I lavoratori di Sardegna Uno “cornuti e mazziati”: adesso basta

Da tre mesi i dipendenti dell’emittente televisiva regionale Sardegna Uno sono in assemblea permanente per protestare contro l’azienda. Alla base di questa decisione lunghi dissapori con il precedente proprietario, Giorgio Mazzella, il licenziamento di quattro giornalisti scongiurato grazie alla generosità dei colleghi che si sono decurtati del 33% lo stipendio mensile, quattro mensilità arretrate che stanno diventando cinque, un passaggio di proprietà che non ha portato alcuna risposta né segno di speranza, anzi…

Come tanti in Sardegna, sto seguendo le azioni di protesta dei lavoratori: scioperi, conferenze stampa e, da ultimo, un’edizione molto speciale del telegiornale realizzata al mercato di San Benedetto di Cagliari, luogo della città in cui si manifesta il “sentire del popolo” (qui il video e il dettagliato resoconto di Federica Lai). Fino ad oggi ho seguito la vicenda passivamente, aspettando l’occasione per raccogliere personalmente le dichiarazioni dei lavoratori o almeno il momento in cui avrei avuto qualcosa di utile e non banale da dire. Ma non posso più attendere e stare zitta.

Non dopo aver appreso dalla stampa locale che, a seguito della “protesta creativa” a San Benedetto, il direttore del telegiornale Mario Tasca (che è anche uno degli attuali proprietari) ha estromesso dalla conduzione del TG Gianni Zanata e Stefania De Michele. Perché abbia scelto proprio loro due non lo so, ma credo che la motivazione possa, al massimo, rendere più grave l’accaduto, di certo non accettabile.

Non esiste che un lavoratore che da mesi ottiene silenzi se non controaccuse come risposte ai suoi timori, che non riceve il compenso dovuto, che ha fatto la propria parte per tentare di tirar fuori l’azienda dal baratro, che ha saputo pazientare, debba continuare a subire senza proferire parola. Non esiste. Tanto più quando la forma scelta per esprimere il proprio dissenso e la propria preoccupazione è tanto rara quanto apprezzabile perché civile, pacifica, arguta e persino ironica (altro che i V-Day di Grillo).

Un imprenditore deve dare risposte, deve assumersi le sue responsabilità, tanto più se ha rilevato un’azienda a rischio di chiusura. E non può limitarsi a scaricare tutte le responsabilità sulle amministrazioni che non onorano i debiti nei confronti della sua azienda (tu, imprenditore, cosa hai fatto per innovarla, per rispondere alle sfide del mercato e alla concorrenza del web?). Né tantomeno può punire i dipendenti che non accettano passivamente la sua inerzia e la sua pochezza.

Certo, le istituzioni, Governo e Regione in particolare, devono fare la loro parte. Perché è tutto il comparto dell’editoria, non solo locale, ad essere in crisi. E devono farla bene, la loro parte: proponendo agevolazioni per interventi strutturali e innovativi e non erogando sovvenzioni variamente denominate, motivate con le finalità più fantasiose e utili – quando effettivamente erogate – non certo per scongiurare la chiusura delle aziende ma al più per prolungarne l’agonia.

Il mio “basta” non lo urlo come redattrice di un giornale che finora è sopravvissuto solo grazie alla folle e ostinata passione delle persone che ci lavorano, prima fra tutte il direttore Francesca Lippi: lo urlo come cittadina. Una cittadina che, innanzitutto, vuole che sia garantito il pluralismo dell’informazione e che, per questo, vede con preoccupazione lo spegnersi di tante voci (tv, radio, giornali…). Una cittadina che – proprio come Gianni Zanata già da tempi “non sospetti” – sa che le guerre tra poveri avvantaggiano solo i potenti. E che non accetta che per quadrare i conti si debbano erodere le certezze e le speranze delle persone, anziché scovare ed eliminare gli sprechi, rivedere – contesto per contesto – le priorità, sanzionare gli errori, fermare i voli pindarici… Una cittadina  che crede che ciò che è dovuto è dovuto, che lo chiami “mensilità” o “tredicesima”. E che pensa che tutti abbiano diritto ad un lavoro e ad uno stipendio, che chi ha un’occupazione non debba sentirsi in debito con il proprio datore di lavoro perché lo stipendio lo riceve (se lo riceve) perché ha svolto una prestazione di cui quest’ultimo si è avvantaggiato. Una cittadina che, in questi casi, vorrebbe fossero banditi commenti e pensieri come “Pensa a chi sta peggio di te”, “Tu almeno un lavoro l’hai avuto sino ad oggi”, “Tu avevi un buono stipendio quindi qualcosa da parte l’avrai messa”, “Tu sei solo, pensa a chi ha familiari a carico”, “Di che ti lamenti? Ti pagavano bene anche senza spaccarti la schiena”, “Siete pochi: pensate alle aziende con tanti dipendenti”….

Probabilmente non ho detto nulla di nuovo, forse ho fatto solo affermazioni scontate e, di certo, non ho dato suggerimenti concreti, ma non potevo più tacere perché, oltre l’indignazione, sento crescere un timore: che l’alluvione che ha colpito duramente l’Isola diventi la scusa – niente di più facile – per mettere a tacere questa protesta, per ricattare moralmente questi lavoratori e chieder loro altra pazienza perché “ora ci sono altre priorità”.

Marcella Onnis

 

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