Giornata internazionale della Polio

salk e sabin

Dr. Albert Sabin, left, of the Children's Hospital Research Foundation of Cincinnati, and Dr. Jonas Salk, of the University of Pittsburgh, chat during a break in a hearing by a House Commerce Subcommittee on polio vaccine in Washington, on March 17, 1961. Dr. Sabin testified in support of his oral vaccine, which, he said, could be produced at a cost of one to two cents a dose. Dr. Salk discussed the polio vaccine which bears his name and which has been in use for the last several years. The Salk vaccine is used by injection. (AP Photo/Charles Gorry)

di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)

Il vaccino non è un’opinione di Roberto BurioniQuello dei vaccini non è e non vorrebbe essere un tema controverso, tanto meno un argomento ridondante ad oltranza, ma più semplicemente un costante contributo alla corretta informazione affinché un giorno non si possa dire: «Io non sapevo». Se come titola il libro del medico e ricercatore in Immunologia Roberto Burioni “Il vaccino non è un’opinione” (Ed. Mondadori, pagg. 159), un concreto contributo sulle vaccinazioni spiegate a chi proprio non le vuole capire, lo deve essere però la discussione aperta e l’approccio della comunità scientifica per colmare un vuoto di una informazione sempre più affidabile e comprensibile a tutti, magari con degli esempi e/o riferimenti storici: la storia è saggezza perché sapere e non sapere fa sempre la differenza. Ma veniamo all’attualità. Il 24 ottobre ricorre la Giornata internazionale contro la poliomielite, un’attenzione voluta dalla Global Polio Eradication Initiative (GPEI), che comprende Rotary International, Unicef, Centri statunitensi per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC), Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Fondazione Bill & Melinda Gates e governi di tutto il mondo. Sino ad oggi otre 2,5 miliardi di bambini sono stati immunizzati in 122 Paesi, una imponente opera vaccinale che ha permesso di prevenire 5 milioni di paralisi poliomielitica e 250 mila decessi provocati dal virus. Ciò nonostante lo spettro del “the clipper” (lo “storpiatore” come ironicamente gli americani definivano il virus della polio) sta riapparendo anche in Europa (dichiarata “polio free” nel 2002) per le scarse coperture vaccinali in molti Paesi, come è stato affermato dal Commissario UE alla Salute e alla Sicurezza Alimentare Vytenis Andriukaitis, nella recente riunione sui vaccini a Bruxelles. Nel 2010 il virus poliomielitico ha colpito 14 persone in Russia, e nel 2015 in Ucraina l’infezione ha causato la paralisi di 2 bambini di 4 anni e di 10 mesi; mentre l’ultimo caso verificatosi in America risale al 1979, e in Italia nel 1982. Dal 2012 alcuni focolai stanno interessando anche Afghanistan, Nigeria e Pakistan: nel 2012 i casi sono stati, rispettivamente 37, 121, 58 e nel 2013, altrettanto rispettivamente, 14, 53, 93.

UNA MALATTIA INFETTIVA… ANCORA DA TEMERE

polioAlla luce di questi dati, credo che valga la pena ricordare, sia pur sinteticamente, che cos’è la poliomielite. Per lungo tempo è stata nota come paralisi infantile perché colpiva (e colpisce) soprattutto i bambini da 2 mesi a 6 anni. È infettiva, acuta e contagiosa che nelle forme più gravi colpisce una porzione del midollo spinale, causando all’insorgenza paralisi flaccida a carico di vari gruppi muscolari degli arti, del tronco e della gabbia toracica; è causata da un virus (nella foto un ingrandimento al microscopio), ossia un piccolissimo microrganismo la cui esistenza fu dimostrata per la prima volta nel 1908, in occasione di una epidemia scoppiata a Vienna, dal biologo e fisiologo austriaco Karl Landsteiner (1868-1943), e dal chirurgo-pediatra austriaco Erwin Popper (1879-1955). La malattia, dopo alcuni giorni di incubazione, può manifestarsi in tre forme: abortiva, in cui il paziente presenta sintomi vaghi quali cefalea, nausea, vomito, angina, etc. e che guarisce nel giro di qualche giorno; non paralitica, in cui oltre ai sintomi già descritti, il paziente presenta dolori e rigidità della nuca e del dorso; paralitica, il cui quadro clinico è dominato dalla paralisi flaccida. Un tempo, fino al 1940, si pensava che il virus penetrasse attraverso la mucosa del rinofaringe; in seguito, per il fatto che il virus è presente più spesso nell’intestino e si elimina con le feci, si ritenne che la porta d’ingresso dovesse essere l’apparato gastrointestinale. Nei Paesi sottosviluppati (sia ieri che oggi), nei quali i bambini vengono lasciati spesso in promiscuità sin dalla più tenera infanzia, la poliomielite assume carattere endemico, tanto che la quasi totalità della popolazione infantile al di sotto dei cinque anni risulta infetta e con immunità permanente. Nel corso delle epidemie che si sono verificate per molti decenni in molti Paesi soprattutto dell’America, dell’Europa e dell’Africa, la poliomielite è sempre stata prevalentemente a carattere stagionale, tant’è che l’acme della curva della morbilità coincideva con il periodo più caldo dell’annata. Accadeva talvolta che l’estate fosse precoce o che vi fosse un’estate tardiva supplementare, in quei casi la morbilità seguiva la curva della temperatura ambiente. Inoltre, è stato rilevato il fatto che, durante una epidemia, alcuni si ammalavano ed altri no, faceva pensare che avessero anche importanza alcune cause predisponenti in quanto era difficile stabilire, anche durante un’epidemia grave, vedere più di un ammalato in una stessa famiglia, malgrado i continui contatti.

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Purtroppo, oggi, non si può ancora parlare di polio free a fronte di questa manifestazione epidemica di ritorno e, per non veder vanificati gli encomiabili contributi degli scienziati Joans Salk (1914-1995) e Albert Sabin (1906-1993) – (insieme nella foto) che, con la realizzazione del rispettivi vaccini, hanno contribuito a rendere immuni dalla poliomielite quegli oltre 2,5 miliardi di bambini, è inevitabile ricorrere ai predisposti programmi vaccinali contribuendo, da parte nostra, a diffondere l’informazione della cultura attraverso la collaborazione con le figure professionali preposte, mettendo al bando ogni pregiudizio e guardando in faccia la realtà. In caso contrario, è il caso di ribadire quanto sosteneva lo scrittore inglese Aldous Huxley (1894-1963): «Il fatto che gli uomini non imparino molto dalla storia, è la lezione più importante che la storia ci insegna».

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