I “DILEMMI” DI CHI NON VUOL FARE IL MEDICO E L’INFERMIERE

Operatori sanitari qualificati un po’ “allo sbando”, tra delusioni e incertezze che il SSN non riesce più a controllare, con il risultato di una loro minor presenza nel pubblico e di pazienti in parte abbandonati a sé stessi… come quelli che hanno rinunciato a farsi curare per indisponibilità economica

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico e biografo)

È indubbio che stiamo vivendo un periodo in il cui il SSN non è più in grado di supportare né medici e né infermieri, e di conseguenza nemmeno i pazienti… talvolta anche se bisognosi di prestazioni urgenti. Una realtà che si scontra con l’art. 32 della Costituzione e, più estensivamente con i diritti universali dell’Uomo. Questo evento che si trascina ormai da oltre un ventennio, ha visto passare in rassegna diversi politici (più o meno) volenterosi di agire appartenenti a “varie” forme di Governo ma nessuno di essi, anche se qualcuno era medico di formazione, è stato in grado di ottenere una maggioranza compatta e soprattutto competente, men che meno risolutiva… Più recentemente è diventato “comodo” trincerarsi dietro l’evento pandemia da Covid-19, la cui gestione (detto per inciso) ha avuto fasi alterne ed estremamente disomogenee e, le conseguenze, sono state a dir poco disastrose. Più o meno contemporaneamente un altro fenomeno ha contribuito a peggiorare la situazione coinvolgendo i sanitari che sono diventati vittime di aggressione da parte dell’utenza, aspetto questo che nonostante i recenti provvedimenti gli episodi non mancano. Ma intanto che succede? Si assiste a molte spontanee dimissioni di medici e infermieri con orientamenti per prospettive diverse, oltre ai pensionamenti o decessi per varie cause, ma anche malattie (non dimentichiamo che anche i medici e gli infermieri si ammalano), in parte per effetto del burnout, disturbo questo del quale solitamente la cosiddetta utenza non si avvede, e magari non sa nemmeno cosa sia. Ma intanto bisogna fare i conti anche con le pesanti conseguenze che stanno patendo molti pazienti (4,5 milioni) che hanno rinunciato a curarsi, altri hanno spremuto i propri risparmi per farsi curare dalla sanità privata, altri ancora continuano a restare “fedeli” alle liste di attesa. Ora io mi chiedo: chi risponde, e come, nei casi in cui pazienti si sono aggravati (o sono deceduti) per non essere stati curati in tempo utile, nonostante le normative vigenti prevedono l’obbligo di soddisfare soprattutto le richieste urgenti? A questo riguardo ricordo che la nuova Legge in vigore dall’1/8 (numero 107/24, art. 3 comma 9) ribadisce che è “fatto divieto alle Aziende sanitarie e ospedaliere di sospendere e chiudere le attività di prenotazione”; contestualmente si può chiedere il ripristino dell’attività di prenotazione o di effettuare la prestazione in regime di libera professione a carico del Servizio sanitario, previo pagamento ticket se non si è esenti. In previsione o sospetto della patologia il paziente deve tornare dal medico curante per ottenere un’altra impegnativa con il codice di priorità “Urgente”, in merito alla quale si può ottenere il rispetto di tale tempistica. Ma tornando alla situazione pratica che riguarda medici e infermiere, a me sembra che non si sia trovata la soluzione volta a suscitare maggior interesse (e garanzia) per chi vorrebbe diventare medico o infermiere. Io credo che non si tratti soltanto  di riconoscere loro uno stipendio più adeguato e in linea con quello dei colleghi di altri Paesi, quindi migliorando anche le restanti condizioni contrattuali, compresa una migliore tutela, ma di trasmettere alle future generazioni (e quelle in corso) la nobiltà di queste professioni, un sentimento che purtroppo si è andato depauperando anno dopo anno; un impoverimento non solo intimo e spirituale ma anche culturale a cominciare dal non insegnare più Storia della Medicina (tranne forse qualche eccezione) perché, come biografo, sono convinto che far “riaffiorare” la passione e i sacrifici per queste professioni da parte dei loro antenati, è quanto meno significativo per dimostrare che il loro operato ha contribuito notevolmente al progresso della Medicina e/o Chirurgia guarendo e salvando molte vite umane: l’esperienza della pandemia per Covid 19 è stata l’ennesima dimostrazione. Io credo che i “nobili professionisti” di un tempo non fossero particolarmente attaccati al denaro, pur considerando le loro minori esigenze rispetto ad oggi, e in quasi totale assenza di una legislazione in merito al loro esercizio. Ma tale impoverimento, va anche detto, è dato dal fatto che in questi decenni le relazioni umane si sono modificate sensibilmente, tanto che il rapporto medico-paziente e paziente-medico, ad esempio, è andato attenuandosi a cominciare dalla povertà dialettica fronte di una sempre maggior esigenza fisica e psicologica dei pazienti. È pur vero che a quei tempi, e sino a qualche decennio fa esisteva il cosiddetto medico paternalista, ma è altrettanto vero che anche se oggi il rapporto “fra le parti” è considerato alla pari, si va estendendo una sorta di “distanziamento” pur nell’osservanza del proprio dovere.

