Gekrisi? LorisDalì ci canta su

loris dalì

di Marcella Onnis

Esordisce con “Scimpanzé” e dopo un anno torna con “Gekrisi”: certamente LorisDalì, all’anagrafe Loris D’ Alimonte, non è un tipo banale. Non è, infatti, neppure un tradizionale cantautore ma un cantAttore folk… che il folk, peraltro, lo va a cercare anche lontano da casa, spostandosi dal suo Piemonte alle regioni del Centro-Sud Italia, come appare evidente soprattutto in questo suo nuovo album. Il disco è composto da 12 brani che – con più generi e strumenti musicali, ma anche con più voci e arti narrative – raccontano un’umanità ammaccata ma non arresa, che ci offre tanto su cui riflettere ma, grazie a una salvifica ironia, anche su cui sorridere.

Senza scordare il prezioso apporto dei musicisti che lo accompagnano nel suo percorso musicale (Giorgio Barberis, Marcello Nigra, Paolo Verlucca, Claudio Dainese e Andrea Baileni), abbiamo chiesto a LorisDalì di parlarci un po’ di più di sé e di “Gekrisi”.

 

l'album gekrisi di LorisDalìIl nome dell’album m’è piaciuto subito; la copertina a cura di Denise Roncolato è davvero carina e azzeccata, persino per una che – come me – ha la fobia dei gechi; sin dalle prime tracce ho trovato questo disco una figata…: per iniziare vuoi dire tu qualcosa di carino sul mio conto? Scherzi a parte, cominciamo da “Un tango qualunque” e da quel “E questo è un tango qualunque che ho scritto solo per te. / Non mi sovviene la rima e allora: perepeppeppeppèè…”: tu ci scherzi, ma c’è chi ha fatto soldi a palate con rime del genere, spacciandole per sensate…

«Ciao Marcella. Innanzitutto voglio ringraziarti per l’apprezzamento nei confronti del mio nuovo disco. Dopo aver passato mesi ad immaginare e creare un nuovo progetto, si attende con trepidazione il giudizio del pubblico e degli addetti ai lavori e quando, come nel tuo caso, giungono complimenti sinceri beh, è una gran bella soddisfazione. Grazie anche da parte di Denise, che ha creato una linea semplice ed azzeccata per l’artwork, così come la desideravo. Parlando di “Un tango qualunque”, che peraltro è tra le mie preferite del disco per testo, arrangiamento e scrittura, quella parte è venuta fuori quasi per caso. Stavo registrando la traccia base della voce e non avevo ancora scritto il finale della strofa e, improvvisando, è arrivata questa frase. Sul momento ci abbiamo riso un bel po’, ma quasi subito mi sono reso conto che era la frase giusta e così l’ho tenuta.»

Sempre a proposito di soldi, in “Gekrisi” canti “faccio il cantattore in giro per l’Italia e bevo vino per qualche euro di cachet”, dunque, volevo chiederti se oggi si può vivere di sola arte o se, nel caso un artista desideri qualcosa di più che tirare a campare (penso anche a “Jack Risi”), occorre trovarsi un secondo lavoro?

loris dalì«È una domanda molto centrata. Credo che l’errore più grande che si possa fare, soprattutto nel mondo musicale di oggi, è di porsi obiettivi irraggiungibili, pensando che avere successo voglia dire diventare come Ligabue o Vasco Rossi. Oppure che con un solo disco si possa fare il botto. Tutto è possibile, ma bisogna essere realisti per evitare di rimanere delusi. Il mio obiettivo è quello di ottenere, con due/tre dischi e tanti concerti in tutta Italia, la fiducia di un pubblico di nicchia che mi segua e che mi consigli ad amici e parenti. È un obiettivo raggiungibile e sto lavorando con tutte le mie forze per ottenerlo. Oggi esistono in Italia molti artisti che campano molto bene con la musica senza suonare negli stadi, senza andare in tv e rimanendo sconosciuti al pubblico medio, ma amati e riconosciuti nella propria nicchia. E, se vogliamo dirla tutta, c’è molta più arte in una canzone di Dente, di Brunori, di Motta o di Calcutta che negli ultimi dischi di altri artisti molto più “famosi”.»

