CONCLUSO IL PRIMO CICLO DI CONFERENZE SULLA PREVENZIONE AL MBC DELL’UNIVERSITÀ DI TORINO

A cura della Associazione “Più Vita in Salute”

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)

dr. Marco Ribezzo

Le ultime due conferenze sono state dedicate ai temi della “Prevenzione e prospettive terapeutiche dello scompenso cardiaco”, a cura del dott. Marco Ribezzo della Clinica Maria Pia Hospital (Torino), e “Perché parlare di reni, cuore e sistema vascolare in modo unitario?”, a cura della nefrologa dott.ssa Franca Giacchino dell’Università di Torino. Entrando subito nel merito della sua relazione, il dott. Ribezzo ha spiegato che l’insufficienza cardiaca (o scompenso cardiaco) è una grave condizione medica che impedisce al cuore di pompare una quantità sufficiente di sangue per soddisfare le esigenze del nostro corpo, e può essere causata da condizioni mediche che danneggiano o aumentano il carico di lavoro del cuore. «I sintomi dello scompenso cardiaco – ha ricordato – sono aspecifici, ossia non facilmente comprensibili; tuttavia, si possono rilevare segnali come la stanchezza, la sonnolenza per carenza di ossigeno al cervello, dolori addominali (angina abdominis) per carenza di ossigeno alle anse intestinali, oppure problemi alle coronarie con dolori al petto, tosse per sofferenza polmonare, etc. (angina pectoris). E quando lo scompenso cardiaco si fa più evidente i disturbi sono facilmente individuabili come l’affaticamento e la spossatezza, la mancanza di fiato e ritenzione di liquidi; quando la parte sinistra del cuore è particolarmente affaticata viene meno il fiato, se invece è la parte destra più affaticata si verifica  la ritenzione di liquidi con edemi (gonfiori) agli arti inferiori». È dato a sapere che l’ipertensione arteriosa (I.P.) non curata o non ri-conosciuta tempestivamente è l’evento patologico più frequente (cardiopatia ipertensiva), tant’è che un paziente su tre è affetto da ipertensione. Ma altro evento patologico che può manifestarsi è il diabete (un soggetto su tre), patologia che assume una certa importanza se in presenza di comorbilità come ad esempio le dislipidenie, l’ipertensione, etc.; tutti fattori che vanno ad intaccare le pareti delle arterie. «Altre cause – ha precisato il relatore – sono le malattie delle valvole cardiache che nel tempo alterano il normale funzionamento del cuore, in quanto va incontro ad uno sforzo maggiore e quindi favorendo l’attività cardiaca in modo anomalo. Per quanto riguarda le cardiopatie congenite (ossia dalla nascita), negli anni alterano la normale attività cardiaca, e altre malattie colpiscono il cuore sino a causare un progressivo interessamento delle sue pareti, oppure le stesse negli anni si assottigliano con non minori conseguenze. Alcune di queste malattie sono talvolta scritte nel nostro DNA (codice genetico) e non è prevenibile il loro manifestarsi. Inoltre, ci sono le infezioni del cuore (miocardite, endocardite, pericardite), se acuta l’infezione dei tessuti cardiaci crea una disfunzione del muscolo sino a provocare lo scompenso cardiaco». Altre malattie più “impegnative” dal punto di vista della comprensione, sono quelle definite elettriche, ossia relative alla alterazione del ritmo cardiaco (irregolarità), la cui incidenza nella popolazione generale è molto elevata: 15 milioni di casi in Europa, ed è la prima causa di accesso al P.S., e il 30-35% dei ricorsi al P.S. è per scompenso cardiaco in soggetti di età molto diversa, anche se orientativamente sono più gli anziani, mentre la prognosi non è ottimale. «Lo scompenso cardiaco – ha precisato il clinico – dipende dalla causa che lo ha determinato, ed è una manifestazione di malattia che ha un decorso progressivamente peggiorativo. Anche la mortalità non è modesta: si verifica nel 50% dei casi affetti da scompenso cardiaco a 5 anni dalla diagnosi. A tutto ciò influiscono l’età, le comorbilità (altre patologie correlate), lo stile di vita, se i soggetti soni maschi o femmine, le condizioni di vita in genere, la cultura: è stato dimostrato che chi è più acculturato si cura di più; e tutti questi fattori determinano la “velocità di discesa” di questa curva». Ma quali le opzioni terapeutiche? A parte i casi infettivi non esiste una cura, questa patologia non guarisce ma si può gestirla al meglio superando la fase acuta, controllando il suo andamento nel miglior modo possibile. È quindi importante cominciare dalla prevenzione: modificare lo stile di vita in genere, assumere una dieta equilibrata, non fumare e fare regolare attività fisica. Sono comunque disponibili dei farmaci che vanno ad agire sulle cause che hanno determinato l’affaticamento del muscolo cardiaco: antipertensivi, le cui potenzialità consistono nel ridurre l’ipertensione aiutando il cuore nella sua funzione, i betabloccanti che rallentano i battiti cardiaci, i diuretici che contribuiscono a ridurre i liquidi in eccesso. «Altri approcci terapeutici – ha concluso il dott. Ribezzo – sono “più invasivi”, soprattutto in presenza di una vulvopatia, e tale richiede un intervento chirurgico di “riparazione” o sostituzione della valvola difettosa; oppure l’applicazione di un pacemaker dalle molteplici funzioni, o l’applicazione del defibrillatore per ripristinare il ritmo cardiaco. Ultimo provvedimento terapeutico il trapianto cardiaco».