Alcune “particolari” considerazioni

Tra le molteplici ed ulteriori considerazioni sulla figura del medico va detto che è una realtà di prima grandezza nella società di ogni tempo, e autentico protagonista, “l’uomo di tutti”, al servizio di tutti, di cui nessuno può fare a meno: “ricercato” e atteso con ansioso interesse ma, paradossalmente, la sua entità filosofica non è ancora ben conosciuta e apprezzata o comunque a sufficienza da tutti, dai politici in primis. Proprio perché è parte integrante delle vicende umane (fisiche e psicologiche), in realtà a mio avviso è ancora uno “sconosciuto” in ragione del fatto che ancora stenta ad apparire nella sua autentica posizione nella società. A fronte della crisi del SSN che lo coinvolge in parte con risvolti negativi, è sempre più soggetto ad attenersi a compiti di informatizzazione aggravata da procedure burocratiche che, peraltro, ricadono anche sui pazienti. Ma va detto che l’evoluzione del progresso della Scienza, e delle “esigenze” politico-gestionali: spending review e obiettivi da raggiungere, etc., pur ruotando attorno  alla figura del medico, nulla deve mutare della sua natura istituzionale: il medico resta e deve restare quello che è in un mondo in continua trasformazione, ma con l’accortezza di rafforzarne le motivazioni e la tutela… Ma la filosofia del medico non può trascendere, proprio per aver fatto tale scelta (o in procinto di farla), ciò con spirito cristiano e a tal riguardo Giuseppe Moscati (Benevento 1880-Napoli 1927), medico fisiologo, e oggi Beato, scriveva: «Beati noi medici, tanto spesso incapaci di allontanare una malattia (ma oggi le cose vanno sensibilmente meglio, ndr), beati noi se ricordiamo che, oltre i corpi abbiamo di fronte delle anime immortali, per le quali ci urge il precetto evangelico di amarle come noi stessi: lì è la soddisfazione non nel sentirci proclamare risanatori di un male fisico, quando per lo più la coscienza ci ammonisce… che il male guarì da sé». Per concludere, quei “dualismi” imperanti: medico sì-medico no, medico per la Sanità pubblica-medico per la Sanità privata, è un duplice dilemma che non spetta a chi scrive entrare nel merito, ma rimane il fatto che al di là della libera scelta e del necessario riconoscimento economico, ambedue non devono (o non dovrebbero) farsi “condizionare” quando si tratta di curare un paziente, che nulla può di fronte alle sue difficoltà politico-gestionali e/o organizzative con il rischio di lasciare non intenzionalmente il paziente alla deriva… In buona sostanza, quando parliamo di medico ideale sappiamo bene di fissare spesso un traguardo irraggiungibile, ma il tendervi è l’unico modo consentito all’Uomo di raggiungerlo, almeno in parte. Ed è quindi doveroso che i pubblici amministratori si avvedano di ciò, non incentrando i loro orientamenti e le loro decisioni senza considerare che si tratta di trasmettere agli attuali operatori e alle future generazioni di medici che, quella del medico, è una ancestrale nobile professione (ancor prima della sua concretezza pratica) senza o con pochi eguali. E poiché il medico è il sacerdote della vita e non della morte, il suo apporto alla difesa della  vita non è indiretto ma si pone come finalità primaria nell’esercizio della medicina.

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