Genova 17 marzo 2012, in 100 mila in corteo per le vittime della mafia

In Italia non esiste un cimitero per le vittime di mafia: se ci fosse conterebbe più di 900 lapidi tra uomini, donne e bambini. Tutte persone innocenti che sono state uccise per sbaglio, per vendetta, per ritorsione; chi perché per caso ha visto qualcosa di troppo, chi si è opposto alla mafia, chi ha fatto una scelta di vita e ha deciso di combatterla stando dalla parte della giustizia o chi è stato sciolto nell’acido per essere nato nella famiglia sbagliata.
L’associazione Libera li ha ricordati sabato 17 marzo a Genova, come fa ogni anno nel primo giorno di primavera, nella Giornata in memoria delle vittime di tutte le mafie. Un corteo enorme, lungo centomila persone, che ha invaso la città di bandiere: è il popolo che ogni anno, in una città diversa d’Italia, promette di esserci per non dimenticare quelle 900 vittime innocenti, quelle bare che non dovevano esserci.
Ci sono tante chitarre, tanti giovani, tanti bambini, e La Canzone del Maggio di De Andrè pare vada per la maggiore dalla testa fino alla coda del corteo: “anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti”, cantano sia i genitori che i loro figli.
Un’infinità di foto su striscioni, magliette, cartelloni e cartoline attraversano il corteo ed ognuna ha una storia diversa: quella di Domenico Gabriele, conosciuto da tutti come Dodò, è finita ad 11 anni. Dodò è stato ucciso mentre giocava a calcio in un campetto a Margherita, in provincia di Crotone. L’agguato mafioso nel quale è rimasto coinvolto aveva come obiettivo Gabriele Marrazzo, 35 anni, che morì sul colpo; Domenico venne colpito da un proiettile alla testa e se ne andò il 20 settembre dopo tre mesi di coma.
Vincenzo Agostino porta in mano la foto di suo figlio accanto ad un tricolore: Nino Agostino venne assassinato il 5 agosto del 1989 a Villagrazia di Carini, in provincia di Palermo insieme alla moglie Ida Castellucci, incinta di 5 mesi. E da quel giorno Vincenzo non si è più tagliato la barba: non lo farà finchè non verrà fatta giustizia sull’assassinio di suo figlio.
Dario Scherillo lo hanno ammazzato a 26 anni il 6 dicembre del 2004 perché nel mezzo della faida tra il clan Di Lauro e l’ala scissionista, a Casavatore, in provincia di Napoli, lo hanno scambiato per un’altra persona.
Sorride Attilio Manca nella foto che sfila nel corteo: era un medico urologo, fu trovato morto nella sua casa di Viterbo il 12 febbraio del 2004. Al momento del ritrovamento, era riverso sul letto con ecchimosi su tutto il corpo, il setto nasale deviato e nel sangue grosse quantità di eroina, alcol e sedativi iniettati nel braccio sinistro. Il caso venne archiviato prima come overdose e poi come suicidio ma i familiari, i colleghi e gli amici di Attilio sostengono con fermezza che il medico sia stato “suicidato”: l’uomo era mancino e sarebbe stato impossibile per lui iniettarsi da solo stupefacenti nelle vene. Stupefacenti dei quali, tra l’altro, non faceva uso.
I familiari di Attilio Manca si battono da anni per la verità: sostengono infatti che il medico, probabilmente senza saperlo, avrebbe operato e curato Bernando Provenzano nel suo viaggio in latitanza a Marsiglia nel 2003, quando venne ricoverato sotto il falso nome di Gaspare Troia per un tumore alla prostata. E che sia stato fatto poi sparire.
Di Giuseppina Savoca rimane solo una foto in bianco e nero: oggi avrebbe 64 anni; si è spenta quando ne aveva 11, il 19 settembre 1959 in via Messina Marine a Palermo, colpita da un proiettile vagante durante una sparatoria tra mafiosi.
Annalisa Durante ha una fascia tra i capelli e il volto abbronzato e sorridente nella foto che la ritrae: aveva 14 anni quando venne uccisa da un proiettile esploso in una sparatoria tra camorristi nel quartiere Forcella a Napoli.
Un gruppo di ragazzi calabresi indossa una maglietta con la foto del magistrato Antonino Scopelliti: aveva 56 anni quando venne ucciso il 9 agosto del 1991 vicino a Campo Calabro, in provincia di Reggio Calabria, mentre tornava in macchina da una giornata di mare. Stava lavorando al rigetto dei ricorsi del maxiprocesso a Cosa Nostra, e venne ucciso dalla mafia calabrese su richiesta di quella siciliana.
Ognuno di questi 900 nomi viene letto dal palco allestito in Piazza Caricamento: e ogni nome è una storia ancora da raccontare.
Quando la manifestazione finisce e il corteo si disperde per le vie della città, c’è ancora un gruppo di ragazzi veneti che siede a terra con la chitarra, immersi nell’aria salmastra del porto; cantano: “provate pure a credervi assolti, siete lo stesso coinvolti”
Grazia D’Onofrio
brava, brava e ancora brava!