Due signori e il Contratto di Governo del Cambiamento

di Luigi Fiammata

 

 

Due signori, votati da tutti gli italiani meno uno, siedono sulle rispettive poltrone. Si agitano un po’, cercando la posizione più comoda. Le loro terga poggiano, intenzionalmente, su un vecchio libro dalla copertina cartonata. Di colore blu. Sembra un breve testo universitario della Giuffré Editore. Si intitola: “Costituzione della Repubblica Italiana”. Sotto il peso di ciascuno dei due signori, le vecchie copie del libro, si sfaldano un po’, dalla parte del dorso, e sembra possano perdere qualche pagina, ingiallita dalla mancanza di letture. I due signori sono accompagnati dai loro rispettivi avvocati difensori. Non sono in un’aula di Tribunale, ma non si sa mai. Per certe cose, occorre cautelarsi. Sono in una stanza d’albergo a ore, attrezzata, per l’occasione, per una riunione di lavoro. In discussione, c’è un “Contratto per il governo del cambiamento”: hanno una stesura finale, davanti a sé. Si tratta di un “negozio unilaterale”, che, però, dovrebbe riguardare tutti gli italiani. Compresa quell’unica persona che non li ha votati.

E, siccome i due signori si conoscono bene, e si fidano, l’uno dell’altro, la prima pagina del loro Contratto, preparata dai loro avvocati, prevede l’autenticazione delle firme. Non sia mai che uno di loro, sia in realtà la controfigura di chi dice di essere, per sfuggire poi agli obblighi assunti. Il Contratto non contiene però, clausole punitive, per chi non adempia alle obbligazioni assunte. Almeno non ne contiene nelle carte note ai lettori. Anzi, il Contratto si propone di far sempre andare i due signori d’amore e d’accordo, attraverso un Comitato di Conciliazione, costituito presso la Camera di Commercio più vicina, e non previsto dalla Costituzione della Repubblica Italiana, quel vecchio libro dalla copertina blu, su cui sono seduti, facendo gemere un po’ le loro poltrone. E’ un Contratto Privato, che riguarda la gestione della Res Pubblica. La Cosa Pubblica, di tutti, cioè. C’è un nascosto contrasto, tra questo negozio unilaterale di 58 pagine, e il libro sul quale siedono i due signori. Perché il “governo”, quand’anche “governo del cambiamento”, non è un affare privato che richieda il riconoscimento facciale dei contraenti di un rapporto commerciale. Ma è integralmente regolato nella Costituzione della Repubblica Italiana. Quindi, il Contratto, non avrebbe dovuto essere un Contratto. Ma, semmai, un Accordo di Programma Comune. E doveva essere di 57 pagine, senza le impronte digitali, per provare che fossero esattamente quei due signori, a sottoscriverlo, quali legali rappresentanti di altri soggetti, nascosti dietro l’angolo dell’albergo a ore. Però, siccome è un Contratto, allora, la Forma, diventa Sostanza. Persino prima, dei contenuti sottoscritti.

Il Governo, che i due signori prefigurano, diventa un Negozio privato. In cerca di legittimazione. Spesso sono i fatti a dettare il ritmo delle Leggi; e si potrebbe quindi dire che, questo modo di procedere, è una naturale, nuova e corretta evoluzione della pratica politica italiana. Qualche dubbio si fa strada, però, visto che il libro, sul quale i due signori sono seduti, redatto dagli eletti all’Assemblea Costituente, ha in sé le procedure per cambiare le sue pagine. E quelle procedure non sono un Contratto, per niente proprio. Anche i due signori sono stati eletti. Ma da tutti, meno uno. E, in Democrazia, il Governo vale anche per quell’unico cittadino italiano che non li ha votati. E’ il Governo, appunto, non un Negozio privato. La differenza, non è di piccolo conto.

