Il 23 maggio di vent’anni fa moriva Giovanni Falcone, 57 giorni dopo Paolo Borsellino. Cosa è cambiato oggi, in Sicilia, nella lotta alla mafia?

20 anni fa, il 23 maggio del 1992, il giudice Giovanni Falcone venne ucciso sull’autostrada di Palermo, all’altezza dello svincolo di Capaci, insieme alla moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta.
Il 19 luglio dello stesso anno, 57 giorni dopo, il collega Paolo Borsellino venne ucciso dall’esplosione di un’autobomba in via D’Amelio, a Palermo.
I due facevano parte del Pool antimafia nato nei primi anni Ottanta a Palermo e coordinato dal magistrato Antonino Caponnetto; nel febbraio del 1986 si aprì il maxiprocesso alla mafia, frutto di questa collaborazione: durò quasi due anni, dal febbraio del 1986 fino al dicembre del 1987 e inflisse complessivamente più di 2000 anni di carcere a 475 imputati.
Fu il primo processo nel quale si giudicò la mafia come organizzazione e non come reato singolo. Molte delle condanne inflitte nella sentenza di primo grado furono però annullate in Cassazione; Falcone e Borsellino, agli inizi del 1992, riuscirono comunque a far rigettare molte richieste di appello e diversi mafiosi precedentemente scarcerati tornarono dietro le sbarre.
Nello stesso anno, vennero entrambi uccisi dalla mafia.
Cosa è cambiato da allora in Sicilia e nella lotta alla mafia?
Umberto Di Maggio è coordinatore regionale in Sicilia dell’associazione “Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie”; ci parla di cosa significa fare antimafia oggi in Sicilia, della Palermo di ieri e di cosa è cambiato dopo le stragi del 1992, di Falcone e Borsellino.
Lei è Coordinatore regionale in Sicilia di “Libera, associazioni nomi e numeri contro le mafie”ed è impegnato nella promozione della cultura della legalità: può raccontarci che cosa significa oggi fare antimafia attiva in Sicilia?
“Userò delle metafore. Ve n’è una comoda e folkloristica ed è quella che ostinatamente descrive il fare mafioso come qualcosa di “tipico” e quindi localmente determinato. E’ lo stereotipo della “coppola” o della “lupara”. Ma nella nostra terra anche le pietre sanno che è il tempo dei “colletti bianchi” e della “borghesia mafiosa” che delinque ed opera congiuntamente con una parte (minoritaria, si spera) della Politica e delle professioni. Qualcuno ha detto che l’antimafia unisce solo i morti. I vivi li divide tra chi la fa e chi lascia fare. Fare antimafia in Sicilia è quindi un dovere morale e civico. Ma per molti è solo un obbligo di “facciata”. La nostra è la terra dei Gattopardi e dei professionisti dell’antimafia di Sciascia, non dimentichiamolo.“
Il 23 maggio ricorrerà il ventesimo anniversario dell’uccisione di Giovanni Falcone, e il 19 luglio quello di Paolo Borsellino; quest’ultimo, in una lettera scritta poche ore prima dell’attentato nel quale rimarrà ucciso aveva scritto: “E sono ottimista perchè vedo che verso di essa i giovani, siciliani e no, hanno oggi un’attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quarant’anni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta”; a distanza di venti anni com’è cambiata l’attenzione dei giovani italiani verso la mafia?
“C’è troppa retorica intorno ai giovani. Sembra che essi siano la panacea per risolvere ogni male. C’è anche uno stupido e retorico approccio volto a posticipare i problemi piuttosto che anticiparli. Ed in questo senso i giovani sembrano essere i futuri taumaturghi pronti a compiere il “miracolo” della liberazione da ogni bruttura che caratterizza la nostra società. Diceva un pedagogo latino che i giovani sono fiaccole da accendere piuttosto che vasi da riempire. Ecco, bisogna rivolgersi a loro cercando di intercettare le legittime istanze, le ansie e preoccupazioni. In questi anni le fascinazioni ad opera delle mafie e della cultura dell’apparenza sono state forti e dirompenti. Ma ancora più forte è stato il lavoro di sensibilizzazione svolto, in taluni contesti, per cambiare la comune percezione che la mafia è invincibile perché “migliore” dello Stato. Sul solco di quest’impegno dobbiamo lavorare, a fianco dei giovani, con ancora più forza e determinazione. “
Nella Palermo degli anni novanta non mancavano le lamentele dei vicini di casa di Falcone, che protestavano degli “schiamazzi notturni” e del rumore delle sirene della scorta; secondo Lei il Pool antimafia godeva dell’appoggio dei cittadini o era solo anche per quanto riguarda la solidarietà e l’appoggio della gente?
