Dall’italiano all’e-taliano con la guida di Giuseppe Antonelli

giuseppe antonelli al Festivaletteratura 2016

un italiano vero di giuseppe antonellidi Marcella Onnis

Si può scegliere di andare a lezione di italiano alle 9.30 di un sabato mattina senza esservi obbligati? Sì, se a insegnare è Giuseppe Antonelli, anche perché è più energizzante di un caffè al ginseng, come ho scoperto lo scorso 10 settembre assistendo a uno degli incontri del ciclo Accenti della XX edizione del Festival della letteratura di Mantova (disponibili in streaming sul sito del Festival) che lo ha visto protagonista. Da lui ho ascoltato, in particolare, “Tutta la verità sull’italiano” e, come promesso nella presentazione dell’evento, ne sono uscita confortata, oltre che molto divertita.

Antonelli (che ha appena dato alle stampe il libro “Un italiano vero. La lingua in cui viviamo”) ha, infatti, tenuto la sua “lezione” con uno stile brioso: parlantina rapida in stile radiofonico, battute brillanti e aneddoti esilaranti, più slides e brevi video che hanno dato all’incontro un tocco di multimedialità consono all’argomento. Perché, chiaramente, parlare dell’italiano odierno significa fare i conti con l’influenza che su di esso esercitano le nuove tecnologie in generale e i social media in particolare. Significa, cioè, parlare di “e-taliano”, come l’ha battezzato Antonelli.

Scopo (raggiunto) di questa lezione, subito annunciato dal Prof, era «sfatare un po’ di leggende sull’italiano della tecnologia», ossia su quella «terza lingua, non pudica come la scritta né ardita come la parlata» che ormai tutti adoperiamo. Primo pregiudizio da sfatare – peraltro di anziana origine, ha rimarcato Antonelli – è che «le tecnologie producono corruzione». E la prima controprova è il fatto che «tutti noi siamo tornati a scrivere, cosa che vent’anni fa si faceva poco», come attestano i dati di alcuni sondaggi dell’epoca da lui rintracciati. Qui, a dirla tutta, mi torna in mente quel «Siamo una società di grafomani, un po’imprudenti» pronunciato due giorni prima da Paolo di Paolo in un altro degli Accenti del Festival, ma questa è un’altra storia che non saprei neppure narrare come si deve, per cui chiudo la parentesi.

«Punto di partenza ineludibile per qualunque discorso sulla lingua telematica» è per Antonelli «il passaggio dall’epistola all’e-pistola» che coincide anche con la nascita della «psicosi apocalittica»: «concentrandosi solo sulla grafia di questa lingua» fatta di numeri e abbreviazioni (che ha esemplificato con un “6 proprio 3mendo”), si è cominciato a predire i più nefasti effetti sull’italiano. Alcuni studi da lui citati hanno, peraltro, dimostrato che l’uso delle abbreviazioni non era sempre determinato dalla necessità di rimanere nell’angusto campo dei 160 caratteri degli sms, in quanto pochi li usavano – e usano tuttora – tutti.  Tant’è che qualcuno ha parlato di “gergalismo grafico”, ossia di un modo di scrivere «usato per dimostrare di essere alla moda». In ogni caso, questo gergalismo ha iniziato a «contaminare la lingua scritta tradizionale» e a sollevare discussioni, innanzitutto su quello che Antonelli ha chiamato «fattore K», anch’esso intriso di miti da sfatare. In proposito, il Prof ha citato un insegnante che ha ricordato come, prima dell’avvento di sms e diavolerie simili, la k al posto del ch- o della c- dura già facesse capolino in bigliettini, diari e via dicendo. Non solo: «Il K politico negli anni ’80 era già diventato K ludico», ha aggiunto Antonelli citando i vari “Kossiga vattene”, “Amerikani”, ecc.. In ogni caso, oggi il gergo da bimbiminkia (il termine l’ha usato pure lui, quindi nessuno storca il naso) non è più di moda: usare le abbreviazioni “è da sfigati”, mentre “i fighi” usano le emoji (quelle che noi non nativi digitali chiamiamo faccine).

giuseppe antonelli al Festivaletteratura 2016Leggende metropolitane si annodano, inoltre, attorno all’«X factor», ovviamente non il talent show ma quel fenomeno per cui si narra che Nino Bixio divenne Nino Biperio per voce o mano di una studentessa. Ebbene, Antonelli ha rivelato che l’aneddoto risale almeno al 1977, quindi molto prima che le tecnologie “corrompessero” l’italiano. Eppure – udite, udite! – persino il grande Umberto Eco si lasciò trarre in inganno. C’è poi il «fattore W» (who, what, where, when, why): «Chiunque scrive messaggi dovunque, sempre, per qualunque motivo e su qualunque argomento». Chi è senza peccato scagli la prima emoticon… e chi pecca non si ritenga più peccatore perché «La scrittura si è desacralizzata, non c’è più bisogno di un mezzo ed è poco filtrata, è immediata quasi come quella parlata». E l’e-taliano è diventato l’italiano scritto quotidianamente dal cittadino medio, ha affermato Antonelli. Niente di cui scandalizzarsi, però; anzi, c’è di che stupirsi e persino rallegrarsi: poiché «l’e-mail oggi ha sostituito a tutti gli effetti la lettera tradizionale» (esempio più eloquente, citato da Antonelli, è la pec, la posta elettronica certificata) si mette più cura nel redigerla. E anche questo – come, ad esempio, l’uso sconsigliato dei social media per contattare il proprio capo – consente di parlare dell’esistenza di «un nuovo galateo».

Il paziente gode dunque di ottima salute? Mi verrebbe da rispondere “ni”, visto che l’italiano scritto di oggi è, a detta di Antonelli stesso, un italiano balbuziente. A dominare, cioè, è un «modo di scrivere dialogico» che fa sì che ogni messaggio sia un frammento di discorso di per sé non autosufficiente per cui, a differenza di quello tradizionale, l’italiano attuale è caratterizzato dalla «incompletezza». Se, però, si può per questo parlare di ipotesto, d’altro canto ogni messaggio è spesso anche un ipertesto perché contiene rimandi (link) ad altri testi. Pertanto, tirando le somme tra pregi e difetti, magari non sono i primi a prevalere, ma almeno possiamo contare su un consolante pareggio.

 

Foto Silvia Onnis

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