Un po’ se ne sono accorti, i due signori, che qualche piccolo problema si pone. Tanto che, nel secondo testo del Contratto, c’è qualche differenza col primo. Anche se non sappiamo se poi le firme autenticate le han messe o meno. Nel secondo testo, che dovrebbe essere quello valido, non c’è più scritto come sia composto il Comitato di Conciliazione per l’Amore e l’Accordo tra i due signori; c’è scritto invece che questa materia è demandata ad un successivo Accordo tra le Parti. Un Contratto a parte, quindi. Però segreto, per ora almeno. Senza diretta streaming e senza voto nei gazebo o clic telematici di mouse frenetici. Magari si rimanda perché è un Accordo che, invece, non si farà, perché proprio non si può fare. Però è bene non dirlo che non si può fare, altrimenti ci si dovrebbe chiedere se sia possibile sottoscrivere un Contratto per il Governo del Cambiamento, che, in realtà, non dovrebbe essere neanche pensato, in questa forma, ma, siccome lo hanno scritto alla fine lo hanno anche voluto e pensato proprio così, i due signori. E’ interessante, ad esempio, che i due signori siano d’accordo che, a metà della Legislatura, diciamo tra due anni e mezzo, forse un po’ dopo i prossimi Campionati Europei di Calcio e, magari, prima delle prossime Olimpiadi, si faccia una verifica dell’intesa raggiunta col Contratto. E però l’esito della verifica, gli esami insomma, coi voti e gli eventuali debiti da recuperare, non sarebbero pubblicati sulle bacheche delle Aziende dei due signori. Ma sul sito internet del Governo.

Quindi, il Presidente del Consiglio incaricato andrebbe in Parlamento a farsi votare la fiducia, sulla base di un Contratto privato, che, s’immagina, il Parlamento approvi senza neanche una riga di sconto o d’aggiunta, e che quindi diventa Programma di Governo, poi verificato, a metà percorso, con la pagella sul sito del Governo, perché i cittadini possano fare i dovuti confronti. E lasciare i dovuti commenti, e “like” e cuoricini. Ma questi, son solo formalismi, si potrebbe dire. Però certe volte in Democrazia, ad esempio, la Forma è Sostanza. Verrebbe da chiedersi a cosa serva il Parlamento, che infatti il Contratto vorrebbe adeguatamente sfoltire, nei numeri e nei costi. Lodevole intento, per carità; in realtà, però, il Contratto vorrebbe introdurre “una qualche forma di vincolo di mandato”, strappando via qualche pagina di quel libro sul quale i due signori son sempre seduti. La Costituzione della Repubblica Italiana. Perché è scomoda la Libertà degli eletti che esercitano la loro funzione senza vincolo di mandato. Un po’ di vincoli, agli eletti, bisognerebbe metterglieli.

Bisognerebbe che gli eletti facciano sempre e solo quello che hanno deciso coloro i quali hanno consentito che gli eletti fossero prima candidati, nei posti migliori della Lista o nei Collegi Unici, e, per questo, eletti. Non è necessario che Deputati e Senatori pensino con la propria testa in rappresentanza degli elettori che li hanno votati e che, a loro volta, hanno già pensato abbastanza, quando hanno votato, e ai quali verrà chiesto quindi di pensare di nuovo, solo dopo i cinque anni regolamentari. Nel frattempo possono tranquillamente mettere il cervello a riposare a bagnomaria, gli elettori e le elettrici. E quindi anche gli Eletti. Che, una volta liberati dalla libertà del vincolo di mandato, potrebbero tranquillamente fare i teleparlamentari da casa, con un contratto di telelavoro smart, pagati solo a cottimo, ogni certo numero di consensi, liberamente obbligatori, dati alle iniziative legislative autorizzate dai due signori che hanno sottoscritto il Contratto per il Governo del Cambiamento. Certo, vedere taluni Parlamentari saltare da un carro del vincitore all’altro, in barba a qualunque impegno assunto con gli elettori, provoca un incremento delle vendite di anti-emetici. E’ una tradizione storica italiana, quella del Trasformismo. Però, meglio andare in farmacia, che non poter neanche uscire di casa. Credo.