Restando in tema di lavoro, mi vengono in mente i versi “Posso lasciare il mio curriculum? Stia certo la contatteremo noi!” di “Curriculum”. Stando alla mia esperienza personale, però, oggigiorno anche il “Le faremo sapere”, come il mutuo, da incubo è diventato sogno…

«Ho scritto “Curriculum” in un periodo in cui mi sono dovuto riapprocciare, per alcuni mesi, al mondo del lavoro tra agenzie interinali, call center, contratti a tempo di una settimana e precariati vari. Ho scoperto un mondo nuovo, a suo modo affascinante, con tutte le varie umanità che lo compongono. Il sogno del lavoro a tempo indeterminato è sparito, ma io sono abituato a vedere il bicchiere mezzo pieno. Fino a dieci anni fa la maggior parte delle persone e delle famiglie, vacanze a parte, passavano tutta la vita nello stesso luogo, facevano per 40 anni lo stesso lavoro, vivevano la loro tranquilla quotidianità in sicurezza. Oggi invece è necessario reinventarsi, osare, rischiare e questo non vale solo per i giovani, ma anche per i meno giovani e le famiglie. E se la casa di proprietà, il posto fisso, un’attività avviata, tutto quello che le generazioni precedenti hanno perseguito oggi fossero una catena, oltre che un miraggio? Lo dico con cognizione di causa perché, dopo venti anni di attività, mi sono ritrovato con il culo per terra e proprio nel momento in cui ho perso ogni certezza ho intrapreso la strada che in fondo ho sempre desiderato, la musica. Certo, con tutte le difficoltà, i sacrifici, i patimenti ed i “le faremo sapere” che, purtroppo, fanno parte del gioco, perché nulla di valore si conquista senza sacrificio

La voce di tuo padre in “Altri tempi” canta “Ma in fondo chi sono io per giudicare questo mondo che come un bambino non smette mai di fare il suo girotondo?” e poi aggiunge “Il mondo non è né migliore né peggiore, secondo me è solo differente”: come reagire allora? Assecondare il girotondo, consapevoli che “si può esser felici anche di inverno e malgrado i guai” (da “Un tango qualunque”), o provare a cambiare il ritmo di questo girotondo del mondo?

«Il libro del destino è già scritto oppure abbiamo la possibilità di modificarlo con le nostre azioni? Questa è una domanda che l’essere umano si pone da sempre e la risposta non esiste o, per lo meno, non ci è concesso conoscerla in questa vita. Io credo che il mondo davvero faccia il suo girotondo senza preoccuparsi minimamente di noi, ma allo stesso tempo, nella nostra piccolezza, siamo una parte fondamentale del tutto. La mia visione è che è inutile affannarsi per cambiare il flusso delle cose, ma si può cambiare il destino solo facendo ciò per cui siamo nati e, se riusciamo a capirlo ed a provarci, abbiamo la possibilità di cambiare le cose, ma senza sforzo.»

In “40 anni” affermi che “sognare a 40 anni fa un po’ troppo rumore”: visto che gli -anta si avvicinano anche per me, dici che dovrei cominciare a perdere quest’abitudine?

«No, mai! Sognare a 40 anni fa più rumore perché ci si scontra con il comune pensiero che sia lecito sognare solo a 16 anni. Ma voglio dirti che, seppur a metà della mia vita, credo che la parte migliore debba ancora venire. A 20 anni non avrei avuto il vissuto necessario per scrivere queste canzoni, forse sarei andato ad un talent e mi starei scervellando per trovare la maniera di diventare una rockstar. Invece con i miei 40 anni ho scritto queste canzoni, non penso proprio di andare ad un talent e credo che non diventerò una rockstar. Ma sogno il mio spazio di artista indipendente di nicchia, anche se a sognare faccio rumore.»


“Devi essere un pazzo per scrivere un pezzo che parla d’amor senza esser Mogol” canti nel primo singolo estratto dall’album, l’ironica e accattivante “Una canzone d’amor” (di cui riproponiamo il video perché altrettanto spassoso), ma tu un’altra canzone d’amore, pure molto bella, l’avevi già scritta: “Il principe di piazza Castello”. Come la mettiamo?

