Combattiamo gli sprechi, ma attenzione alla democrazia

Riceviamo e pubblichiamo questa interessante riflessione:

Chiudiamo le regioni, si legge su alcuni quotidiani in questi giorni. Parole in libertà, si potrebbe dire, dettate dall’effetto emotivo dell’inchiesta che sta flagellando il gruppo del Pdl nel consiglio regionale del Lazio, dopo gli scandali che, nei giorni e nei mesi scorsi, hanno parimenti interessato altre regioni, i loro esecutivi e le loro assemblee.

Eppure questi pronunciamenti arrivano dopo che una serie di scelte concrete hanno modificato la fisionomia e la sostanza del regime delle autonomie locali nel nostro paese.  È utile ricordare, a tal proposito, che nell’arco di un triennio sono state soffocate le comunità montane, attraverso la chiusura del rubinetto dei trasferimenti erariali, gettando tali enti ed il loro personale nel caos più totale; è stato ridotto drasticamente il numero dei consiglieri comunali – oggi in un comune di cinquemila abitanti, per fare un esempio, il consiglio è composto da sole sette persone, cinque di maggioranza e due di minoranza, giunta compresa -; è stato modificato il regime della rappresentanza per le province, eliminando, peraltro in sede di aggiustamento dei conti pubblici e non con una riforma istituzionale, l’elezione a suffragio universale diretto dei consiglieri e del presidente.

Tutto ciò mentre a Roma una giunta di professori ha assunto la guida politica del paese senza passare per libere elezioni democratiche, col beneplacito di una classe politica tacciabile di “fellonia” nei confronti del proprio paese.

Qual è il legame tra tutte queste cose? Che in Italia è in atto, ormai da tempo, un processo di spoliazione di spazi democratici ad ogni livello, giustificato di volta in volta con la necessità di combattere gli sprechi che si annidano tra le pieghe della spesa degli enti pubblici.

Orbene, che dai comuni alle regioni si sia creata una filiera dello spreco di soldi pubblici è cosa risaputa, fin troppo nota. Eliminare tali sprechi tagliando la rappresentanza, riducendo in continuazione gli spazi di democrazia, è però una cosa che non può essere accettata.

Prendiamo il caso dei comuni. Se sprechi ci sono, essi sono prodotti dai consiglieri o da chi materialmente ha la gestione, sindaci ed assessori in primis? Evidentemente da quest’ultimi, laddove sprechi ci sono, perché la maggior parte dei sindaci nel nostro paese, soprattutto nei piccoli comuni, svolge una vera e propria missione presso la propria comunità, ma al governo hanno deciso di tagliare il numero dei consiglieri, che, per il loro misero gettone di presenza, costano alle casse comunali qualche centinaio di euro all’anno. Lo stesso discorso vale per le province, ovviamente.

Riguardo alle regioni non c’è dubbio che in molti casi si è fatto, e si fa, carne di porco. Ma allora che facciamo? Le chiudiamo o impediamo, tagliando appannaggi ed aumentando i controlli, che si continui a scialacquare il denaro pubblico? Qualunque persona di buon senso direbbe “la seconda che hai detto”.

L’idea che la democrazia, la politica, la rappresentanza, la discussione, il confronto, il voto, siano solo orpelli inutili, mere finzioni, cose di cui la società può fare tranquillamente a meno è un’idea molto pericolosa, che solitamente affiora alla base della società, tra il popolo, ma finisce per essere utile ai potentati economici, alle grandi lobby. La vicenda del governo dei professori dovrebbe insegnare qualcosa a tal riguardo.

Proprio di questi tempi, in cui il potere finanziario sta progressivamente esautorando quello politico nel governo delle società, tirare in continuazione alla politica ed alle sue strutture, alle istituzioni rappresentative, è qualcosa non solo di sconvenevole, ma addirittura di autolesionistico. E la vicenda del governo dei professori, in questo quadro, dovrebbe insegnare qualcosa.

Come sconvenevole è ormai l’abuso della parola “casta” per definire la classe politica. Certo, la politica deve cambiare, dimagrire, recuperando la sua funzione propositiva, regolatrice e trasformatrice. Deve riformarsi, espellendo dal suo corpo fenomeni di malcostume ed odiosi nepotismi. Lo deve fare, perché così com’è ha perso credibilità agli occhi del paese. Ma basta con le semplificazioni ed il gioco al massacro. Come ho sostenuto in altre occasioni, la dignità delle istituzioni democratiche è troppo importante per essere buttata con l’acqua sporca di certe perversioni del sistema. Che pure esistono e richiedono rimedio.

20.09.2012

Luigi Pandolfi

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