Ci si aspetterebbe, per completare il quadro di Riforma della Democrazia, che il Contratto preveda delle norme che chiariscano, finalmente con una Legge, il “metodo democratico” con il quale i Cittadini si organizzano liberamente (nei Partiti e nei Sindacati), per concorrere alla vita democratica del Paese, dice quel libro sul quale i due signori sono seduti.
Ma neanche una parola il Contratto spende in questo senso. E, d’altra parte, nessuna parola avevano speso in questo senso quelli venuti prima dei due signori. Quindi, la Democrazia nei partiti, per i due signori seduti sulla Costituzione della Repubblica italiana, può tranquillamente continuare ad essere un algoritmo brevettato da una azienda privata che consenta l’esercizio del proprio diritto a partecipare, solo previa ammissione alla propria piattaforma telematica di imperscrutabili, e oscure, profondità, e di cui l’azienda stessa è proprietaria, giocatore e arbitro insieme. O può essere anche una conversazione allegra, durante una polentata con gli uccelletti, consumata un giorno qualsiasi, tra alcuni scelti invitati, in un ridente sobborgo di una vallata pedemontana delle Alpi Cozie. Il tutto, farcito di tweet e dirette facebook, che tanto avvicinano il popolo alle élites. Verrebbe quasi da pensare che Partiti o Movimenti, che applichino tali fantasiose regole di Democrazia al proprio interno, poi le possano ritenere buone per tutta l’Italia. E pretendere che siano applicate da Canicattì a Gemona. I Congressi dei Partiti, o dei Sindacati, sono una liturgia del passato, ignobile e inutile. Truccata spesso. E lenta. E, personalmente, non ho neanche tantissima voglia di difenderne le ultime vestigia che stancamente sopravvivono. Ma qui bisognerebbe parlare della crisi di partiti, e sindacati, e diventerebbe davvero lunghissimo il mio scrivere.

Vedete, quando le questioni hanno a che fare con la Forma che diventa Sostanza, non è più un problema il nome dei due signori che sottoscrivono il Contratto. Potrebbero chiamarsi anche Pinco e Palla. Il problema è che questo “modo” diventerà legittimo per chiunque e per qualunque contenuto scelto. Oggi tocca a questi due signori, magari domani può toccare a qualcun altro. Che so, alla Signora Mafia insieme col Signor Black Rock Investment Trust, per esempio. Completando, così, una privatizzazione della Res Publica, iniziata tanti e tanti anni fa ed entrata talmente tanto dentro le coscienze da far votare alla maggioranza dei Parlamentari, alcuni dei quali oggi, con ritrovata verginità, potrebbero essere Ministri o Sottosegretari del prossimo Governo, che certe nipoti di Mubarak ogni tanto perdessero la strada di casa. Senza bisogno del vincolo di mandato. Magari, bisognerebbe esser consapevoli che le Regole appartengono a tutti, e non solo alla maggioranza. Persino in una partita di calcio, tra Real Madrid e Poggibonsi, prendere a calci l’avversario sarebbe considerato fallo e punito, chiunque sia quello che dà il calcio. Magari, quindi, non converrebbe neppure ai due signori approntare strumenti che, un domani, altri potrebbero usare con intenti opposti.

Perché, poi. Gli intenti, sono importanti, e, di intenti, è pieno il  Contratto. Talmente tanto pieno, da dimenticarne alcuni, fondamentali. Quando una famiglia debba organizzare la propria vita ed i propri intenti, la prima cosa che fa, penso, sia cercar di capire su quali risorse possa effettivamente contare, per poter raggiungere i propri obiettivi. E’ possibile decidere che le risorse necessarie a pagare le Tasse Universitarie per i propri figli siano ricavate dalle vincite che, siamo certi, saranno conseguite comprando una certa quantità di “Gratta e Vinci”. Ma non è detto che, poi, tutto vada per il verso giusto. E se l’obiettivo è alto, permettere ai propri figli di studiare, laurearsi, costruirsi un futuro degno delle proprie speranze, dei propri sacrifici, della bellezza della gioventù, rigorosa dovrebbe essere la determinazione delle risorse per arrivarci. Altrimenti enunciare importantissimi obiettivi, e intenti, sarebbe solo propaganda. Non governo. Buona per nuove Elezioni. O per cominciare, da subito, a costruire le condizioni affinché, se gli obiettivi non possano esser raggiunti, la colpa sia del barista, che porta sfiga quando tocca i “Gratta e Vinci” che abbiamo deciso di acquistare.

