Giovanna Mulas, donna per le donne

di Marcella Onnis

Dare un perché alla violenza significa, in un modo o nell’altro, giustificarla.”

La violenza si nutre di omertà. Denunciamo la violenza oggi, sempre.

Parole che scuotono e incoraggiano, quelle di Giovanna Mulas. Parole che esortano a ribellarsi ai soprusi e a chi cerca di giustificarli.

Una testimone perfetta per festeggiare la ricorrenza dell’8 marzo: lei che ha superato il proprio dramma, uscendone fortificata, e che in Lughe de chelu e jenna de bentu (che tradotto significa “Luce del cielo e porta del vento”) lo ha raccontato al mondo, in forma romanzata. Un racconto che è una mano tesa verso chi ha vissuto o sta vivendo la sua stessa esperienza (Un angelo è sempre un angelo […] Anche con le ali spezzate),  ma che è anche un’esortazione per tutti, soprattutto per le donne, a non lasciarsi condizionare da pregiudizi e convenzioni, a vivere assecondando la propria indole e andando coraggiosamente incontro al proprio destino.

Un messaggio, quest’ultimo, che trova la sua più bella ed ampia espressione nella lettera che la protagonista, Giona Demura, scrive alla figlia mentre ancora sta crescendo nel suo ventre e di cui vi riporto un estratto:

Non sarà facile la nostra vita perché si ha a che fare col resto del mondo; non siamo solo noi, il mondo. E il mondo non è clemente. Non sempre per cattiveria; sono la morale e i falsi pregiudizi a dare un nome ad un fiore senza conoscerne il profumo. Non ti prometto nulla su ciò che potrò e riuscirò a darti. Non riuscirò ad impedirti di cadere, piangere per chi ti farà del male. Ma ciò che vorrò darti, è sicuro, è la forza di rialzarti e camminare anche e soprattutto quando la strada che troverai sarà impervia. […] voglio regalarti la forza, la tenacia di una donna cresciuta senza chiedere aiuto a nessuno se non alla propria volontà e al talento, quel piccolo dono che tutti hanno ma molti, purtroppo, non riescono a riconoscere. E non importa se quel talento riguarda scrivere o disegnare, cantare, far volare aquiloni o raccogliere carciofi. Sappi che il peggior raccoglitore di carciofi del mondo sarà sempre migliore nel suo campo di una ottima scrittrice che raccoglie carciofi. Saprò darti l’orgoglio di una madre che è partita dal mare ed è arrivata, seppure con immane fatica, a scalare la sua montagna.
E ti dirò che non importa se della montagna tu, mio figlio, non vedrai mai la cima. Vola
comunque, se non da aquila vola da passero, senza paura di sognare e volare. Vola comunque e se anche arriverai soltanto alle radici di quel monte perché l’avrai voluto tu, avrai vinto. Ecco, forse ti regalerò se lo vorrai l’orgoglio di chi plasma creature di carta che, qualcuno dice, rimarranno per sempre, pure quando la tua e la loro madre non ci sarà più.
Ho pensato tante volte a questo, a ciò che mi ha spinta a scrivere anche quando nulla si profilava all’orizzonte, né gloria né soldi. L’ho fatto per me certo, per lasciare al pari di ogni artista un’impronta, grano di sabbia sulla rena. Non è presunzione, non la chiamerai ambizione ma piuttosto la voglia di dare ciò che hai dentro; un po’ come quei passeri che, ogni mattina, ti sveglieranno becchettando sul davanzale della finestra. E cantano pure se la sera prima non hai sparso briciole per loro.
Cantano perché amano cantare, cantano il e al Creato, alla gente, al ragazzino che magari, più tardi, li prenderà di mira con la fionda. Cantano a tutto ciò che sta loro intorno e tutto attorno, in quel momento, è deliziato da quel canto e seppure oltre ai passeri esistono pettirossi, merli, tordi o aquile o gli splendidi canarini, ebbene, guai se un giorno, alla Natura, mancasse il canto dei passeri. Quando sarà il momento ti farò nascere in questo luogo, vicino al mare, come è successo a tua madre e la madre di tua madre e questo battesimo, lo so, ti sarà d’augurio nel tuo essere donna.

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