“Dopo la Shoah”: mostra di Eva Fischer e Georges de Canino a Roma

quadro di Eva Fisher sulla Shoah raffigurante tante scarpe

GIORNO DELLA MEMORIA 2016

Dopo la Shoah 1°febbraio / 1° marzo 2016

opere di Eva Fischer e di Georges de Canino

Eva Fischer – “Diario segreto” –

Selezione di dipinti dalla mostra allo Yad Vashem – Gerusalemme

Georges de Canino – “Prigionieri” –

Selezione di dipinti dalla mostra al Museo della Liberazione di Roma di via Tasso

a cura di Francesca Pietracci

 

inaugurazione e conferenza di apertura

lunedì 1° febbraio ore 18:00 – 20:30 – via Labicana 15/A – Roma

Interventi: Lauro Rossi Vice Presidente ANRP Leone Elio Paserman Probiviro UCEI – Giorgia Calò Assessore alla Cultura CER – Francesca Pietracci Storica d’arte Alan David Baumann Responsabile Archivio Fischer-Baumann – Georges de Canino Artista per la Memoria

 

quadro di Eva Fisher sulla Shoah raffigurante tante scarpeEva Fischer
è nata a Daruvar (ex-Jugoslavia) nel 1920, è vissuta e ha lavorato a Roma fino al 2015.
Sono più di trenta i suoi familiari scomparsi nei lager, compreso suo padre Leopoldo, Rabbino Capo e talmudista. Ha mantenuto segrete le sue opere sulla Shoah fino al 1989. Principali mostre: Museo di Belle Arti di Osaka, Museo Yad Vashem di Gerusalemme, Museo di Atene, Lefevre Gallery di Londra, Museo di Amsterdam e Fondazione della Cultura Ungherese di Budapest.

“I quadri esposti sono dedicati a mio padre e naturalmente a tutti quelli che non sono tornati … lasciando a noi vivi l’eredità di ricordarli, frugando nel tempo, tra i labirinti della memoria … queste mie opere appartengono ad un sentimento più che alla creazione di stati d’animo, sono una partecipazione al dolore di tutti i tempi.”
Eva Fischer

 

Georges de Canino
è nato a Tunisi nel 1952, vive e lavora a Roma. L’artista si è dedicato costantemente ai temi della Shoah e della pace, della musica e della poesia. Principali mostre: 1974 Charleville (Francia), 1978 Biennale di Venezia, 1977 Beit Lohamei Haghetaot (Israele), 2000 Vittoriano (Roma), 2002 Tempio di Adriano (Roma), 2012 Fosse Ardeatine (Roma).

“Questo è il tempo dell’ascolto, questo è il tempo per ricordare, questo è il tempo per non dimenticare. La presenza dei testimoni è sempre un evento, il bene e la speranza sono uniti al loro dolore, alle loro ferite e alle loro lacrime che, nelle notti insonni, scendono verso il cielo come stelle nel firmamento.”
Georges de Canino

 

I sei milioni di racconti della Shoah possono narrare di poche ore di vita, oppure raccontare una lunga esistenza, ma tutte portano allo stesso tragico epilogo, persino per coloro che fisicamente sono usciti da luoghi spettrali come Aushwitz-Birkenau, Dachau, Bergen Belsen.

Quando verso la fine degli anni 80 mio padre ed io scoprimmo quel diario segreto di Eva, mai avremmo creduto che una persona che tanto amava parlare e circondarsi di colori, tenesse celati tutti i risvolti di quel bieco periodo. Aveva sempre parlato della deportazione del padre e di altri 33 parenti diretti e ci aveva raccontato le peripezie per fuggire – assieme alla madre malata ed al fratellino Roberto di dieci anni più piccolo – da una Belgrado martoriata, per consegnarsi agli italiani sulla costa adriatica, perché “italiani brava gente”. Mai avremmo supposto, che nonostante la forza che trasmetteva in tutti coloro che frequentava, la vitale Eva necessitasse di rigettare la cupezza che invece continuava a tartassarla quasi fino al punto di insistere nel volerle togliere l’umanità e l’amore per la vita stessa. Come nei racconti che narrano della presenza in ognuno di un lato positivo e di uno nefasto.

Le ombre raccontate innanzitutto a se stessa lungo tutta la vita, e la convinzione di dover mostrarle specialmente a chi non aveva vissuto quei momenti, hanno creato un particolare momento pittorico, parallelo a quelli, come le storie di biciclette o le architetture mediterranee, che avevano portato Eva Fischer ad una certa notorietà.

Fra le emozioni più forti, la curatrice Francesca Pietracci ha scelto di mostrarne due in occasione del Giorno della Memoria 2016. Il “Talled di mio padre” rappresenta una di quelle immagini che si tatuano sul cuore di un bambino. Il Talled è una sorta di scialle da preghiera, per i rituali religiosi ebraici. L’opera esposta è del 1947 e da poco l’uccisione del rabbino-capo Leopold Fischer – padre di Eva – era stata data per certa.

“Chi salva una vita, salva il mondo intero” è scritto nel Talmud, ma nelle altre cinque opere esposte, sono raffigurati quei sei milioni di esseri cui non riuscendo a togliere la loro umanità, il nazismo ha bruciato le identità, una ad una, lasciando solo pile di scarpe ed altrove montagne di denti in oro, valigie, pettini accatastati oppure occhiali.

Le scarpe sono appese ad un chiodo come gli impiccati ai lampioni di Belgrado, oppure sono vecchie, ma vorrebbero ancora calpestare il suolo mentre Eva le immagina nel cielo. La corsa dei bambini viene interrotta perché troppo naturale, la vita passata senza un padrone è lontana da una tirannia idolatrata da un intero popolo.

Queste scarpe si ritrovano assieme in questa mostra per dare assieme forza alle loro punte e calciare ancora oggi coloro che negano la storia, coloro che cercano dei motivi, coloro che chiamano follia un desiderio sanguinario, mentre tutto sembrava normale, dovuto, oppure celato dietro ai “non sapevo”.

Alan David Baumann

 

Nella foto, “Corsa Interrotta (Interrupted Race”, 1987, cm. 54×73

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