Il capitolo “Unione Europea” è posto alla fine del Contratto. Come se, all’ultima pagina, si scoprisse l’assassino. Quello che ha la colpa di tutto. E che porta una sfiga pazzesca. E’ interessante confrontare le differenze, nel presentare l’assassino, tra la prima stesura del Contratto e quella poi considerata definitiva, redatta a qualche giorno di distanza. Da un giorno all’altro la prospettiva cambia bruscamente. Quei problemi che l’Italia ha avuto negli ultimi anni (in Italia ci sono sempre problemi, e non è necessario specificare quali essi siano, o chi affliggano), dapprima, possono essere risolti solo ridiscutendo integralmente i Trattati Istitutivi dell’Unione Europea, l’Unione Monetaria e tutto il quadro normativo di riferimento; poi, improvvisamente, quegli stessi non meglio specificati problemi, troveranno soluzione solo applicando pienamente i Trattati istitutivi dell’Unione Europea, e il quadro normativo di riferimento. Il cambiamento, repentino, è in realtà solo letterario. L’italiano, talvolta, è una lingua che consente di dire l’esatto opposto di quel che si sta preparando, convincendo tutti che è vero quel che si scrive, anche dopo che la realtà s’è incaricata di scegliere la versione più vera delle cose, quand’anche quest’ultima fosse l’esatto opposto di quel che si è scritto. Perché il punto essenziale resta immutato: “Sotto il profilo del budget, occorre ridiscutere il contributo italiano alla UE in vista della programmazione settennale imminente, con l’obiettivo di renderla coerente con il presente contratto di governo “. E’ tutta la Programmazione Europea che deve divenire coerente con gli obiettivi posti dal Contratto per il Governo del Cambiamento.

Trovano una giusta collocazione, così, alcuni concetti contenuti in altre parti del Contratto, quali a titolo esemplificativo, ma non esaustivo: lo scorporo delle spesa per investimenti dal Deficit del Bilancio corrente; la riforma dei Trattati dell’Unione; la ratifica degli accordi sull’Agricoltura, che altrimenti non avrebbero validità, da parte dei Parlamenti nazionali; la cancellazione del peso dei Titoli di Stato Italiani, acquistati dalla Banca Centrale Europea, dal rapporto Debito/Prodotto Interno Lordo; superamento del Regolamento di Dublino riguardante i fenomeni migratori, e più in generale la ridiscussione di ogni aspetto riguardante la politica europea in merito ai migranti; il superamento delle Sentenze della Corte Europea, riguardo al divieto a differenziare trattamenti di ogni genere dello Stato Sociale, tra Residenti forniti di regolare permesso di Soggiorno e Cittadini; prevalenza della Costituzione Italiana sul Diritto Comunitario (fermo restando l’articolo 11 della Costituzione, il quale, violando il principio di non-contraddizione con il Contratto per il Governo del Cambiamento, recita che l’Italia “…consente…alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni…); il superamento della regola dell’Equilibrio di Bilancio; lo scomputo dalle spese del Bilancio Nazionale dei fondi utilizzati per l’armamento delle Polizie locali; la cancellazione della Direttiva Bolkestein, che riguarda la liberalizzazione dei servizi tra i Paesi dell’Unione, ma solo quando generi effetti negativi per gli interessi italiani.

In sostanza, l’idea dei due signori, consacrata nel Contratto per il Governo del Cambiamento, è che l’Unione Europea, dovrebbe adeguarsi a quel che loro due pensano sia giusto ed opportuno. E non è previsto che possano esservi discussioni, o magari qualche osservazione, da parte del resto dell’Unione Europea. Probabilmente, anche per l’Unione Europea dovrebbe essere previsto qualche “vincolo di mandato”. Si dà per scontato che tutto quanto scritto sia immediatamente esigibile, ed anzi, già disponibile. Abbiamo conseguito la vincita massima sul “Gratta e Vinci”, ogni giorno, per 400 giorni l’anno. Tutti gli anni a venire. Il problema delle risorse, con le quali far fronte ad intenti e impegni che il Contratto assume, è risolto.

L’Unione Europea, oggi, non è l’orizzonte di speranza costruito sulle macerie generate dalla Seconda Guerra Mondiale, e dall’opera del nazismo e del fascismo. L’Unione Europea, oggi, è posta in profonda crisi di significato da una feroce globalizzazione economica e finanziaria; dalla totale assenza di reciprocità, nei rapporti con Stati governati da regimi dittatoriali, dalla Cina all’Arabia Saudita; da fenomeni migratori figli prevalentemente d’irrisolti problemi nati con la colonizzazione operata dagli Stati Europei, tra il XVIII e il XX Secolo; da una drammatica questione ambientale e climatica, che pone e porrà problemi di sopravvivenza, all’intero genere umano; da squilibri di potere e commerciali presenti all’interno dell’Unione, che alimentano nazionalismi e chiusure. E non vi è nessuno che pensi che questo stato di cose, dell’Italia in Europa – e dell’Italia in Europa e nel Mondo – sia giusto o soddisfacente. E che, perciò, esso non debba essere cambiato. Ma, pensare che il resto d’Europa, e, quindi anche del Mondo, le cui regole e dinamiche condizionano anche l’Europa, debbano uniformarsi, così, solo per averlo scritto nelle parole contenute nel Contratto per il Governo del Cambiamento, senza neanche muovere un muscolo, è aver fede nella Magia.