Dott.ssa F. Giacchino

A volte si dà poca importanza alla funzione dei nostri reni, ma già dal 2010 veniva dimostrato quanto questi organi sono coinvolti a livello vascolare, quindi come il manifestarsi dell’ipertensione arteriosa (I.A.), talvolta come causa altre volte invece come effetto; ma anche il diabete e le cardiomiopatie. Ma solo recentemente è stato evidenziato come le malattie renali siano legate anche all’obesità, che costituisce il collante di altre patologie croniche degenerative. «In seguito – ha spiegato la relatrice – si sono considerati alcuni aspetti fisiologici come l’invecchiamento sulla funzione renale, come pure la gravidanza nella donna. In questo periodo pandemico è ulteriormente considerata in modo globale la salute, sottolineando l’importanza della prevenzione con la diagnosi precoce e l’accesso alle cure». Si stima che la malattia renale sia presente nel 10% della popolazione mondiale, con una prevalenza intorno al 7% in Italia (circa 4 milioni di pazienti), ed è l’11ª causa di morte, e nel 2040 si prevede che diventerà la 5ª causa. «La malattia renale – ha precisato – spesso non è riconosciuta facilmente in quanto solitamente è asintomatica (ad eccezione della calcolosi renale), ma se si riesce a diagnosticarla precocemente la si può curare rallentando il suo decorso o fermarlo. Nei casi più ostici il ricorso terapeutico è alla dialisi e, in estrema ratio, al trapianto renale. Attualmente in Italia sono 45 mila i pazienti in dialisi, e il 13% è in lista di attesa per il trapianto, e ogni anno 8 mila persone entrano in dialisi. In Piemonte i pazienti in dialisi sono circa 3.400, e ogni anno altri 700 entrano in dialisi». Ma cos’é la malattia renale? È una disfunzione alterata dell’organo, come ha ben illustrato la relatrice, che può essere stadiata in 5 gradi, e quello più severo è la cosiddetta insufficienza renale, ossia quando la sua funzione è inferiore a 15 ml. Per valutare la funzione renale è fattibile un semplice prelievo di sangue, ricercando il dosaggio della creatinina che deriva dal metabolismo muscolare, il cui valore varia da soggetto e soggetto…; ma la valutazione più completa richiede la raccolta delle urine delle ultime 24 ore. «In merito alle cause della malattia renale – ha spiegato – talune non sono modificabili come l’età, la storia familiare, la razza, etc.; altre invece sono modificabili con la terapia, una dieta e uno stile di vita più appropriati, svolgendo regolare attività fisica, prevenire l’obesità, il diabete, etc. Ed è accertato da tempo che l’obesità può influenzare lo stato di salute con ripercussioni anche sull’attività renale, le cui conseguenze possono manifestarsi in calcolosi renale, nefropatia cronica, etc. Nelle persone obese i reni sono sottoposti a un carico maggiore (iperfiltrazione) per compensare l’aumento del peso corporeo». Citando il sistema PASSI, avviato nel 2005, la relatrice ha spiegato che riguarda un’attività di monitoraggio dei programmi di prevenzione delle malattie croniche. È un progetto del Ministero della Salute e delle Regioni per la sorveglianza dell’evoluzione di questi fenomeni, soprattutto nella popolazione adulta. Il consumo di frutta e verdura, va ribadito, riduce sensibilmente il rischio di contrarre malattie croniche come quella renale. Un apporto elevato si associa alla ipotensione, a minori eventi negativi cardiovascolari, e a minore incidenza di declino della funzione renale. Ma molto negativamente incide l’obesità la cui valutazione la si misura in diversi gradi. «Per quanto riguarda la sindrome metabolica – ha concluso la dott.ssa Giacchino – tale è definita da una circonferenza addominale maggiore di 94 cm. per i maschi e 80 cm. per le femmine; oltre a considerare i valori dei trigliceridi e del colesterolo (HDL), la glicemia e la pressione arteriosa. In sostanza, è una patologia caratterizzata da più fattori interconnessi: fisiologici, biochimici, clinici e metabolici che possono aumentare il rischio del manifestarsi di altre patologie, il più delle volte con conseguenze sull’attività renale».

Foto di Giovanni Bresciani

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