“Per certi aspetti il pool fu isolato e lasciato alla sua missione salvifica, per altri invece ha rappresentato un autentico esempio di ostinata volontà al cambiamento. Palermo è una città strana che volta le spalle ai suoi figli migliori. Io continuo a vergognarmi per quei Palermitani che osteggiavano l’azione dei magistrati del Pool. Mi vergogno per la loro insensibilità e per il cinismo che caratterizzava la loro visione della vita. Al contempo sono fiero di essere vissuto in una città dove, in quel periodo, nascevano coordinamenti antimafia e dove la coscienza critica di una seppur sparuta minoranza ha contribuito al raggiungimento di importanti risultati contro la mafia e la criminalità organizzata.”
Quando Falcone e Borsellino vennero trasferiti all’Asinara per concludere in sicurezza l’istruttoria del Maxiprocesso, dovettero in seguito pagare le spese di soggiorno e un indennizzo per le bevute extra; crede che le istituzioni, venti anni dopo, siano più presenti e più attente di prima o la mafia continua ad essere la lotta di pochi uomini dello Stato?
“Ancora una volta ci sembra importante distinguere per non confondere. E’ vero, sono tanti i casi in cui la “politica” ci racconta di inefficienze e collusioni. Ma nel nostro paese abbiamo avuto importantissimi esempi di amministratori e di uomini delle istituzioni attenti ai problemi e coraggiosamente contro ogni forma di mafia e malaffare. E’ il caso di Pio La Torre, Piersanti Mattarella, Peppino Impastato, Angelo Vassallo. Sul loro esempio dobbiamo proseguire il nostro impegno.”
La mafia sta conquistando anche le regioni del Centro Italia, mettendo radici anche in Toscana: può dare un consiglio a noi giovani toscani che vogliamo impegnarci concretamente nella lotta alla mafia?
“Tenere alta la guardia e farvi promotori della cultura della partecipazione democratica. La vostra è la terra delle lotte partigiane per la liberazione dal nazifascismo. Prendete in mano questa pesante eredità e coniugatela nella direzione del maggiore impegno contro mafie, neoterrorismi e corruzione.”
Ci lasci con un ricordo che conserva, un episodio che le ha lasciato il segno in questi anni di lotta nell’antimafia.
“Non dimenticherò mai lo sguardo di un ragazzo, palermitano come me, costretto a vivere al Nord, lontano dalla nostra città per coronare il suo sogno. Mai dimenticherò la sua lucida follia e la sua disperata ostinazione nel tornare a vivere nella nostra bella e disgraziata terra. Quel ragazzo è un artista di strada. Vive raccontando la vita utilizzando le forme e gli strumenti più belli che l’arte può donare. A lui ho simbolicamente regalato un euro chiedendogli di metterlo da parte come acconto simbolico per l’acquisto del biglietto di “solo ritorno” nella nostra Palermo. Gli ho chiesto di tornare e di lottare per una Sicilia davvero Libera. Spero di incontrarlo un giorno e di offrirgli un caffè. In quell’occasione tra l’altro gli chiederò il nome. Quello sarà il nome dei tanti giovani costretti ad abbandonare il Sud per liberarsi da mafia e corruzione. “
Grazia D’Onofrio
http://www.ilcittadinox.com/blog/uccidere-un-mafioso-non-e-reato-pena-di-morte-per-i-mafiosi.html
« La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. », la fine del fenomeno mafioso quindi, coinciderà con la sua morte fisica, con la morte fisica dei mafiosi.
Se la mafia è un fenomeno umano, la sua fine non potrà che esserne indiscutibilmente la morte.
Pensare di sconfiggere la mafia uccidendo i suoi uomini è ridicolo; se c’è una cosa che l’organizzazione mafiosa ha dimostrato in tutti questi anni e di riuscire sempre a risorgere dalle sue ceneri, ripensandosi, ristrutturandosi e dimostrando una insensibilità totale agli uomini che ha dovuto “sacrificare” nel corso del tempo. Che poi uno Stato più presente, efficiente ed equo possa essere un valido deterrente al dilagare della criminalità organizzata è un’altra questione, sicuramente una soluzione più sensata.
Riguardo all’intervista, mi è piaciuto molto il passaggio sui giovani, molto intelligente: finalmente si riconosce che i continui appelli alle generazioni future sono usati spesso con totale ipocrisia e con l’unica volontà di eludere compiti precisi che spettano a questa generazione, a chi già è adulto (primo ma non unico quello di formare i ragazzi e fornire loro i giusti strumenti cognitivi e metodologici per portare avanti una lotta così tremenda come quella contro le mafie).