Praga, è una città magica. Ha una consolidata tradizione di magia, e di leggende talvolta inquietanti. Praga è nell’Unione Europea, ma non ha l’Euro. Se andassi a Praga, dovrei cambiare i miei euro ad un bancomat, al tasso ufficiale di cambio, magari pagando qualche commissione. Ma se io decidessi di acquistare qualcosa in un negozio del centro, a Praga, i miei euro sarebbero tranquillamente accettati; però, il tasso di cambio lo deciderebbe il negoziante, in base al grado di attenzione dell’acquirente e in base alle proprie convenienze. La vita è meno cara, a Praga, rispetto a Roma, ad esempio. E se io quindi lasciassi qualche euro in più al commerciante, rispetto al tasso di cambio ufficiale, probabilmente non me ne accorgerei nemmeno. Figuriamoci se fossero solo centesimi. Immaginiamo dieci centesimi di euro, in più, rispetto al tasso di cambio ufficiale, per una bottiglietta d’acqua al bar nel centro di Praga; moltiplichiamoli per 100 turisti al giorno. Fanno 10 euro di guadagno giornaliero, occulto. Il conteggio naturalmente, vale per qualunque prodotto, e per qualunque quantità, di prodotti, e per qualunque quantità di turisti, naturalmente. (Più di cinque milioni persone, ogni anno, visitano Praga. Quanto fa 10 centesimi moltiplicato 5 milioni? A Roma, per avere un ordine di grandezza, di arrivi ce ne sono 40 milioni l’anno; così, forse, ci rendiamo conto di cosa può esserci in ballo).

Un fenomeno simile avviene con la produzione industriale. Una azienda Ceca avrebbe un bel vantaggio sulle aziende concorrenti a vendere in Germania un prodotto, potendo contare su un tasso di cambio favorevole, e manovrabile autonomamente, grazie ad esempio alla svalutazione della corona. Ma i commessi dei bar, o gli operai della fabbrica, o gli impiegati del Comune di Praga, o i pensionati, lo stipendio o la pensione lo prendono in Corone. E non possono giocare sul tasso di cambio; anzi, se la Corona Ceca fosse svalutata, con i loro stipendi/pensioni, potrebbero acquistare meno beni e servizi per la propria famiglia, e, certo, non potrebbero fare un viaggio in un Paese che abbia l’Euro, come moneta, dove tutto gli costerebbe 25 volte di più (per comprare un euro, oggi, ci vogliono più di 25 Corone Ceche). In compenso, piccoli imprenditori e commercianti della Pianura Padana, senza euro, potrebbero fare un sacco di affari, senza preoccuparsi di tenere in piedi il Carrozzone Pubblico del Sud Italia. Resterebbe il piccolo particolare di dover rimborsare, a qualcuno che lo chieda, l’enorme Debito Pubblico italiano, in svalutate lirette magari. Ma questo non lo troviamo nel Contratto per il Governo del Cambiamento.

