FILOSOFANDO CON KIERKEGAARD

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)


L’interesse e lo sviluppo della filosofia del sommo danese Soeren Kierkegaard (1813-1855), ci inducono sempre all’approfondimento della filosofia quale concezione di vita non escludendo le diatribe che si accumulano nel nostro mondo interiore, oggi più che mai. Il paragrafo dell’angoscia del bene (argomento che per certi versi continua a tormentare l’umanità) è uno dei principali trattati dal filosofo, per il quale non implica particolari disquisizioni ma più semplicemente ne accentua le definizioni logiche, includendo riferimenti teologici e pratici dell’uomo quale essenza di superiorità. È risaputo, infatti, che tutti i teologi si perdono volentieri nello spiegare questo tipo di angoscia che va dalla bestialità quale potere di acquisto sull’uomo agli esempi dello sguardo, del gesto di follia, etc.; tuttavia resta da cercare il punto di essenza anche se quanto affermano può rientrare nel vero. Oltre alle considerazioni che possono derivare da questi insigni studiosi, il concetto si allarga ad altre condizioni di sentimento umano. Poiché l’arte del desiderare è considerata una eccelsa meschinità, la compassione, comunemente intesa, rientra tra le virtù più indegne. Tuttavia, solo nel caso in cui l’individuo ha compassione se si mette a confronto e si identifica totalmente in chi soffre, tale atteggiamento acquista un senso più reale e significativo, e ciò è dovuto al fatto che egli è sottoposto ad una sofferenza a dir poco eguale. Ma la compassione umana dovrebbe assumersi il pesante onere della sofferenza, poiché solo così sarà possibile stabilire quanto sia attribuibile al fato od alla colpa. L’argomento si estende nella esposizione dei concetti del bene in rapporto al male e qui, il filosofo approfondisce quanto vuole il concetto di demoniaco introducendo la condizione dell’angoscia con il rapporto tra la libertà e la taciturnità. Quando cita, non a caso, che comunemente intendiamo chiuso e taciturno colui che non vuole dire nemmeno una parola, fa capire che se la libertà è strettamente a contatto con il silenzio, è una condizione che crea l’angoscia, ossia il parlare è il salva vita poichè il dialogo e l’esigenza di esso costituiscono l’apertura alla comunicatività. E va notato che ogni giorno la vita offre esempi illimitati che spiegano con la praticità questo stato interiore sofferto dall’uomo.

Molto significativo è l’esempio del criminale cocciuto che non vuole confessare la sua malefatta poiché rifiuta di comunicare con il bene, dovendo subire la sofferenza della pena. In casi come questi si ricorre in svariati modi, ma Kierkegaard sostiene che il metodo più efficace, anche se poco adottato, consiste nella forza dello sguardo fisso e del silenzio prolungato da parte dell’interrogando. Questo espediente, se ben applicato dall’inquisitore, esercita un effetto di “convincimento”, ossia ha potere di calamita ottenendo così la confessione dell’inquisito. La ragione di tale risultato viene dal semplice fatto che nessun uomo al mondo (ad eccezione dei pochissimi eremiti), se morso da cattiva coscienza, è in grado di sopportare un prolungato silenzio; possono passare anni e anche se l’individuo si isola, arriverà il momento in cui si dovrà liberare; ecco allora che la libertà è in funzione del silenzio per cui sorge l’inevitabile angoscia. Su questa convinzione filosofica che risponde a realtà di vita in quanto è nell’essere, il filosofo avrebbe potuto dilungarsi molto di più pur non avendo girato il mondo come i contemporanei hanno modo di fare oggi e ciò, non è detto che sia garanzia di saper di più se non notizie di mondo o fatti ed avvenimenti che di nozione hanno ben poco.

Non meno importante e delicata è la menzione del fanciullo. In questo caso è di rilievo l’educazione che gli si vuole impartire e ciò, se basata sull’esempio della condizione del silenzio appropriato e preservandolo da quello male inteso. Concretamente il bambino necessita della presenza costante del genitore o di chi è preposto, senza farsi sostituire ingiustificatamente da persone estranee con la classica scusante (aggiuntiva) del contentino, di solito materiale. È inopinabile che l’educare è un’arte e tutti siamo concordi che è tra le più nobili e di difficile espletamento, perciò se decidiamo di trascurare, e non abbandonare, un bambino, dobbiamo farlo con cautela e fare in modo che il nostro allontanamento sia solo apparente, mentre in realtà dobbiamo vigilare con circospezione affinché non abbia ad accorgesene. «Nessuno – precisa il sommo dell’Esistenzialismo – è tenuto a giustificarsi per la mancanza di tempo poiché è sufficiente desiderarlo e condividere questa tesi. È così che il bambino non potrà mai essere chiuso e muto e coloro che non impedissero il verificarsi di tale comportamento, si investirebbero di una assurda responsabilità». In sostanza è dimostrabile che il bene non è altro che la dichiarazione, sia essa insignificante od eccelsa, dell’individuo che sino all’ultimo momento si ostina a tacere, ed è da questo istante che il bene si manifesta dando adito ad una azione liberatoria. Ma il carattere del soggetto che vuol tacere è fatto di contraddizioni; egli infatti può desiderare la libertà con un certo limite e trattenere dentro di sé parte di quello che intende esporre, questo atteggiamento lo si può riscontrare, ad esempio, nei poeti in quanto palese è la loro esistenza. Anche in questo, Kierkegaard manifesta di voler continuare ma non è certo di giungere al termine poiché incorrerebbe in un infinito monologo, ciò per voler dare un senso a tutte le cose proprio come Amleto. Tuttavia, si riprende approfondendo ancora la condizione della taciturnità per la quale dà come significato la menzogna, oppure l’assenza del vero ammettendo nel contempo che sono differenti ma che appartengono alla medesima categoria. È ormai inconfutabile una involontaria rivelazione, e tale si può manifestare con parole, gesti o sguardi, ed è in questi consueti atteggiamenti che l’individuo, anche senza volerlo, svela anche il più recondito dei suoi misteri. A seconda di quello che si intende nascondere, ciascuno di noi (con il proprio atteggiamento) può suscitare ilarità; ed è così che i casi di superficialità, di vanità e di espressioni infantili o addirittura meschine, si dimostrano nell’angoscia del tutto volontaria. L’argomentazione ha certamente del profondo, ma un attento esame può farci comprendere uno dei passi filosofici più importanti cui l’uomo bene o male ne è il principale attore. Ogni possibile approfondimento in merito, e per estensione su altri temi altrettanto coinvolgenti, sono fruibili dalla produzione delle sue Opere che, tra pessimismo e scetticismo, ma anche lungimiranza, il lettore appassionato può trarne insegnamento ed eventuale opportunità per dibattere e confrontarsi con altrettanti lettori… sia pur meno appassionati.

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