrato sul libro “Genuino clandestino”, scritto da Roberta Borghesi e Michela Potito con il contributo fotografico di Sara Casna e Michele Lapini. Risalendo la filiera, il libro a sua volta prende il nome dalla realtà di cui parla: una rete che, spiegano gli autori, «si autodefinisce un movimento di comunità in lotta per l’autodeterminazione alimentare».
La rete “Genuino clandestino” è nata all’incirca nel 2001, prima dunque del manifesto sulla sovranità alimentare, datato 2012. Nasce con l’obiettivo – ricordano ancora gli autori – di «dare un’alternativa al supermercato con vari mercati di vendita diretta di prodotti biologici». Tali mercati, però, di fronte alla richiesta di regolarizzarsi, hanno rivendicato il fatto che a renderli illegali siano le normative in vigore e hanno, pertanto, scelto  di esistere “clandestinamente”. Per essere in regola, infatti, nell’attività di produzione dovrebbero seguire procedure e standard usati dall’industria alimentare, con costi per loro insostenibili. Hanno, quindi, deciso di non adeguarsi e di continuare a vendere i loro prodotti, segnalando ai clienti la loro condizione di “clandestini”.
Il cibo che offrono, però, non è solo genuino, spiegano gli autori del libro: intende richiamare un certo tipo di relazione etica tra persone e tra uomini e animali. Un tipo di relazione che, certamente, non esiste nella grande industria dove, al contrario, spesso si verificano maltrattamenti di animali e sfruttamento dei lavoratori.

La campagna di “Genuino clandestino” è stata, successivamente, sposata in tutta Italia da realtà che già agivano con questa filosofia. Viene da pensare che questa sia una complessa organizzazione, capillarmente diffusa sul territorio nazionale, per cui stupisce sentire una delle autrici affermare che non esiste un coordinamento del movimento. Non solo: la rete si riunisce solo due volte l’anno e, in quelle occasioni, definisce quali azioni portare avanti. Le loro battaglie, infatti, sono molteplici e al passo con i nuovi scenari: dalla tutela dei prodotti contadini, spiegano gli autori del libro, sono passati a occuparsi di problemi quali i semi e gli OGM, come pure l’avvio dell’attività agricola. Inoltre, la rete ha stretto fratellanza con altri movimenti di lotta per la tutela e la liberazione del territorio.

pubblico che assiste a un eventoAltro pregio del movimento, evidenziato dai quattro giovani autori, è che «non è un movimento settoriale: ha messo in connessione campagna e città. Perché, in realtà, comunità urbana e rurale sono una sola: le difficoltà di chi lavora in campagna sono le stesse di chi lavora in città».
“Genuino clandestino”, affermano ancora, «rappresenta un tentativo, nell’era delle grandi opere (in cui si può includere l’agroindustria), di dare una nuova narrazione a ciò che l’agricoltura contadina è sempre stata, ma senza essere troppo tradizionalisti». E con “agricoltura contadina” intendono la cura della terra ma anche, come accennato prima, delle relazioni tra uomini e tra questi e gli animali.
Restando in tema di grandi realtà, la rete è, inoltre, «l’opposto di Expo: non parla di sé, non ha la pretesa di sfamare il pianeta, perché questo si sfama da sé. E non parla di sé perché ha tanto da fare». E di tutte le critiche rivolte – a torto o a ragione – all’Expo questa mi pare una delle più serie e difficilmente superabili.

IL LIBRO “GENUINO CLANDESTINO” – L’idea del libro, spiegano gli autori, nasce per dare voce a questo movimento, per diffondere buone pratiche e anche per provare a raccontare l’agricoltura contadina. Per realizzarlo, hanno compiuto un viaggio per l’Italia – finanziato sia da sponsor che tramite il crowdfunding – durante il quale hanno raccolto molto materiale.

Strutturalmente, l’opera si compone di una parte fotografica, di una parte che è una sorta di racconto di viaggio (composta da dieci storie raccolte lungo il Paese)  e di una parte di impianto saggistico ma scritta con l’apporto di diversi collettivi.

Uno dei temi che il libro aiuta a esplorare è l’avvio di un’attività agricola. La scelta non è casuale: intraprendere questo tipo di attività è costoso, pertanto, affermano a piena ragione gli autori, il frequente invito a tornare all’agricoltura, fatto anche dalle istituzioni, «è abbastanza retorico». «Il libro non dà soluzioni» chiariscono, però «racconta storie diverse di scelte diverse. Invita a interrogarsi, soprattutto chi vorrebbe avviare questo tipo di attività, in modo che possa capire quale sia la sua scelta». Una scelta che, precisa opportunamente una delle autrici, «ti coinvolge a 360° gradi: non è solo scegliere un’attività lavorativa».

Il ruolo della fotografia in questa pubblicazione, se mai ci fosse bisogno di chiarirne l’importanza, è «dare un volto alle persone, un volto autentico. Quella del libro è fotografia di reportage perché riporta ciò che abbiamo visto. Abbiamo vissuto con queste persone per 3-4 giorni e documentato quello che è successo. Non sono fotografie studiate a tavolino. È un racconto genuino».

menu di una degustazioneLA CASCINA “LE CINCIALLEGRE” – La degustazione prevista dal programma a conclusione dell’incontro è affidata a Le Cinciallegre, cascina di Cingia de’ Botti (CR), che già per il nome suscita simpatia. Si tratta di una delle realtà raccontate nel libro, rappresentata in questo incontro da Cecilia Botturi, una delle componenti del collettivo. Apprendiamo così che, dodici anni fa, questo gruppo di persone ha lasciato la città, dove gestiva un centro sociale, per andare a vivere e lavorare in campagna, con l’intento di costruire una realtà collettiva. «Non lavoriamo tutti la terra» chiarisce Cecilia, che poi spiega il come e il perché: «nella nostra logica ognuno deve sviluppare le proprie passioni, anche nell’economia. Crediamo che l’autodeterminazione alimentare sia fondamentale e per questo crediamo nella clandestinità, non perché vogliamo “sfangarla”».

Concluso l’incontro, comincia l’attesa degustazione. Questa viene offerta in stoviglie realizzate in materiale completamente organico, perché la serietà di una proposta passa anche per la coerenza nel metterla in pratica. Da segnalare anche che non ci chiedono “un’offerta” ma, per volontà de Le Cinciallegre, “un contributo” (pari ad almeno 5 euro, costo pro capite stimato per realizzare i piatti offerti). Di fianco potete leggere il menù. La bontà, invece, potete solo immaginarla.

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