Nella seconda versione del Contratto per il Governo del Cambiamento, compaiono 8 righe che riguardano, specificamente, proprio il Sud, che nella prima versione non erano presenti, e pareva brutto. Ma si specifica che tutto il Contratto per il Governo del Cambiamento riguarda anche il Sud. E quindi nulla si deve aggiungere. Ad esempio, infatti, nulla per contrastare le mafie va aggiunto alla legislazione attuale, per ciò che concerne la tracciabilità dei pagamenti e dei flussi finanziari; la trasparenza nelle banche e negli assetti societari; il contrasto ai paradisi fiscali; la legalizzazione degli stupefacenti. E, infatti, nulla il “Contratto per il Governo del Cambiamento” aggiunge. Per esempio, riguarda il Sud e non certo il Nord Italia la misura scelta per superare la “Legge Fornero”, che a suo tempo ha cambiato il sistema pensionistico, lì dove si sostiene che per andare in pensione, da domani, servirà raggiungere la cosiddetta “Quota 100 “; data dalla somma della età anagrafica e di quella contributiva. Notoriamente, infatti, il Sud è pieno di fabbriche, dove gli attuali sessantenni sono entrati a venti anni d’età, senza mai essere stati licenziati nel frattempo, cumulando così sino ad oggi 40 anni di contributi, utili a godere finalmente di una giusta pensione e di un giusto riposo. Ce ne sono tante di fabbriche al Sud, chiuse però. Al Sud, in compenso, ci sono purtroppo tanti disoccupati e disoccupate, che potrebbero fruire invece, in massa, del “Reddito di Cittadinanza”. Ogni tanto, tuttavia, le cose dovrebbero corrispondere ai nomi che si scelgono per loro. Se io chiamo una cosa “Reddito di cittadinanza” dovrebbe voler dire che il principale requisito per averne diritto è che si sia cittadini italiani. Invece, nel descrivere il “Reddito di Cittadinanza”, il Contratto per il Governo del Cambiamento specifica che esso ha lo scopo di consentire il reinserimento della persona nel mondo del lavoro, tanto che, se la persona dovesse rifiutare le offerte di lavoro che il Centro per l’Impiego gli propone, decadrebbe dal diritto a ricevere 780 euro al mese.

Oggi esiste il cosiddetto “Reddito di Inclusione”, che può arrivare a 485 euro al mese; ed esiste l’Indennità di disoccupazione, che vale, più o meno, mediamente 800 euro al mese, nette. Quindi, se fosse abolito il Reddito di Inclusione, se fossero un po’ decurtate le Indennità di disoccupazione magari abolendo anche del tutto il valore di “Contribuzione Figurativa” della Indennità di disoccupazione, ai fini pensionistici, che un costo pure ce l’ha già oggi, senza comprare dei “Gratta e Vinci”, ci sarebbero le risorse per allargare un po’ il sostegno al reddito delle persone in difficoltà. Perché si può scrivere qualsiasi cosa; ma poi occorrerebbe essere precisi nello spiegare come si vogliono raggiungere certi obiettivi, altrimenti si rischia che ci siano brutte persone, come me, che fanno il processo alle intenzioni. E persone come me potrebbero persino pensare che misure eguali, amministrate a situazioni di partenza diverse, servano solo a perpetuare le diseguaglianze. Tra Nord e Sud, ad esempio. E’ come se io dessi la stessa quantità di acqua ad una persona che sta in un bar, comodamente seduta, e ad una persona che, invece, debba attraversare il deserto, fidando solo sull’acqua che io gli do. La stessa acqua non disseterà allo stesso modo, anche se si tratta di una misura “orientata allo sviluppo omogeneo del Paese”.

Un Paese che vorrebbe comprendere cosa s’intenda quando il Contratto per il Governo del Cambiamento scrive che l’Acqua deve essere pubblica, ma tace completamente sulle concessioni pubbliche, regalate a privati per quattro soldi, per l’estrazione e la vendita delle acque minerali. D’altra parte, è tradizione dei governi che si sono succeduti alla guida del Paese regalare ricche concessioni pubbliche ai privati, senza ricavarci nulla, ma costituendo invece odiosi monopoli privati che gravano sulle tasche indifese dei cittadini. Basterebbe pensare all’etere, per le Televisioni; alle Autostrade, agli Stabilimenti balneari etc… Occorrerebbe comprendere cosa significa che “è indispensabile fermare il consumo di suolo (spreco di suolo)”: il consumo non sempre è spreco. E, o si ferma il consumo, o il consumo è tollerato, purché non sia spreco. Per esempio, a L’Aquila, che ha un Piano Regolatore Generale vigente, che consente di edificare per 120.000 abitanti, pur avendone solo 70.000 scarsi, e un patrimonio già edificato che potrebbe accogliere oltre 100.000 persone, e dove si continua giornalmente con nuove edificazioni, alcune delle quali, essendo abusive, si vogliono sanare: qual è il confine tra “consumo” e “spreco”?

