IL GRANDE TEMA DEL “FINE VITA”

Ancora troppo scarsa è la cultura sul suicidio medicalmente assistito, così come troppo scarsa è la vicinanza verso chi soffre, ed altrettanto lente le procedure di legge

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico e opinionista)

Anche solo dal punto di vista culturale e filosofico non è mai semplice affrontare il tema della morte, ancor meno quando si tratta di decidere se porre fine (come e quando) alla propria esistenza. È un problema estremamente intimo, oltre che etico, che non mi sono mai posto sia come cittadino che come opinionista per la pubblica informazione. Prima di tutto perché questo tipo di esperienza è un fatto del tutto personale che implica la propria realtà psico-fisica intesa come sofferenza, inoltre perché necessita determinate conoscenze e, a mio modesto avviso, non c’è teologo, antropologo, medico o psicologo che tengano: il grado di sopportazione di una pena non si basa solo dal punto di vista clinico, ma anche da quello  del proprio vissuto a cominciare dall’inizio del dramma sino al momento limite di sopportazione. A parte gli atei e gli agnostici in molti casi non meno importanti sono il proprio credo e la propria fede, due aspetti di grande sostegno ma insufficienti quando si tratta di non essere più in grado di accettare la propria condizione che, peraltro, non vuole impietosire nessuno. Anche i famigliari e/o caregiver sono (o possono essere) un grande sostegno, ma nemmeno loro hanno il “potere” di lenire quelle sofferenze che nella maggior parte dei casi durano anni… Nel nostro Paese in questi ultimi decenni si sono verificati diversi casi che “solo” dopo anni di calvario (e questo non è un eufemismo) hanno avuto una… conclusione, e ciò grazie al contributo di Movimenti come l’Associazione Luca Coscioni, sollecitando coscienza e responsabilità dei politici che sinora non si sono totalmente immedesimati ed espressi sulla “questione” del Fine Vita, se non previe sollecitazioni di carattere sociale. Personalmente non vorrei essere a loro posto, non solo perché si tratta di deliberare definitivamente sul diritto del suicidio medicalmente assistito, ma anche perché una decisione politica (per quanto inevitabile) sovente entra in conflitto con cultura, etica, aspetti legali, economici e sociali in senso lato. Da sempre la nostra società lotta per il diritto alla vita, alla tutela della salute e per la libertà; ora si lotta per il diritto di morire che detto così “semplicemente” sembra un paradosso; ma ciò richiede un’attenta analisi che non demanderei solo al politico o la magistrato di turno, ma anche all’intera collettività coinvolgendola con incontri affinché prenda coscienza del fatto che, anche se non si vuole andare contro la Legge Divina (per chi ci crede), solo il sofferente è in grado di esprimere il grado di non sopportazione di un dolore e di una pena, e questo, mi sembra più che razionale ed umano. Ma l’onta non termina qui perché come è un costo essere curati, è un costo anche per chiedere di essere aiutati nel porre fine alla propria esistenza. Ma perché un’onta? In questo frangente, anche se determinati aspetti organizzativi richiedono un costo, personalmente ritengo che chiedere del denaro al morente è quanto meno “disumano”: come dire che devi pagare comunque se non vuoi più soffrire e, se il soggetto interessato non ha possibilità economiche, è destinato a continuare a soffrire! E se nascere e morire hanno sempre condizionato l’essere umano imponendogli dei costi, nel caso della “necessità” di un fine vita, non mi sembra proprio il caso di infierire ulteriormente perché, detto per inciso, suonerebbe come un insulto alla sua dignità. Tuttavia, con questo articolo non intendo “liquidare” la questione in modo così sintetico e, per certi versi, semplicistico; ma credo che ci sia da fare ancora molta strada non tanto manifestando espressioni con slogan quanto invece, come ripeto, dedicare più spazio all’approfondimento culturale. Inoltre, suggerirei ai politici, agli atei, agli agnostici e ai dubbiosi, di visitare alcuni reparti di terapia intensiva e/o rianimazione o di gravi ustionati, avendo l’accortezza di accostarsi a quel letto con umiltà e riverenza… Ecco, queste sono le mie considerazioni a caldo dopo aver letto dell’ultimo caso in Italia di fine vita nel nome di Federico Carboni (nella foto di copertina), la cui umiltà lo portato a fare una scelta non prima di aver lasciato al pubblico un messaggio-saluto: “Non nego che mi dispiace congedarmi dalla vita, ne abbiamo una sola ma purtroppo è andata così. Ora finalmente sono libero di volare dove voglio, totalmente sereno e tranquillo nella mia decisione. Me ne vado ma in realtà resterò con voi». E per quanto mi consta, il suo esempio nulla ha a che vedere con lo stoicismo, largamente anteposto da quella razionalità che è un ulteriore invito per tutti noi a riflettere, e a responsabilizzare coloro che devono decidere!

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