DI FRONTE ALL’IMMANE SOFFERENZA L’UMANITÀ LOTTA E RESISTE

Grazie alle consistenti dedizione ed abnegazione degli operatori

sanitari, come il medico in prima linea con tutti i suoi collaboratori

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)

Le grandi epidemie, si sa, sono episodi tragici che hanno una certa durata nel tempo, ma ciclicamente possono tornare, quando l’immunità acquisita viene meno con il succedersi delle generazioni. Sono eventi che lasciano una traccia indelebile nella memoria colletitva  quasi a voler dimenticare le malattie non epidemiche, malattie la cui parte delle tracce le troviamo nei testi storici, e alcune delle quali sempre presenti nelle popolazioni. Negli ultimi secoli sono state vinte alcune di queste epidemie e/o pandemie come ad esempio la peste nera (1347-1353), l’influenza spagnola (1918-1920) e il vaiolo eradicato nel 1979. Ma vi sono anche altre patologie virali, prevenibili grazie ai rispettivi vaccini contro morbillo, parotite, meningite,difterite, poliomielite, pertosse, tetano, epatite B,Haemophilus influenzae, parotite, rosolia, varicella Herpes zoster, infezione da papilloma virus, etc. Purtroppo oggi un’altra patologia virale sta invadendo il pianeta, ed è il Covid-19 (Coronavirus) malattia infettiva respiratoria acuta causata dal virus denominato Sars-CoV-2. La sua diffusione e il difficile controllo sta mettendo a dura prova ricercartori, clinici e molti operatori sanitari di ogni specialità, oltre le Forze dell’Ordine e i volontari; e naturalmente anche ai politici per le specifiche competenze. Come sempre, in questi casi, l’evoluzione (ormai pandemica) si traduce in statistiche, quindi in cifre che comprendono le persone contagiate, positive, ricoverate, guarite e decedute. È una lotta contro il tempo e tutti noi inermi, ma non indifferenti, assistiamo a questo conteggio quotidiano ed ognuno cercando di essere di supporto osservando le precauzioni stabilte dalle Autorità, ma anche con donazioni per sopperire alle notevoli carenze materiali di carattere sanitario, logistico, strutturale e di risorse umane. Il percorso per arginare il problema pare non essere tanto breve e intanto il comparto sanitario, nonostante la grande dedizione di tutti sino alla sfiancamento (termine impopolare ma rende bene l’idea) sta dimostrando efficienza ed abnegazione: medici e infermieri in primis, consapevoli del rischio di ammalarsi e con anche il timore di contagiare i propri famigliari una volta finito il proprio turno. Ma il rischio è anche quello di morire per contagio diretto nonostante le precauzioni… dispositivi di protezione permettendo. Tra i 10 mila operatori sinora contagiati (20% medici e 52% infermieri) il bollettino statistico a tutt’oggi enuncia il decesso di 73 medici, figure che vorrei ricordare (parallelamente ai loro colleghi infermieri) nella loro essenza di persone votate al sacrificio. 

Perché medico?

Il medico è il necessario punto di passaggio lungo l’itinearario attraverso il quale la malattia si inscrive  nell’ordine sociale e lo rivela, poichè per lui curare è un imperativo in qualunque caso: anche quando il disturbo, secondario, può con ogni probabilità guarire spontaneamente; e anche quando, al contrario, l’affezione impotente è nei confronti della medicina. E soprattutto in casi come questi la risposta all’invocazione del paziente è rassicurante, anche se ben lungi dall’essere sempre efficace. Ma ricordiamolo, il medico non è chiamato semplicemente a “curare” bensì a “prendersi cura” del suo paziente, in quanto egli agisce al servizio dell’uomo, e per l’uomo. Quasi sempre non è privo di emotività e quand’anche questa venisse meno, vi è sempre la ragione che può sostenerlo nel superare difficoltà di ogni genere perché il fine cui è orientato è il senso del dovere, la sacralità di una missione, il bisogno dello spirito, la ricerca orientatrice di somma elevazione umana o addirittura soprannaturale. Per questo professionista lottare contro la malattia significa utilizzare tutte le cure mediche concretamente disponibili (e quando non lo sono talvolta se le inventa…), a partire dai primi sintomi fino al completo ristabilimento. Tutti questi medici in prima linea, soprattutto di fronte a questa dilagante epidemia/pandemia, mettono al primo posto la qualità della vita dei loro pazienti; essi promuovono la qualità della vita anche quando sanno di non poter fare più nulla per curare i propri pazienti. Potranno aiutarli ad affrontare i giorni che restano loro, lenire la sofferenza, accompagnarli con i mezzi a loro disposizione sino al loro ultimo… traguardo. Spesso parliamo del medico ideale, per la verità un traguardo irraggiungibile ma il tendervi è l’unico modo per raggiungerlo, almeno in parte. In questa realtà attuale, come anche quelle del passato, l’umanità chiede un prezzo alto al medico e a quanti possono prodigarsi per sconfiggere la sofferenza, ma egli sa che l’ammalato è l’ammalato di sempre, colui che sente il bisogno di confidare una segreta amarezza, che cerca pace al di là della confusione della vita perché il dolore sveste l’uomo, lo rende trasparente; il medico non si trova di fronte alla malattia ma all’ammalato, spesso fragile nell’anima e nel corpo… Il medico resta quello che è in un mondo in continua trasformazione, il cui esercizio è e sarà sempre ricco di sacrifici, ma anche di soddisfazioni. È l’uomo di sempre, uguale oggi come lo era ieri e lo sarà domani. Anche a rischio della propria vita e lontano dalla sua famiglia. Ancora indelebile è l’esempio dl dott. Carlo Urbani, morto il 29 marzo nel 2003 ad Hanoi, vittima della Sars (Severe Acute Respiratory Syndrome), la malattia che aveva scoperto. Un sacrificio che lo ha portato sull’altare, è il caso dirlo, degli eroi, e che tutti dovremmo ricordare non solo perché medico, ma soprattutto perché un uomo che ha fatto storia con la sua umiltà e la sua abnegazione.      

Le due immagini sono tratte rispettivamente dai siti HOGA! e Avvenire.                                                                                                                                                       

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