I due signori, che hanno costruito il Contratto per il Governo del Cambiamento, sanno d’aver di fronte un Paese incattivito da oltre venti anni di politica che è stata quasi solo tifo tra opposte fazioni; impoverito da una crisi economica che dura da almeno 30 anni e che è divenuta devastante negli ultimi dieci; impaurito da una precarietà imposta in ogni campo della vita, e nel lavoro in special modo, a partire dal 1984, e poi in modo assolutamente massiccio a partire dal 2003, con le norme della cosiddetta “Legge Biagi” completate dal cosiddetto “Jobs Act”; pressato da un aumento in larga parte incontrollato dei flussi migratori, regolati ancora dalla Legge “Bossi-Fini”, totalmente inadeguata alla sfida che l’Italia sta perdendo, con una nuova idea della cittadinanza, e della difesa e progresso, reali, della Cultura italiana. Sanno d’aver di fronte un Paese le cui culture storiche, che hanno scritto la Costituzione della Repubblica Italiana, su cui i due signori sono seduti, hanno perduto, quasi totalmente, ogni capacità di interlocuzione reale con i cittadini, di ascolto, e persino di comprensione delle dinamiche reali del vivere quotidiano. Sanno che le parole del Contratto per il Governo del Cambiamento camminano su un tessuto di macerie. Camminano tra famiglie dove i figli avranno meno dei loro padri o nonni. Camminano dentro città costruite per escludere le Periferie dal Centro. Camminano dentro Scuole e Università che cadono a pezzi e hanno smarrito quasi totalmente la loro funzione di strumento per la crescita sociale e di formazione d’una identità critica dei giovani uomini e donne italiani. Camminano tra capannoni industriali chiusi e vuoti, tra meravigliosi marchi di aziende italiane svendute a imprese multinazionali. Scrivere, in queste condizioni, è persino semplice. E può essere facile generare l’entusiasmo che si prova, quando ci si scrolli di dosso il peso ingiusto di condizioni materiali penalizzanti, di tanti anni nei quali chi era al Governo, invece di guardare in direzione delle persone, ha guardato in direzione di astratti e vuoti principi di “libero” mercato.

Sarà facile far subito delle cose buone, attraverso il Contratto per il Governo del cambiamento. Per esempio, si potrà finalmente abolire il Sindacato. E’ sempre colpa del Sindacato, se tante cose non funzionano. C’è una certa cultura italiana, profondamente reazionaria, gretta, che si sposa perfettamente con la cultura di chi vuole abolire ogni mediazione sociale, perché gli uomini, e le donne, devono essere soli dinanzi al Dio Mercato, che attende questo momento da tempo. Il Contratto per il Governo del Cambiamento si propone di stabilire un Salario Minimo, per Legge. Un Salario che consenta, a chi non goda dei frutti della Contrattazione Collettiva, a chi non abbia un Contratto, di avere comunque un riferimento salariale che gli consenta di vivere dignitosamente. E’ un punto importante, se non fosse che, oggi, in Italia almeno in linea teorica non vi è un solo Lavoratore, in nessun Settore, che non possa far riferimento ad un Contratto Collettivo. A chi si rivolge, quindi, una misura del genere? Da domattina qualsiasi impresa, alla scadenza dei Contratti Collettivi di riferimento, potrebbe evitare di rinnovarli. E far riferimento al Salario Minimo previsto per Legge. La legge è una fonte di diritto, più alta, dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro. E a cosa servirebbe un Sindacato che non contratti più nulla? A nulla, appunto.

Per esempio, si potranno prendere risorse, fino a ieri destinate alla gestione delle politiche sulle Migrazioni, e destinarle immediatamente ad alcuni di quei bisogni drammatici che attanagliano la gola di tanti cittadini italiani in difficoltà, in particolare nelle aree metropolitane. Case, asili, sostegno alle disabilità, tanto per fare qualche piccolo esempio. E’ curioso che noi italiani teniamo l’elenco dei nostri Migranti divenuti famosi fuori d’Italia, o dei loro figli o nipoti con cognome italiano: sportivi, politici, attori o attrici, registi cinematografici, scienziati, scrittori, cantanti, etc… Quando qualcuno di loro tornava nei paesi d’origine, o persino nei paesi d’origine dei propri nonni, s’organizzava, e ancora oggi, s’organizzano, comitati di ricevimento, bande musicali, cittadinanze onorarie, fuochi d’artificio. Italiani e italiane che han fatto grandi i paesi in cui sono migrati. E noi, oggi, diamo per certo che nessuno, ma proprio nessuno, di quelli che sbarcano, o arrivano, o i loro figli, o i loro nipoti che vorranno essere italiani, aiuteranno il progresso del nostro Paese.

