Don Carlo Gnocchi e l’educazione delle future generazioni
L’esempio di Don Carlo Gnocchi “scrittore-pedagogista”, un sempre più valido contributo attraverso i suoi scritti
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
In questo periodo, che forse è meglio definire epoca di grande “disorientamento sociale” che sembra non aver fine, in considerazione degli eventi bellici quotidiani e tanto altro ancora, le nuove generazioni di giovani hanno sempre più bisogno di essere illuminate e guidate (e difese) verso una crescita sana, sicura e costruttiva per il loro stesso avvenire. E a questo riguardo noi adulti (laici e non) potremmo trarre utili “suggerimenti” dalla saggezza di tanti buoni educatori del passato, che ci hanno lasciato in “eredità” il loro esempio attraverso notevoli opere e ricche documentazioni. Tra questi, il beato Don Carlo Gnocchi (1902-1956), il papà dei mutilatini e dei poliomielitici, educatore e maestro dell’umanità che, nonostante la breve esistenza, ha dato alle stampe diverse pubblicazioni ad indirizzo pedagogico e psicologico. Dopo il conflitto, che lo ha visto (per sua scelta) in prima linea accanto ai suoi “ragazzi” del Gonzaga chiamati al fronte, si è prodigato al recupero fisico e morale (ma anche materiale) dei suoi figli adolescenti che accoglieva spesso nelle condizioni più estreme e precarie. Sostenuto da una grande fede è stato un seminatore di speranza e ha voluto lasciare il segno del suo operato e spesso dei suoi confortanti esiti, attraverso opere autobiografiche come “Educazione del cuore” (Ed. Áncora), un manuale dell’educatore scritto nel 1937 quando era sacerdote da dodici anni, mentre lo Stato avocava a sé il diritto di educare; Don Carlo scriveva, invece, che «quel compito di amorosa sorveglianza e di sapiente indirizzo spetta prima di tutto ai genitori», proprio perché nell’educazione affettiva le qualità specifiche del padre e della madre sono chiamate a convergere e a integrarsi.
Lo stesso editore ha dato alle stampe (nel 1993 e nel 2009) “Gli Scritti”, una voluminosa opera di quasi 8oo pagine che raccoglie suggestive testimonianze che vanno dal 1934 all’anno della sua morte, e coprono un arco tematico molto differenziato: da articoli o piccoli saggi catechistici-pastorali a guide spirituali per i giovani; da riflessioni sull’allora emergente cinematografia fino all’elaborazione di veri e propri “trattati”, come la “Restaurazione della persona umana”, frammenti su problemi contingenti a motivi più eterni e radicali come il già citato “Educazione del cuore”, e la “Pedagogia del dolore innocente”. Ma anche il famoso e memorabile “Cristo con gli Alpini” (riedito da Mursia nel 2008), legato alla sua esperienza di cappellano durante la seconda guerra mondiale; un’opera che ha lasciato il segno per aver descritto come davanti all’immane tragedia della ritirata di Russia degli Alpini della Divisione Tridentina, che lascia a morire sui bordi delle strade della sterminata steppa russa giovani senza speranza di salvezza alcuna né possibilità, per i moribondi, di essere confortati, se non dalla fede offerta con umiltà “scoprendo” il volto di Cristo e il senso ultimo di quella terribile tragedia… Uno scritto-confessione che ha cambiato il corso della sua vita dedicandosi alla sua opera di carità; una carità senza limiti e confini che ha segnato per sempre la sua esistenza, offrendo ancora oggi aiuto e speranza alle generazioni che si avvalgono dei servizi della Fondazione che porta il suo nome. Ma anche a chi vuole “redimersi” facendo proprio il suo esempio di Uomo per l’infanzia, i più deboli e sofferenti nel nome di Cristo che andava cercando nell’estesa steppa russa e, in patria, tra le mutilazioni e le deformazioni della poliomielite sino a creare una grande famiglia “educata” con il cuore.