«L’amore è un argomento che inevitabilmente fa capolino nella scrittura di un cantautore, ma preferisco osservarlo da angolazioni non consuete. Se ci pensi, “Un tango qualunque” è una storia d’amore, “Altri tempi” è l’amore per il mondo di una persona di una certa età, “Migrante” è l’amore lontano. Ma non sono “canzoni d’amor in rima con cuor e il profumo del mar e il sapore del sal” come dico nel brano. “Il Principe di Piazza Castello”, che ti ringrazio di aver citato perché è una canzone che rappresenta molto per me, è l’amore di un uomo per la libertà

Torniamo seri e parliamo un attimo di “Migrante”: una melodia malinconica e un testo struggente che spiazzano un po’ dopo tanta folle e ritmata ironia, seppur per lo più amara. Inizi ad ascoltare il brano e pensi che parli dei migranti che arrivano qui dall’Africa e dal Medio Oriente, invece…

«Di questa canzone mi piacerebbe raccontarne la genesi. Una brava scrittrice, Mariagrazia Nemour, ha utilizzato come spunto alcune canzoni di “Scimpanzè” per scrivere dei racconti, pubblicati su alcune riviste. È stato come se io, scrivendo la canzone, avessi fotografato un dettaglio di una scena molto più grande, rivelatasi solo con il racconto, come un’immagine allargata. Leggerli mi ha stupito, quindi le ho chiesto di scegliere uno dei suoi scritti e di inviarmelo. Mi ha inviato il racconto di un uomo che lascia la sua terra in cerca di fortuna, che si intitola “Tic tac” perché incentrato su un orologio del protagonista. Comunque, è venuto fuori questo pezzo purtroppo molto attuale. Il dibattito sui migranti riempie le bocche dei politici ed i palinsesti della tv. La mia canzone non vuole rappresentare un’opinione oppure una posizione politica, anche perché non credo che la musica e l’arte in generale debbano fare politica prendendo posizione. Credo invece sia un dovere dell’arte indurre le persone a riflettere, a cercare la verità, ma la verità non è una sola, ognuno deve essere spinto a cercare la sua. Spero di esserci riuscito con “Migrante”. Approfitto per citare chi ha suonato la chitarra di questo pezzo, in una collaborazione a distanza Torino-Lanciano. Si tratta di Andrea Castelfranato, un chitarrista molto talentuoso che invito i lettori a cercare sul web.»

I critici musicali ti hanno già accostato ad altri cantautori, riconoscendoti comunque – e giustamente – un’impronta personale: tu a chi ti senti più vicino, chi più ti ha influenzato? E quale accostamento, invece, vorresti non fosse mai fatto?

caricatura di lorisdalì«Inevitabilmente le influenze sono tutte quelle dell’enorme patrimonio di cantautori che abbiamo in Italia. Sono davvero tanti, dai più recenti a quelli storici. Spesso mi paragonano ad alcuni artisti che sono dei miti e quando succede non posso far altro che esserne orgoglioso, anche se allo stesso tempo sono molto felice del fatto che si riconosca una certa personalità nella mia musica. In alcune recensioni è stato scomodato De André e questo è un paragone che mi imbarazza perché per me, come autore, De André è Dio e sentirmi paragonato a lui mi suona un po’ come una bestemmia, per quanto mi faccia piacere.»

In questo nuovo album è nitida l’influenza delle sonorità meridionali: perché ge più krisi che al Nord? No, seriamente, il tuo tour toccherà, dunque, anche Centro-Sud e Isole, (ri)portando questi brani “a casa”?

«Le canzoni di “Gekrisi” le ho scritte prevalentemente al centro sud e volevo sin dall’inizio che il disco suonasse caldo e intenso. Spero di esserci riuscito. Per quanto riguarda il tour, con la mia agenzia stiamo lavorando nel delinearne le tappe con l’intento di coprire sia il nord che il sud e, perché no, le isole. Quindi, se vi capita di leggere o sentire che LorisDalì suonerà nella vostra città, fate un giro e venitemi a salutare: una delle cose che adoro fare è bere un bicchiere di vino e fare quattro chiacchiere con chi mi viene a sentire in concerto. Perché non sono una “rockstar” e il mio pubblico di nicchia lo voglio abbracciare e tenermelo stretto

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