L’Italia, in verità, è un Paese profondamente razzista. Lo è stato, e lo è ancora, con i propri meridionali. Ed infatti il Contratto per il Governo del Cambiamento si propone di intervenire finalmente su questo scandalo dei tanti insegnanti meridionali che vanno ad insegnare al Nord, costruendo legami più diretti, tra residenza dell’insegnante e luogo in cui vada ad insegnare; e lo è con gli stranieri che vivono e lavorano in Italia. Un uomo è più ucciso, se investito da uno straniero, che da un italiano ubriaco al volante. Di sicuro, la notizia, sui giornali, nei telegiornali, sui social network, dura di più, ha più rilievo, suscita maggiori reazioni. Il Contratto per il Governo del Cambiamento non lo scrive, ma la vera politica sulle migrazioni, che molti italiani vorrebbero, è solo quella dei respingimenti. Al limite, affondando a cannonate le barche. Perché di problemi veri i flussi migratori ne hanno creati e ne creano tanti. E forse sarebbe necessario avere il coraggio d’intervenire globalmente sulle ragioni vere che determinano i flussi migratori, invece che mettersi sul fondo della valle, con le braccia alzate, pretendendo di fermare la valanga. Così come è certamente necessario ripensare i processi di integrazione e di relazione tra culture e popoli diversi sul nostro Territorio. Ma tanti italiani, pare abbiano sete solo di soluzioni semplicistiche. In questo, aiutati da tanti buoni esempi. A partire da chi vuol costruire un muro al confine col Messico. Dal Messico può solo entrare la droga, e i capitali connessi. Le persone, no.

Nulla dice il Contratto per il Governo del Cambiamento sulle condizioni per restituire al Paese condizione di Eguaglianza tra i suoi cittadini. In questi anni, in Italia, come in tutto il mondo che una volta si definiva “occidentale”, la differenza tra i più ricchi e i più poveri si è drammaticamente allargata e vasti strati di persone, che un tempo potevano aspirare a condizioni di vita magari un po’ superiori, oggi sono drammaticamente risucchiate dalle necessità della sopravvivenza, dai servizi, a partire da quelli sanitari, sempre più sottoposti a tagli. Anzi una cosa, e molto precisa, il Contratto per il Governo del Cambiamento, la dice, ed è proprio molto precisa. Chi oggi abbia un reddito lordo oltre i 75.000 euro annui, da domattina, invece di pagare il 43% di tasse, pagherà il 20%. Chi avesse un reddito fino a 15.000 euro annui, invece del 23% di tasse, pagherebbe il 15%. Il che significa che i ricchi diventeranno più ricchi e chi sopravvive con mille euro al mese di stipendio dovrà iniziare a domandarsi dove lo Stato troverà i soldi per fare le strade, per costruire le Scuole, per pagare lo stipendio agli Infermieri e ai Carabinieri; dove troverà i soldi per pagare le Pensioni. Ci vorrebbe qualcuno, qualcuno che apra le finestre della stanza claustrofobica in cui i due signori sono seduti, e cominci a dire che la politica dev’essere onesta anche nel dire quel che si può, e quel che è parecchio difficile riuscire a fare. Che la politica dovrebbe mostrare orizzonti, e non chiudere confini. Che la politica, dovrebbe colorare il cielo, e non avere il volto plumbeo dell’amministrazione che toglie a qualcuno per dare a chi ha già più potere o possibilità.

Certe volte, mi vien da pensare, che bisognerebbe ricominciare da capo. E mi fanno pensare le parole che Vaclav Havel (1936-2011) diceva: “Un cambiamento, in meglio, delle strutture, che sia reale profondo e stabile, oggi non può partire dall’affermarsi dell’una o dell’altra concezione politica, ma dovrà partire dall’uomo, dall’esistenza dell’uomo, dalla sostanziale ricostruzione della sua posizione nel mondo, del suo rapporto con sé stesso, con gli altri, con l’universo. Oggi, più che mai, la nascita di un modello economico e politico migliore, deve prendere le mosse da un più profondo cambiamento esistenziale e morale della società: non è qualcosa che basta concepire e lanciare come il modello di una nuova automobile. Non è detto che con l’introduzione di un sistema migliore sia garantita automaticamente una vita migliore, al contrario: solo con una vita migliore, si può costruire anche un sistema migliore. Ciascuno può apprezzare l’attualità di queste parole, nel contesto di crisi che, da anni, affligge l’Italia e l’Europa”.

Nella foto: Luigi Fiammata

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